Visita ginecologica anni 50 - La Mammana - 2022 - olio su tela- cm. 50 x 70
Carissimi amici e amiche, questo è un altro tassello che aggiungo ai tanti
temi tradotti sia in chiave artistica – e sia in modo letterario nella
galleria del “ come eravamo “ pubblicata sul bellissimo sito dell’amico
Felice Campa. Per la verità ci ho pensato molto a mettere in atto
quest’opera che come soggetto, ancora una volta , non ho trovato riscontro
in nessun altro pittore contemporaneo. L’argomento è quello che ha in sé una
sacralità unica e universale che ha riguardato ciascuno di noi alla nostra
nascita, noi figli del sud Italia e comunque di ciascun cittadino del nostro
patrio suolo. In fondo l’avventura della nostra vita è iniziata proprio da
questi eventi che hanno come attrice principale la mamma di ognuno di noi e
dell’assistente al parto “la mammana“ così come è intesa al Sud Italia. Con
questo lavoro ho intesso andare agli albori della nostra storia e della
galleria storica tratta dai miei ricordi, là nel Salento. Con questo lavoro
ho inteso omaggiare tutte le mamme e la figura dell’assistente al travaglio.
Il tema trattato si evince da titolo ed è quello della nascita dei bambini
che veniva praticato in casa.
Ovviamente il riferimento è datato e tale pratica era in auge fino agli anni
cinquanta e parte degli anni sessanta in un tempo già abbastanza lontano dai
giorni nostri, prima della diffusione di ospedali e cliniche private, le
donne partorivano presso la propria abitazione. Il parto avveniva in modo
concitato. Nell’imminenza del travaglio si allontanavano dall’abitazione
uomini e bambini. Le donne adulte della casa o del vicinato entravano in
azione riscaldando grandi pentoloni d’acqua e preparando le varie pezze di
stoffa necessarie per il nascituro e la neo mamma. Tutte donne, insomma,
perché il parto era ritenuto “cosa di donne”. Al marito spettava l’unica
incombenza di andare a chiamare con urgenza la donna esperta di nascite che
si era formata solo dopo una lunga pratica di parti. Queste donne che
facevano nascere tutti i bambini erano chiamate “mammane”. Il nome deriva da
mamma, perché come una seconda mamma, la mammana contribuiva a dare alla
luce una creatura. Ella non era semplicemente una ostetrica, in realtà i
suoi compiti di assistenza non si esaurivano con la nascita del bambino.
Infatti, essa dava anche indicazioni alle madri sul riposo e sul mangiare
nei giorni che seguivano al parto. Consigliava alla puerpera di mangiare per
tre giorni dopo l’evento solo brodo di pollo, per evitare le febbri molto
frequenti dopo il parto e per avere latte buono. Personalmente ricordo che
quando nacque mia sorella Elena i padrini di battesimo regalarono ai miei
genitori una gallina ( viva ) che servì a preparare il brodo per mia madre,
quella era un’usanza che si applicava nella nostra società contadina.
Durante il parto la mammana interveniva utilizzando rimedi naturali, come
l’applicazione di panni caldi, per alleviare il dolore. Quando arrivavano i
dolori uterini consigliava di bere la camomilla con delle foglie d’alloro
(ora si usano gli antispastici). Con le sue mani riusciva a manipolare la
posizione del bambino per farlo nascere in maniera corretta, permettendo
così al bambino di venire al mondo nel migliore dei modi. Con l’acqua
bollita fatta preparare e l’acido ossalico sublimato, la mammana poi puliva
la mamma e il figlio. Nei primi giorni faceva i bagnetti al piccolo, gli
medicava il cordone ombelicale e rifaceva la fasciatura. Alcune osservazioni : In quegli anni, per la denutrizione, molti bambini
crescevano con la colonna vertebrale o le gambe storte. Per le conoscenze
mediche di allora, per evitare queste deformità, appena nati i piccoli
venivano avvolti con una striscia lunga di tela che impediva al neonato ogni
movimento. Anche per questi compiti, svolti fuori dell’ordinario, era
normale che la gente portasse alle mammane massimo rispetto, riconoscenza e
un certo timore. Nella fantasia popolare era ritenuta un personaggio persino
magico, come una sorta di maga che allontanava il malocchio dal neonato. A
quei tempi la superstizione era largamente diffusa. La mammana al sud, in
tempi passati, in larga misura, era una figura positiva: era la donna
esperta in tecniche di parto. In tempi passati tutti i mestieri si
imparavano osservando da chi già esercitava un mestiere; nel caso della
levatrice generalmente il mestiere veniva tramandato da madre in figlia.
Poteva succedere che i dolori per la futura mamma arrivassero inaspettati
con l’assenza del marito che lavorava lontano in campagna, in sua assenza il
compito di chiamare la mammana passava ad un componente della famiglia: “
Fuci , fuci , fiju meu, vanne e chiama la mammana”- ( corri, corri, figlio
mio, vai a chiamare la mammana ) - . Erano gli anni del dopoguerra e la
miseria si faceva sentire in molte case di contadini. Tempi in cui la donna
collaborava fattivamente con il proprio marito, nel lavoro nei campi. E si
“riposava”, forse, qualche settimana prima di partorire. Una storia sociale
che ci umilia ma al tempo stesso ci ricorda come si nasceva in quegli anni,
con grande dignità e come si preparavano le donne a vivere quel momento di
una straordinaria esperienza di vita.
Il parto avveniva nella camera matrimoniale e si procedeva al battesimo la
prima domenica successiva, perché si temeva per la sopravvivenza del
bambino. Infatti molti erano i rischi legati al parto: aborti, malattie e
anche morte del nascituro, la mortalità da parto in quel tempo era molto
alta. In quel caso era la stessa mammana che officiava il battesimo perché
aveva la dispensa e l’approvazione della chiesa. Ella in qualche modo
entrava a far parte della famiglia in quanto ricopriva un ruolo importante
anche successivamente al parto tramite controlli e visite a domicilio alla
mamma e al suo bimbo; era una figura molto rispettata, e alle volte prestava
gratis il suo “lavoro”, garantendosi così stima, affetto e ammirazione. Reminiscenze e testimonianze personali : ricordo che a Tuglie vi erano due
persone che rivestivano il ruolo di mammana. Una era Paola Riccardo che l’ho
conosciuta quando mia zia Giuseppina ( la zì Pippi ) era incinta delle mie
cugine Lucia e Giovanna. Era anche amica di mia zia e nell’imminenza del
parto veniva a casa di mia nonna Fiorentina a trovare mia zia per visite di
controllo. L’altra figura era Clara Epifani , moglie della guardia
municipale Cosimo Miggiano ( lu Cosiminu guardia ). Quest’ultima ha fatto
nascere buona parte del mio paese ed era una donna seria, gentile e
capacissima nel suo lavoro di mammana. Sicuramente aveva il rispetto di
tutti ed era riverita come una vera signora.
Tra i miei ricordi sull’argomento ne affiora uno, e mi riferisco alla
nascita del mio amico Biagino Longo. I suoi genitori abitavano a fianco alla
mia abitazione in via Corte Nuova. L’arrivo trafelato della mammana a casa
della partoriente “ L’Acatuccia “ all’anagrafe ( Agata Tarantino ) ci fece
capire a noi ragazzi che giocavamo per strada l’imminenza del parto. Lo
percepimmo anche alcune frasi inusuali delle vicine di casa e il loro
andirivieni eccitato. Ai primi lamenti della partoriente alcune vicine di
casa imposero a noi ragazzi di andare via e allontanarci perché
evidentemente non era un’esperienza positiva sentir gridare una persona, e
poi non sapevamo in effetti cosa le stesse capitando di così tragico da
farla urlare. Benché lontani un trentina di metri dal luogo non potevamo
fare a meno di udire le urla della signora Agata, lunghe e persistenti che
durarono per diversi minuti. Ricordo solo che noi ragazzi ci guardammo in
faccia sgomenti e azzittiti , in un silenzio pieno di ansia e di perché.
Sicuramente provammo dispiacere per quelle sofferenze. Il tutto fu mitigato
da una vicina che uscendo di casa al alta voce dichiarò: “ è natu, ete
masculu e ghe sciutu tuttu bbonu “, ( è nato, è un maschio ed è andato tutto
bene ). Le astanti poterono così tirare un sospiro di sollievo e
felicitandosi fecero gli auguri ad alta voce. Ricordo lo spirito che animava
simili vicende, e cioè la solidarietà che la gente del rione provata gli uni
per gli altri e quando nasceva un bambino in un certo senso era figlio di
ognuno e la felicità dei genitori poteva essere paragonata a quella di tutti
noi del glorioso rione Longa.
Commento all’opera:
Nell’osservazione dell’opera salta subito l’evidenza dell’ambiente povero ,
un po’ scalcinato con le pareti annerite dal fumo del grosso camino che era
la vera ricchezza delle famiglie contadine che vivevano di stenti e dal
pavimento consunto e scheggiato. Da notare che sulla parte destra del camino
vi è un rialzo che serviva ad appoggiare pentolame vario e attrezzi da
cucina ma nello specifico vi ho appoggiato una piccola seggiola. Serviva per
far sedere i bambini a scaldarsi ( quando il fuoco era ridotto a brace ) nel
periodo invernale. La scena l’ho voluta ambientare nella cucina con tanti
suppellettili essenziali alla vita familiare per avvalorare ancora di più le
condizioni economiche di gente disagiata. Si nota in primo piano un lume a
petrolio ( lu petroju ), sul fondo appeso alla parete un altro lume che si
usava all’esterno, vicino al camino il contenitore di argilla smaltata ( la capasa ) che conteneva l’acqua potabile con appeso il mestolo ( lu cuppinu )
per attingere e bere. Sull’estrema destra ho inserito un oggetto che quelli
della mia età ricordano benissimo: Trattasi di un supporto metallico a tre
piani, serviva per appoggiare in alto il catino in lamiera smaltata ( la limba
), sotto, un piattino portasapone. Ancora più in basso una brocca
d’acqua d’uso comune nelle case che a quell’epoca erano prive di acqua
corrente, per abluzioni parziali alla persona. Il vestiario delle
protagoniste è leggero e questo fa pensare che la scena si svolge nella
stagione estiva. Ho dipinto la donna e la levatrice adagiate su un saccone
di paglia posto sul pavimento delle dimensioni adatte a un bambino. Era
un’usanza normale specie d’estate dormire per terra su sacconi pieni di
paglia dopo la mietitura e trebbiatura e per inciso lo era anche a casa mia.
La scena ritrae una visita pre parto da parte della mammana che con lo
stetoscopio ( mediamente di legno tornito e di grandi dimensioni ), ausculta
il battito del bambino appoggiandolo sul pancione della sua mamma. Per
quanto è stato possibile ho ritratto i lineamenti della giovane donna con il
cipiglio di persona ansiosa ( e ne aveva di che preoccuparsi ) per le
incognite che il parto poteva portare. In antitesi ho cercato di stampare un
mezzo sorriso sul volto della mammana per sdrammatizzare lo stato ansioso
della futura mamma e infonderle coraggio.
Un saluto e un arrivederci a una prossima opera da Salvatore Malorgio
pittore, opinionista e tugliese D.O.C.
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Tuglie...per raccontar paese...
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