Tuglie: la festa dell’Annunziata, la sua storia, il suo folklore
Con l’intiepidirsi delle temperature, la natura primaverile si mette in moto e
ci offre un paesaggio “nuovo”, festoso, fresco, scintillante di colori,
inebriante di profumi: in questa favorevole cornice, dal 19 al 25 marzo,
compatibilmente con la Pasqua (quest’anno, infatti, i festeggiamenti subiscono
uno slittamento, è la festa, ininterrotta, dei Patroni di Tuglie, San Giuseppe
“tisu” (quello “stisu” si festeggia in luglio) e l’Annunziata.
Tra i vari “titterji” (dal latino dicterium-proverbio), legati a questa festa,
vi è “te la Nunziata, la vigna è giardinata”: apparteneva ai tempi in cui il
limitato feudo, da sud a ovest, era coperto di viti, il cui esperto coltivo
balzava come fiore all’occhiello dell’ars agricola dei rustici tugliesi. E quel
proverbio, intriso di campanilistico sentimento di appartenenza religiosa, ben
si coniugava con la festa della Madonna Annunziata che, tre giorni dopo
l’equinozio di primavera, segnava metaforicamente anche l’inizio di una nuova
era, quella dell’Incarnazione e della redenzione umana.
Lasciando alla fantasiosa penna di altri l’ipotetico e leggendario inizio della
devozione tugliese verso l’Annunziata, si può tranquillamente ed oggettivamente
affermare che la festa dell’Annunciazione è la più antica fra le celebrazioni
cristologico-mariane, è lo stesso Vangelo di Luca che parla dell’Evento. E’ qui
che per la prima volta si parla della Fanciulla di Nazareth; nel Vecchio
Testamento si era detto “altamente”, ma genericamente, della “Donna vestita di
Sole”, ma era rimasta una “figura” astratta, inumana. Nel Vangelo di Luca quella
Donna diventa “Maria, sposa di Giuseppe il falegname”.
E i cenobiti orientali, i Basiliani, avevano portato dall’Oriente questa loro
festa mariana e ne avevano affrescato la scena sulle rozze pareti delle loro
clandestine cripte sotterranee, ora meglio conosciute come chiese rupestri,
presenti un tempo anche nelle parti alte del territorio di Tuglie. E’ questo il
vero, spontaneo, popolare inizio del culto verso l’Annunziata, a Tuglie come in
altri luoghi della Terra d’Otranto.
La Visita Pastorale (1452-53) del Vescovo di Nardò Ludovico de Pennis rinvenne,
nel Casale di Tuglie, una cappella rurale dedicata a Sanctae Mariae Nunciatae.
Tale chiesetta custodì per i 250 anni successivi questo Titolo, a prova anche
dell’abbandono del Casale per le incursioni turche – questa si, che è storia! –
cioè fino a quando la rinascita del Casale, fra Sei e Settecento, “obbligò” i
nuovi Tugliesi alla conservazione dell’antico Patronato anche con la costruzione
della nuova Parrocchiale (1721). La nuova Chiesa fu aperta al culto il 25 marzo
1734.
Nel 1737, con una popolazione di oltre 600 abitanti, Tuglie ottenne da Carlo III
di Borbone la sua Universitas, cioè l’Amministrazione Decurionale con a capo il
suo Magnifico Sindaco. Un giovane paese, con tutto l’orgoglio e il “maschio”
piglio, si conquistava l’autonomia amministrativa, in seguito a quella
religiosa, dopo oltre due secoli di sballottamento ancillare tra Parabita e
Gallipoli. Furono anni di entusiasmo e di sacrifici per darsi una dignità civile
nei vari ambiti della vita sociale, economica e identificativa del paese; una
convergenza di intenti tra l’Arciprete, il clero e i “diaconi selvatici” da una
parte, e dall’altra i primi sindaci: Quadrucci, Stamerra, Piscozzi, ecc, magari
strettamente imparentati tra loro. Ma che importava? I frutti della buona
amministrazione si vedevano e si toccavano.
L’Università scelse come civico Patrono San Giuseppe, la Protettrice religiosa
rimase l’Annunziata, e i festeggiamenti patronali, già consueti e confermati nel
Catasto Onciario del 1749, si svolgevano nell’intervallo delle due date del 19 e
25 marzo, fatto salvo il periodo tra la Domenica della “Croce coperta” e la
Pasqua, quando questa festa mobile era “bassa”.
In quegli anni fu istituita la Confraternita di San Giuseppe Patriarca, allogata
in un piccolo Oratorio adiacente alla Chiesa Parrocchiale, la quale insieme alle
altre due esistenti e funzionanti all’interno della Parrocchia, del Santissimo
Sacramento (1720) e delle Anime del Purgatorio di poco successiva, intervennero
“d’obbligo da regolamento” alle processioni dei Patroni: si concretizzò e si
delineò, in questo modo, a metà Settecento, la Festa Patronale che,
ininterrottamente da allora, anche in tempore belli, giunge fino ai nostri
giorni. Quasi contemporaneamente, Carlo III, prima di salire al trono di Spagna
(1759), su richiesta dell’Università di Tuglie, concesse l’annuo mercato e la
fiera del bestiame all’interno dei festeggiamenti. Per decenni fu la prima e una
delle più importanti fiere tra i paesi vicini.
Nel 1859/60 anche la fiera di Tuglie, come quelle degli altri luoghi del Regno
di Napoli, fu sospesa per le note ragioni di ordine pubblico; fu ripristinata
nel 1870, con inizio dal successivo 25 marzo 1871. Per circa un secolo essa ha
mantenuto inalterati il suo fascino e la sua importanza sul territorio; da
qualche decennio, ormai, per le mutate condizioni socio-economiche e culturali
si è connotata come un ampio mercato. I “puricini”, la cui copiosa presenza fece
affibbiare il nomignolo con il quale sono identificati i Tugliesi, e gli altri
animali da cortile, vengono oggi presentati più in forma simbolica che come veri
protagonisti della fiera del bestiame.
Nel corso dei decenni la festa, pur con inevitabili resistenze, ha cercato di
adeguarsi alle mutate condizioni sociali e culturali, non tralasciando,
tuttavia, quelle che sono sempre state le sue peculiarità, tra cui le “batterie”
a metà giornata, il mercato della Nunziateddha, la “banana con la panna” e il
ricco Luna Park nel “cuore” della festa.
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