Un giorno passare per via Veneto e accorgersi d’improvviso di un’insegna che
sa di altri tempi: La puteca te li Papaionaca…
Una trovata pubblicitaria eccellente. Un ritorno al passato che fa piacere
rivivere seppure nelle righe di un messaggio che prepotente rimanda nel
tempo, quando le puteche di generi alimentari in un paese rappresentavano
l’unico mezzo di approvvigionamento. La pasta, la conserva, la ricotta
forte, il caffè si vendevano al minuto, non confezionati in pacchetti o
simili ma sfusi. Altri tempi. Tempi non buoni, fatti di povertà e sacrifici.
Lu putacaru sovente concedeva ai clienti gli alimenti con la libretta, dove
si annotavano gli importi giornalieri della spesa: un rapporto fiduciario
che si instaurava sull’onorabilità del cliente, il quale avrebbe poi
provveduto a pagare appena le risorse finanziarie glielo avrebbero
consentito. Un sistema che attualmente si può paragonare con le varianti
moderne del compra oggi, paga fra un anno.
Gli anni Cinquanta faticosamente tendevano al progresso, le popolazioni del
Sud dovevano adattarsi alla lentezza di un divenire migliore che altrove
incominciava a fare capolino. Non c’era superbia. C’era solidarietà, un alto
senso di mutuo soccorso accomunava le persone. Il paese era una grande
famiglia che accettava con rassegnazione le disgrazie, ma nel contempo era
capace di tirare fuori il meglio di sé per costruire futuro. Se non ci fosse
stata la benevolenza, a quei tempi, dei putecari a dare da mangiare ai
paesani, la vita sarebbe stata un inferno.
E l’insegna de La puteca te li Papaionaca, oggi nel terzo millennio, ha il
sapore di un monito, di una reprimenda, di un segnale per le genti che
vedono sopraggiungere una nuova povertà, diversa del passato, ma che fa
sentire il suo peso: l’angoscia di non arrivare a fine mese è presente in
molte famiglie. Sino a pochi anni fa, la spesa doveva compiersi nei grandi
supermercati, era quasi una vergogna recarsi al piccolo negozio del paese.
La modernità pretendeva un modus operandi che doveva ostentare benessere,
ricchezza e opulenza. Pagare in contanti alla cassa era da cafoni, meglio la
carta di credito o il bancomat. L’imperativo assillante era: possiamo
permetterci tutto quello che vogliamo senza nessuna limitazione.
Ora però le cose incominciano a cambiare, ed è necessario rivedere molte
abitudini e fare i conti con la crisi.
Il lettore vorrà perdonarmi per queste mie riflessioni, ma se avrà il
piacere di continuare a leggermi sicuramente troverà nei piccoli fatti che
racconto morali chiare che mai saranno oggetto di occultamento da parte
degli uomini.
La famiglia Antonaci da anni opera con dedizione e passione nel commercio di
generi alimentari in un piccolo paese, nello storico rione te lu Raona, il
più importante di Tuglie.
Questa famiglia ha svolto da sempre imperterrita l’attività commerciale
senza mai lasciarsi prendere la mano dalla modernità. Il negozio è un luogo
cordiale, simpatico, dove è possibile scambiarsi quattro chiacchiere
nell’attesa del proprio turno, come un tempo. Non c’è l’aridità del
supermercato. C’è il sorriso, la gentilezza, l’essenzialità delle cose.
E poi questo soprannome Papaionaca, che identifica la famiglia, è tutto un
dire, una garanzia, una credenziale da esibire con orgoglio.
Silvio era il padre di Tommaso, Antonio e Gerardina, attuali gestori del
negozio. Era simpaticissimo, un po’ filosofo, attento nelle sue esternazioni
verbali, sempre presente nel negozio, vigilava, scrutava, comandava,
raccontava fatti e aneddoti paesani. Si sedeva sul gradino posto accanto al
negozio e salutava tutti. Ora non c’è più. Ma la sua assenza al pari di
tante altre che erano significative, tipiche e originali per un paese
piccolo, pesano e chiedono di essere ricordate, affinché la memoria sappia
trarre dal passato il meglio. Vi è sempre l’obbligo per una comunità della
narrazione del passato. Non può sottrarsi.
Affermare che l’esposizione dell’insegna che rimanda al passato rappresenti
un evento è forse un’esagerazione, ma sostenere che essa ha prodotto, almeno
al sottoscritto, un rinvio piacevole alla storia di una comunità è
ragionevole.
Quando molti anni fa il tempo era docile e mite, considerevole e in
abbondanza, la vita degli uomini scorreva senza l’assillo del “fare presto”.
Il tempo veniva consumato con saggezza e la giusta attesa era presa in
debita considerazione. La gente contemplava e inventava, costruiva,
teorizzava e produceva.
La puteca dispensava il giusto necessario. L’acquisto compulsivo non
esisteva. Si comprava quanto basta per vivere.
Si stava meglio quando era peggio: un detto della saggezza popolare per
esprimere le odierne esagerazioni e le molteplici avidità.
La famiglia Papaionaca ha compreso l’utilità di un ritorno alle buone
abitudini di un tempo, rinunciando alle lusinghe del consumismo sfrenato,
prediligendo il buon senso e la normalità di un servizio. La puteca un punto
di partenza per stemperare eccessi, ma anche un riavvicinamento al passato
che fa bene.
L’utilizzo del termine dialettale (Puteca) e del soprannome (Papaionaca),
che sino a pochi anni fa sarebbe stato anacronistico, adesso indica una
sorprendente novità nel grigiore di una uniformità sociale ben consolidata.
E poi provate ad andare alla Puteca te li Papaionaca, non rimarrete delusi,
anzi la simpatia te la Tina, la calma te lu Tommaso, l’operosità genuina
te
la Gerardina, l’attenzione te lu Antonio, vi contageranno e ritornerete con
piacere. Riscoprirete il gusto della spesa e della semplicità dell’approccio
umano, certamente non paragonabile a quello dei commessi dei grandi
magazzini.
Concludo.
Forse ho esagerato. Forse ho sbagliato. Ma di una cosa sono convinto: ho
raccontato in minima parte la storia di una famiglia laboriosa e onesta come
tante altre del paese.
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Tuglie...per raccontar paese...
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