Quando
avevo dieci anni neppure immaginavo che una famiglia potesse possedere un
frigorifero. Se lo avessi immaginato d’altra parte, avrei ricondotto la sua
utilità alla sola produzione del ghiaccio nelle infuocate stagioni estive
quando l’acqua della fontana pubblica, stoccata in recipienti di latta o di
terracotta, raggiungeva temperature proibitive.
Il frigorifero era fuori dalla portata delle famiglie contadine del mio
paese e poi a cosa poteva servire un aggeggio pensato per conservare il
cibo?
Si consumava quello che la terra produceva. Pranzo e cena variavano solo per
le modalità con le quali venivano preparate sempre le stesse cose. Non c’era
niente da mettere nell’ipotetico oggetto che nei decenni successivi avrebbe
anche globalizzato i gusti e fatto dimenticare la sequenza con la quale le
stagioni regalano frutti maturi e genuini. D’estate ortaggi e verdure,
prodotti a decametri zero, erano gli unici alimenti. Era il modo di
prepararli che dava spessore all’arte culinaria e faceva imbizzarrire
l’appetito. Zucche e patate, ad esempio potevano essere primo, secondo e
contorno prelibato. A che diavolo poteva servire mai un frigorifero se non
per produrre il ghiaccio? La mia casa era stata appena costruita nella
periferia del paese e, appena fuori dall’uscio della porta, scorgevo la
campagna con la quale si viveva in simbiosi stretta. Se l’annata decideva di
essere generosa si viveva l’euforia dell’abbondanza; diversamente se ne
prendeva atto razionalizzando ulteriormente le risorse a disposizione. La
strada lungo la quale sorgeva la mia casa, come la maggior parte delle
strade del paese, era “naturalmente” sterrata e il silenzio che normalmente
avvolgeva le giornate estive veniva esaltato da una calura ottundente. Il
contesto sconsigliava agli umani di cedere alla tentazione di curiosare
fuori quando il sole sembrava ostinato a non muoversi dallo zenit.
Di tanto in tanto il fruscio di una lucertola vagabonda lacerava il silenzio
rovente e mi pentivo di non avere sottomano il mio laccio d’erba col nodo
scorsoio in cima, per catturare un altro esemplare e aggiungerlo alla mia
collezione segreta.
Il rumore dell’olio bollente al contatto con i fiori di zucca in pastella,
era quasi contestuale al profumo della frittura percepito dal mio olfatto
infallibile. Ciò bastava per invertire l’ordine delle priorità e da
contemplatore del mio piccolo universo mi trasformavo in schiavo del
languore dello stomaco nel quale i succhi gastrici organizzavano la loro
puntuale rivolta quotidiana.
Mia madre si ostinava a non farmi assaggiare nulla prima del pranzo ma io
ero un po’ come sono i gatti che proprio a certe regole non sanno
conformarsi. Sgusciavo, studiavo i movimenti, a volte creavo le condizioni
per una provvidenziale distrazione e allungavo fulmineo la mano sulla
prelibatezza.
L’attimo dopo godevo del raggiunto compromesso con il mio irresistibile
bisogno di anticipare il pranzo anche se solo di qualche minuto.
Nel corso della preparazione del pranzo registravo i lamentosi sbuffi di mia
madre che a modo suo reagiva al caldo.
Mio padre, reduce di una giornata di lavoro iniziata molto prima dell’alba,
restava semiappisolato seduto sul suo scalino personale con gli occhi
chiusi, la testa sorretta dalle mani e i gomiti inchiodati sulle ginocchia.
Il sudore colava dalla sua fronte e rigava le sue gote scavate.
Era giovane mio padre ma la sua pelle era segnata dal sole che giorno dopo
giorno creava solchi prematuri destinati a restare permanenti.
Quando qualche timida folata d’aria s’insinuava interrompendo la vampa
persistente, per l’istante della sua durata, mia madre a modo suo la
salutava invocando ad alta voce il suo misterioso Eolo: luca, luca, luca!!!
Poi si rivolgeva a me che cercavo di trovare in tempo qualche scusa
persuasiva per scampare alla missione nella quale mi sentivo già fatalmente
catapultato senza scampo.
“Va ccatta un picca te jacciu…sbricate ca è prontu”!
Borbottavo lamentandomi del perché fossi sempre io la vittima predestinata e
chiedevo la ragione per la quale non si rivolgesse mai a mia sorella pur
conoscendo a priori la risposta che all’epoca non mi sembrava affatto
ragionevole: “perché ha solo sei anni”.
Rubavo un altro fiore di zucca prima di infilare le ciabatte di plastica e
avviarmi verso la ghiacciaia a meno di un chilometro da casa mia.
L’andata era lenta perché ero distratto da ogni cosa. A ogni passo una
scoperta nuova, ogni strada era un altro universo ma il sole era sempre lo
stesso inchiodato dispettosamente appena al di sopra alla mia testa.
Con il pezzo di ghiaccio in mano avvolto nella iuta mi sentivo un po’ più
responsabilizzato e acceleravo il passo per non banalizzare lo sforzo
dell’impresa appena compiuta e tornare a casa con uno straccio bagnato.
Scostavo la iuta per mordicchiare il ghiaccio e passarmelo sulla faccia ma
senza però indugiare più di tanto.
Mio padre scalpellava solo il pezzo necessario di quel refrigerio e
riavvolgeva il resto ancora nella iuta per conservarlo fino al pomeriggio.
Il ghiaccio nella brocca di cristallo era una scultura che cambiava forma e
il prodotto della metamorfosi era l’acqua fredda che ci rendeva euforici e
convinti più che mai che fosse quello l’unico sistema per tenere a bada
l’afa soffocante.
Dopo il pranzo arrivava l’ora odiata della siesta per me semprecoatta. Non
sono mai riuscito a chiudere un occhio nell’ora della siesta e ogni
movimento sul saccone riempito di paglia o foglie di mais (sbroie)
che si usava d’estate per fare la siesta, era un concerto che disturbava
anche il sonno di mio padre.
Ottenevo allora il permesso di spostarmi nell’altra stanza dove, con la
complicità della luce che filtrava dalla porta, leggevo le strisce di Blek
Macigno. La stanza diventava d’improvviso l’Ontario dove pescavo trote con
Roddy sotto lo sguardo saccente del professor Occultis.
Combattevo con i trapper il colonialismo inglese delle giubbe rosse e
diventavo il braccio destro del coraggioso Blek che sembrava terrorizzato
solo dalle donne. Questo terrore però io non l’ho mai capito.
* /corpo */>
Tuglie...per raccontar paese...
* sotto */>
Tutti i marchi, foto, immagini e
scritti presenti sul sito
appartengono ai legittimi proprietari.
E' severamente vietato copiarne i contenuti.
Sito ottimizzato per: