Quando mi è stato chiesto di scrivere un articolo per “Paese”, ero indeciso
sulla scelta dell’argomento… poi ho visto il presepe di mia sorella.
STORIE DI PRESEPI, MASSAIE E CIABATTINI di Gerardo Fedele
Sin dall’età della nostra fanciullezza, ogni anno, quando nel calendario si
affaccia Dicembre, con tutti i suoi giorni di festa, si ha, ancora una
volta, la deliziosa sensazione di vagare nella magica atmosfera di quella
Notte Santa. Si comincia con l’Immacolata (con i “digiuni a suon di puccia”
della vigilia), si prosegue con Santa Lucia e si arriva al Natale, la regina
di tutte le feste. Questa grande solennità, da trascorrere categoricamente
in famiglia, si protrae spesso fino a Santo Stefano e, con lo scoppiettante
e “spumeggiante” Capodanno, si conclude il lungo ciclo delle festività… se
non consideriamo la Befana.
Per me, ma credo anche per quelli della mia generazione, risulta impossibile
dimenticare quell’atteso codicillo delle vacanze natalizie. Quei momenti
spensierati della verde età vengono ricordati, invece, con piacevole
nostalgia, specialmente quando, in attesa che trascorresse la notte,
venivamo ansiosamente rapiti dalla gioia di trovare (o ritrovare) i doni nel
camino, lasciati dalla generosa Vecchietta, ma anche dall’amarezza di dover
ritornare a scuola il giorno dopo.
Ma oggi, per nostra fortuna, le grandi tradizioni di una volta non sono
andate del tutto perdute, esse continuano ancora. Quella magica atmosfera
natalizia, è tipica dei nostri paesi ed è assaporata solo nei nostri paesi.
Per noi meridionali, viene scandita ancora dalle novene mattutine, dalle
canzoni pastorali, dal sapore delle pittule e purciaddhuzzi, dalle letterine
dei figlioli, dal carbone nella calza, dalle fòcare e, in modo particolare,
dal rituale allestimento dei presepi.
È da qualche secolo ormai che in Italia esiste un numero infinito di
persone, dalla più umile alla più importante, prese dalla fanciullesca
smania di fare dello spicciolo artigianato natalizio. Questo richiamo,
dettato dal forte sentimento religioso e dagli affetti familiari, insiti in
ognuno di noi, è propriamente tipico delle popolazioni cattolico-cristiane
meridionali(*).
Con gioiosa euforia, infatti, nei giorni precedenti le feste natalizie, la
maggior parte di noi dedica il proprio tempo libero per la preparazione di
scenografici fondali di cartone utilizzando i materiali più disparati. Una
specie di gara tra parenti e amici che darà vita a originalissime forme di
rappresentazioni presepiali, traboccanti cultura e ricche di costumi. Ancora
oggi, alla vista di un bel presepe (come quello di Rosaria, appunto), quel
patrimonio tangibile di conoscenze si diffonde, richiamando un’epoca storica
singolarissima che appartiene per intero a ognuno di noi: il Barocco della
Napoli settecentesca, di cui riporto un piccolo accenno.
La tradizione del Presepio, secondo le agiografie, ebbe origine mentre il
Poverello d’Assisi celebrava la Santa Messa. Si narra che durante il rito
venne rievocata la nascita di Gesù e, nella rappresentazione vivente di
quell'evento, sarebbe apparso nella culla un bambino in carne ed ossa. San
Francesco lo prese con sé in braccio e, da allora, il Presepio resta ancora
uno dei principali simboli dell’Universo Cristiano.
Da quel momento in poi la Natività, derivata dalle sacre rappresentazioni
medievali, fu rappresentata all’interno dei luoghi di culto e nelle più
svariate forme scultoree. Le prime statue (lignee, in terracotta, in
pietra), raffiguranti i personaggi più importanti, come la Sacra Famiglia,
che ritroviamo fino agli inizi del ‘Seicento, erano scolpite a grandezza
umana. Verso la metà di quel secolo le statuine, le cui dimensioni ridotte a
circa settanta centimetri, furono sostituite da manichini snodabili, con la
testa e gli arti di legno, realizzati con un'anima di fili di ferro
imbottiti con la stoppa e rivestiti con abiti di cartapesta o di stoffe,
facendogli assumere pose molto più plastiche ed eleganti. Questo consentì di
costruire e realizzare, con l’aggiunta di nuove statuine, molteplici
rappresentazioni scenografiche, tutte diverse tra loro, in cui i sacri
personaggi si mescolavano con quelli profani, raffiguranti gli uomini comuni
della quotidianità popolare (venditori, nani, mendicanti, donne con il
gozzo, osti, zampognari, animali, ciabattini, massaie, ecc.) che animavano
piazzette, vie e vicoli.
Nasceva così la teatralità del Presepio napoletano che, fino a quel momento,
era stato oggetto di pia venerazione religiosa, svolta esclusivamente nelle
chiese, dalle quali ebbe licenza di uscire per entrare nelle lussuose dimore
dell'aristocrazia.
Il Presepio raggiunse così una sorta di sublimazione nel Settecento, dove
visse la sua stagione più fortunata. Nobili e ricchi borghesi gareggiarono
per allestire impianti scenografici sempre più complessi e ricercati,
modellando e vestendo, anche personalmente, quelle statuine che ormai
vengono chiamati genericamente i “pastori” del Presepio.
Va ricordato che fu proprio Carlo III di Borbone, molto credente e vicino
alla Chiesa, ad aver dato inizio con gusto finissimo alla scenografica
rappresentazione del Presepio settecentesco, che modellava con le sue mani.
Alla moglie, la Regina Amalia, invece, aiutata dalle dame di Corte, era
affidato il compito di cucire, ricamare e vestire, con inimitabile eleganza,
le numerosissime figure che popolavano la scena natalizia. E così fecero,
contagiati da quella passione, i successori del Re, a partire da Ferdinando
IV di Borbone.
Ormai costruire e realizzare presepi era la moda del momento. La voce si era
diffusa presto nel reame e l’aristocrazia napoletana gareggiava con la Corte
borbonica e con i grandi artigiani dell’epoca, i quali aguzzavano il loro
ingegno impreziosendo le loro opere. Questi eccellenti maestri erano
gioiellieri, orafi, costruttori di strumenti musicali, ceramisti,
ceroplasti, intagliatori e intarsiatori, architetti e pittori. L’arte della
cartapesta, infatti, nasce e si sviluppa grazie a queste eccellenti figure
professionali, che impiegano sapientemente le larghe e tenere rivestiture
degli alberi da sughero, importate maggiormente dalla Sardegna, per ottenere
fondali e quinte nei loro preziosi manufatti artistici.
Dei tanti presepi realizzati da questi artisti ne restano solo pochissimi
esemplari, gelosamente conservati e custoditi in qualche museo e in alcune
collezioni private. Tra quelli miracolosamente salvati, va certamente
menzionato il più importante: il cosiddetto “Presepio di Cuciniello”, opera
di stupenda e rara bellezza, che si può ammirare a Napoli, nel Museo
Nazionale di San Martino, le cui scene furono progettate e realizzate dallo
stesso architetto, letterato e drammaturgo Michele Cuciniello,
dall'architetto Fausto Niccolini, dal drammaturgo Luigi Masi e da Luigi
Farina. Ciò che di quest’opera colpisce l’osservatore, oltre al pittoresco
realismo dei protagonisti della vita quotidiana napoletana, è l’effetto
scenografico dell’insieme, ma soprattutto quel volteggiare, librati
nell’aria, dei putti e degli angeli intorno alla Sacra Grotta. Questo
spettacolare Presepio rappresenta l’apice di una vera e propria arte
tramandata da intere generazioni e che ancora oggi riesce a distinguersi nel
mondo intero. Proprio qualche giorno fa, infatti, ho avuto modo di visitare,
tra una marea di visitatori, la Mostra annuale dei Presepi, che si svolge
nei locali della vecchia “Upim” di Lecce, nei pressi di Piazza Sant’Oronzo.
Tra i numerosi espositori ve ne sono alcuni singolarmente bravi, che
riescono a fare cose di altrettanta straordinaria bellezza. Vale proprio la
pena di spendere un po’ del proprio tempo per andarli a vedere. La presenza
di tutta quella gente, molto interessata a quei minuscoli capolavori,
dimostra che le grandi tradizioni di una volta, come dicevo, potranno essere
mantenute in vita, a favore delle generazioni future, ma anche se
altrettanto grande sarà la nostra passione per i loro contenuti.
(*) Per secoli la tradizione
cattolica è rimasta legata al Presepio, creato e voluto da San
Francesco, che ci accompagna in tutti questi giorni di festa. A questa
tradizione si aggiunge quella dell’Albero di Natale, che fino a qualche
decennio fa i cattolici consideravano contraria alla loro religione, ma
che è stata introdotta da Giovanni Paolo II, negli ultimi anni del suo
pontificato, attraverso l’innalzamento di un enorme albero di Natale in
Piazza San Pietro, fulcro del cattolicesimo mondiale. La storica
“contrarietà” dei cattolici è dovuta principalmente a quello che
successe negli anni successivi alla Rivoluzione Francese, in cui i
giacobini francesi ed italiani, piantando l’Albero della Libertà nelle
piazze delle città conquistate, abolirono anche tutte le tradizioni
religiose e perseguitarono lo Stato Pontificio con tutti i suoi alleati.
È abbastanza curioso che nello stesso periodo, con il culto dell’Albero
della Libertà, inizi la tradizione dell’Albero di Natale. Più libertà e
meno religione, più alberi e meno presepi: questo sembra aver suggerito
la storia. Ma così non è stato. Non è un caso che le famiglie di fede
cristiana, all’Albero, preferiscano ancora il Presepio.
(Articolo pubblicato in “Paese”, il periodico dell’Amm.ne Com.le di
Tuglie, nel numero di Dicembre 2009)
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