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Tuglie, un piccolo paese poco distante da Gallipoli, contava circa
4.000 abitanti, in prevalenza contadini, agricoltori esperti nella
oltivazione della vite e dell’ulivo e piccoli artigiani. In quegli
anni, già a partire dal 1890, erano emerse in tutta la loro
drammaticità, non solo in Italia, le condizioni di miseria, dovute
principalmente alla disoccupazione, che avevano spinto molti ad
emigrare. Dal porto di Napoli, come da altri porti europei,
partivano giornalmente migliaia di emigranti diretti verso
l’America: uomini, donne, interi nuclei famigliari affrontavano
sacrifici, stenti e sofferenze per sopravvivere durante il lungo
viaggio, prima di sbarcare a Ellis Island, un’isoletta di fronte a
New York. Quello che negli anni successivi sarebbe stato definito
come “il ogno americano” spingeva così milioni di italiani e, fra
questi, un’altissima ercentuale di meridionali a lasciare la propria
terra in cerca di fortuna oltremare. Il fenomeno interessò, com’era
prevedibile, anche il nostro paese. Dai registri dell’archivio di
Ellis Island risulta che circa 300 cittadini tugliesi giunsero negli
Stati Uniti tra la fine dell’800 e i primi decenni del ‘900. La
classificazione per sesso vede prevalere nettamente l’elemento
maschile (260 unità) nei confronti di quello femminile (40 unità).
Si sa che la maggior parte degli emigranti salentini raggiungeva via
mare Napoli, partendo da Gallipoli, per poi imbarcarsi su grossi
bastimenti insieme ad altri emigranti meridionali. L’Amministrazione
Comunale di Tuglie, guidata dal sindaco Giuseppe Ria 2, cercò di
adoperarsi come poteva non solo per arginare la fuga della forza
lavoro, ma anche per assicurare qualche possibilità lavorativa a
quanti, per l’età o per particolari condizioni familiari o di
salute, non avevano alcuna possibilità di raggiungere il Nuovo
Mondo. Fu nella seduta del Consiglio del 2 luglio 1900 che
l’Amministrazione finalmente prese atto della grave situazione
economica in cui si trovava un’alta percentuale di cittadini, che
avevano assoluto bisogno di lavoro per assicurare il sostentamento
delle proprie famiglie 3. La crisi occupazionale aveva investito
principalmente il settore agricolo, che pure, nei decenni
precedenti, aveva costituito un’essenziale fonte di reddito per gran
parte della popolazione. In agricoltura, si era registrato in quegli
anni un devastante attacco di peronospora che aveva distrutto interi
raccolti viticoli e costretto i proprietari dei terreni ad
interrompere le colture e, in alcuni casi, ad abbandonare le
campagne per lunghi periodi. Era chiaro, a questo punto, che
l’Amministrazione Comunale doveva adoperarsi con tutte le sue forze
per limitare, con l’esecuzione di opere pubbliche, la disoccupazione
dilagante e, al tempo stesso, per assicurare l’ordine pubblico e la
sicurezza delle persone. Secondo il Sindaco Ria, per dare lavoro ai
contadini era opportuno procedere – direttamente o attraverso un
consorzio con i proprietari dei terreni – alla sistemazione di
alcune strade vicinali che attraversavano le campagne. In questo
modo, l’agricoltura, passata la fase critica, ne avrebbe tratto
sicuro vantaggio, dato che, negli anni di cui parliamo, era
un’impresa raggiungere le proprietà con i mezzi di cui si disponeva.
Venne anche ventilata l’idea di dare esecuzione ad una deliberazione
del 20 aprile dello stesso anno, che prevedeva lo sventramento della
Via Giardini e la prosecuzione della strada attraverso il giardino
di proprietà dei signori Servodidio Nocera e Vito Vergine, per farla
sboccare sulla Via Oliveto . In ogni caso, però, occorreva fare i
conti non solo con le risorse del bilancio, che non prevedeva alcuno
stanziamento per dette opere, ma anche, per la sistemazione delle
stradine di campagna, con le autorizzazioni dei Comuni limitrofi,
nei cui territori molti tratti di quelle stradine ricadevano. Si sa,
infatti, che i territori di Parabita e di Sannicola, prima della
variazione territoriale del 1924, si estendevano fino al nucleo
abitato di Tuglie. Alcuni consiglieri comunali pensavano più in
grande: qualcuno suggeriva, per venire incontro ai lavoratori
poveri, di acquistare grano, orzo e legumi, per rivenderli a prezzo
di costo e con pagamento dilazionato; altri, non senza lungimiranza,
insistevano perché si avviassero una buona volta i lavori di
costruzione della strada Tuglie-Neviano. Pia illusione,
quest’ultima, dato che sarebbe stato necessario aspettare altri
sessant’anni per vedere i due paesi collegati da una strada
asfaltata. Parole, naturalmente, come spesso succede nelle assise
cittadine: i fondi necessari, infatti, provenienti da mutui
garantiti dallo Stato, da prestiti di privati, dall’applicazione di
sovrimposte sui redditi immobiliari, erano tutti di là da venire e
non sarebbe stato facile assicurare pane e lavoro ai disoccupati con
i tempi “tecnici” di una burocrazia opprimente. Il successivo 9
luglio 1900 il Consiglio Comunale ribadì la necessità di cercare
delle opportunità di lavoro, insistendo per la sistemazione di
alcune vie vicinali in Contrada Scirocco (territorio di Parabita e
Neviano), della vecchia strada per Neviano fino alla Contrada
Fanciullo e di alcuni tratti di strade interne. Si stabilì che i
lavori sarebbero stati eseguiti in economia, sotto la sorveglianza
della Giunta Municipale che avrebbe provveduto alla direzione con
l’ausilio di persone esperte. Nella stessa seduta, il Consiglio fece
voti al Governo perché accogliesse le richieste dell’Amministrazione
Comunale che miravano ad alleviare le tristi condizioni economiche
della popolazione e a scongiurare pericoli per l’ordine pubblico. Lo
stesso Consiglio non mancò, nell’occasione, di far proprio l’ordine
del giorno votato dal Comitato Provinciale Permanente di Lecce, col
quale si invocavano provvedimenti risolutivi, da parte del Governo
nazionale, per fronteggiare la crisi economica che affliggeva
l’intera popolazione della Provincia di Terra d’Otranto. Occorrerà
aspettare il 28 febbraio del 1901, per vedere formalizzata, da parte
del Consiglio, l’assunzione di un mutuo di £. 6.000 per la
riparazione delle strade interne ed esterne all’abitato di Tuglie,
al tasso dell’8% e per la durata di sei anni. Come garanzia del
prestito, il Comune dovette impegnare le sovrimposte sui terreni e
fabbricati. Non fu possibile, infatti, garantire il prestito con le
entrate del dazio sul pane (£. 1 per quintale), perché il Governo,
sull’onda della protesta generale, ne aveva vietato l’applicazione.
In attesa della concessione del mutuo, il sindaco si accordò con i
proprietari dei suoli interessati all’apertura della nuova strada
tra Via Parabita e Via Giardini e autorizzò il Comune di Neviano a
procedere all’istituzione del Consorzio per la sistemazione della
via Tuglie-Neviano, facendo redigere il relativo progetto esecutivo.
Nell’intento di affrettare i tempi della pratica di mutuo,
l’assessore Raffaele Santese, accompagnato dal segretario comunale
Ludovico Scuro, si era recato presso la Sottoprefettura di
Gallipoli, per esporre le penose condizioni di molte famiglie,
conseguenti alla perdurante crisi dell’agricoltura. L’accoglienza
non era stata delle più calorose... Nella seduta consiliare dell’11
marzo 1901, lo stesso assessore espose in dettaglio come si era
svolto l’incontro col Sottoprefetto: Signori, questa mattina
essendomi presentato dal Sottoprefetto di Gallipoli in compagnia del
segretario Scuro fui ricevuto in modo poco lusinghiero, pur tuttavia
cercai di esporre i motivi della mia missione, annoverando alle
gravi condizioni del paese ed alle gravi condizioni finanziarie del
Comune, il dazio imposto con la deliberazione del 28 febbraio scorso
sul pane, dazio colpito da abolizione grazie ai provvedimenti
finanziari del Governo, ma non riuscì ad essere ascoltato, perché il
Sottoprefetto avrebbe risposto soltanto quando gli sarebbe stato
rimesso un apposito rapporto. Il segretario si permise di chiedere
almeno un consiglio, ma gli furono rivolte le seguenti parole: “Voi
siete il primo rompi c…. di questo mondo”, dopo di che il
Sottoprefetto ci lasciò con l’animo sconcertato. In seguito ci
fermammo nell’ufficio del Segretario di Sottoprefettura e del
Commissario di Leva, presenti al fatto, ed avendo a costoro il
segretario Scuro espresso il suo rammarico per l’umiliazione subita,
senza alcun motivo, il Sottoprefetto infuriato ritornò e col massimo
disprezzo impose al nostro segretario di uscire fuori dall’ufficio,
senza ammettere alcuna ragione. Io, sorpreso da un simile
trattamento, cercai di essere ascoltato, ma fu inutile, rimanendo
offeso da siffatto contegno, che m’induce a declinare la carica di
assessore e consigliere comunale. 8 La notizia provocò una
comprensibile irritazione, fino al punto che l’intero Consiglio
decise di rassegnare le dimissioni. Fu grazie all’intervento
dell’on. Vischi, cittadino onorario di Tuglie, che – di lì a qualche
giorno – l’intero Consiglio si indusse a ritirare le dimissioni. Fra
le ragioni del ripensamento vi fu certo la preoccupazione per
possibili disordini come quelli che si verificavano in quegli anni
in numerosi comuni del Salento e per assicurare almeno l’ordinaria
amministrazione e principalmente il pagamento degli stipendi agli
impiegati, le cui famiglie dovevano arrangiarsi per tirare avanti.
Il successivo 30 marzo 1901 l’Amministrazione Comunale, avute le
necessarie assicurazioni e garanzie da parte delle autorità
governative, confermò la precedente deliberazione del 28 febbraio
per la contrattazione del mutuo di £.6.000 col tasso non superiore
all’8% e per la durata di sei anni, salva la facoltà del Comune di
estinguerlo prima 9. Era evidente che l’esecuzione delle opere, che,
per quei tempi, rappresentavano un intervento di non poco conto,
richiedeva tempi medio-lunghi, non compatibili con le condizioni di
vita di larghi strati della popolazione. D’altra parte, le risorse
finanziarie del Comune erano men che modeste e comunque
insufficienti anche per piccoli interventi di carattere
assistenziale. Fu per assicurarsi un minimo di liquidità che il
Consiglio, con deliberazione del 16 ottobre 1901, stabilì di
applicare un dazio sul pane (2 lire a quintale) che, per la maggior
parte, veniva fornito da paesi vicini, come Gallipoli, Collepasso e
Maglie. Il successivo 23 ottobre, in sede di esame della bozza di
bilancio per l’anno 1902, il Consiglio stabilì non solo di mantenere
tutte le imposte, sovrimposte e dazi applicati nell’anno 1901, ma si
pose il problema di reperire altri fondi per far fronte a debiti
rimasti fino a quel momento insoddisfatti. Fra questi, le spese per
il funzionamento di alcuni uffici mandamentali di Gallipoli e per il
saldo dei lavori di costruzione della casa comunale, dovuto
all’Impresa Salvatore Merenda. Per l’esercizio 1902, il bilancio
prevedeva entrate per lire 19.938,71, a fronte di una previsione di
spesa di lire 25.354,15. Per coprire il notevole disavanzo, che
ammontava a lire 5.415,44, sarebbero stati indispensabili interventi
di carattere straordinario, nuove imposizioni fiscali o aumento
delle tariffe oppure, in ultima analisi, il rinvio del saldo dei
debiti agli esercizi successivi. La crisi economica a Tuglie agli
inizi del Novecento La decisione di applicare un’addizionale del 30%
sulla tassa di famiglia (focatico) non ebbe alcun seguito, come pure
non ebbero corso le richieste fatte da molte Amministrazioni,
compresa quella di Tuglie, affinché il governo centrale riducesse le
aliquote delle imposte. Nel campo delle opere di pubblico interesse,
qualcosa cominciò a muoversi nel mese di dicembre del 1901. Per
assicurare lavoro ai cavamonti, il Comune commissionò a maestranze
locali lo scavo dell’ossario presso il cimitero. Nei mesi precedenti
alcuni operai erano stati utilizzati per lo spianamento delle
asperità del fondo stradale di Via S. Antonio e di Via Ferro (oggi
Via dei Mille). Ai primi di maggio del 1902, il Consiglio Comunale
approvò l’ennesimo ordine del giorno per chiedere al Governo
provvedimenti urgenti per arginare i gravi effetti della crisi
agraria e commerciale del Mezzogiorno, in conseguenza del mancato
raccolto vinicolo ed oleario, protrattosi per diverse annate.
D’altra parte, le condizioni dei produttori agricoli, in prevalenza
proprietari di modeste estensioni di terreno, erano aggravate dai
tassi d’interesse praticati dalle banche, tassi che quasi sempre
raggiungevano livelli di vera e propria usura. Non mancava chi
sosteneva che solo attraverso lo sgravio delle imposte si sarebbe
dato un aiuto immediato alla popolazione, le cui ristrettezze
economiche perduravano da tempo ed erano ormai diventate
insopportabili. Su questa linea, il Consiglio Comunale fece voti al
Governo per la riduzione delle imposte dirette ed indirette di
consumo e della tassa di distillazione dell’alcool e delle vinacce.
Infine, il Consiglio tornò ad insistere sulla necessità di
realizzare opere pubbliche di ampio respiro, grazie alle quali non
solo si sarebbe avvantaggiata la produzione agricola ma si sarebbero
create anche nuove opportunità di lavoro. I settori privilegiati dal
Governo per lo sviluppo del Mezzogiorno erano costituiti, nel campo
delle opere pubbliche, dalla costruzione di reti stradali e
ferroviarie, oltre che dagli interventi di manutenzione e
modernizzazione delle poche stazioni esistenti e del materiale
rotabile. Questi interventi, che si concretizzeranno di lì a pochi
anni anche nella nostra regione, attraverso la costruzione delle
prime reti ferroviarie, si completarono con una politica di
riduzione delle tariffe ferroviarie, da tempo auspicata sia dai
coltivatori che dagli intermediari del commercio dei prodotti
agricoli. Com’era prevedibile, fu proprio in coincidenza con la
crisi dell’agricoltura e con le conseguenze che questa ebbe anche
negli anni successivi che il flusso migratorio nazionale verso le
Americhe raggiunse le percentuali più alte. Basti pensare che nel
quadriennio 1901-1904 emigrarono in media 510.980 cittadini l’anno,
mentre nel quadriennio precedente 1896-1900 la media si era
attestata su 310.434 persone l’anno. La curva delle emigrazioni
scenderà notevolmente negli anni dal 1905 al 1907, durante i quali
sono registrate complessivamente 739.661 trasferimenti nel
continente americano. Per avere un’idea di quanto il fenomeno
migratorio fosse diffuso anche nei piccoli comuni del Mezzogiorno,
basti pensare che a Tuglie operava in quegli anni una succursale
della Compagnia Fabre di Navigazione, di cui era legale
rappresentante Cesare Imperiale. Fra le sue attività rientrava
quella di aiutare i cittadini nelle pratiche migratorie e per
superare i ritardi nel rilascio dei documenti. Prospettive
incoraggianti di sviluppo cominciarono ad intravedersi quando
presero avvio a Tuglie, sulla strada per Parabita, i lavori di
costruzione della Distilleria Piccioli, la cui consistenza lasciava
sperare nell’assorbimento di un cospicuo numero di operai generici.
Un’altra ventata di ottimismo fu portata dalla realizzazione del
tratto Nardò-Casarano della Ferrovia del Capo di Leuca, lungo il
quale era prevista la fermata a Tuglie. La realizzazione della
tratta Seclì-Neviano-Aradeo-Tuglie richiese un eccezionale impiego
di manodopera anche per lo scavo del trincerone, profondo 15 metri
(ai tugliesi noto come taiamentu), reso necessario per abbattere i
dislivelli del terreno, prima dell’abitato di Tuglie. Nell’uno e
nell’altro caso si trattò di opere di rilevante impegno, la cui
esecuzione consentì l’assorbimento di manodopera e,
conseguentemente, un miglioramento delle condizioni generali di vita
di parte, almeno, della popolazione. Se a ciò si aggiunge che,
grazie alle rimesse degli emigranti, prese slancio l’attività
edilizia, risulterà evidente che un concorso di fattori positivi
portò ad un sia pur modesto miglioramento dell’economia del Sud e,
per la parte che qui ci interessa, di Tuglie e dei paesi vicini,
interessati essi pure dalla costruzione della nuova rete ferrovia.
Via via però che l’esecuzione delle grandi opere veniva portata a
compimento, i problemi economici tornavano a presentarsi in forme
sempre più allarmanti. Seguì, verso il 1909, una forte ripresa del
fenomeno migratorio oltre Atlantico, che si protrasse fino al 1914,
anno in cui nuove tragedie si annunciarono, con lo scoppio della
prima guerra mondiale.
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