Nel 1926, Piero Gobetti riparava già a Parigi, malmesso, ma continuava a
seguire, anche grazie alla moglie Ada, i suoi progetti editoriali in
Italia. Il giovane Natalino Sapegno, conosciuto a Torino prima della
laurea, collaborava attivamente da tempo a questi progetti, e con il
celebre Resoconto di una sconfitta (1924) aveva dato il suo
contributo decisivo richiamando alle sue responsabilità il mondo
intellettuale italiano, preda di un vuoto di azione dopo la fine della
guerra e incapace di riconoscere in Croce la guida più coerente e
sistematica. Questo saggio doloroso mette sul tappeto, con toni che
ricordano il Tronti degli anni ’80 e ’90, i temi che agitavano la nuova
generazione nel periodo terribile tra la marcia su Roma e il 1926,
quando l’inquieto giovane Gobetti moriva dopo che le leggi fascistissime
avevano ridisegnato le istituzioni senza quasi trovare resistenze.
Proprio nel 1922 il giovane aostano Natalino aveva discusso a Torino una
tesi di laurea sulla poesia del frate francescano radicale Iacopone da
Todi con il professor Vittorio Cian, esponente di lungo corso della
gloriosa scuola storica nonché sfidante a duello dell’antifascista
Gobetti dopo che quest’ultimo aveva chiarito sul suo giornale che il
regime non si sconfiggeva coi giochi parlamentari. A chiusura di questo
cerchio intensamente politico e personale, Sapegno pubblicò per le
edizioni del Baretti, appena dopo la morte dell’editore, una versione
rivista della tesi di laurea di quattro anni prima.
L’anastatica di questa edizione è oggi pubblicata nel quadro delle
edizioni gobettiane (N. Sapegno, Frate Jacopone, Edizioni Storia
e Letteratura, 2024) arricchita da un prezioso paratesto informativo. Lo
studio di Sapegno si sviluppa su due movimenti, che sono anche le due
parti del libro: una sezione biografica, che ricostruisce la vita di
Iacopone, un personaggio in vista della Todi del Duecento che si
converte tardivamente alla vita francescana per poi entrare in conflitto
con la dirigenza dell’Ordine e con il papa, finendo addirittura in
prigione; una sezione più letteraria, che propone una lettura dell’opera
poetica di Iacopone, le Laudi (ballate di argomento religioso).
Le due parti fanno emergere due anime dello studioso, che rimontano a
due approcci diversi: da una parte, quella erudita della scuola storica,
fortemente radicata nell’Università di Torino; dall’altra, quella
crociana, che rendono operativa sull’opera del frate-poeta la
distinzione fra poesia e non poesia. Possono sembrare divaricate, ma in
realtà Sapegno riesce a superare il pregiudizio storico che manteneva
Iacopone completamente “fuori” dal canone letterario, o perché
“popolare” o perché troppo teorico (e quindi colto, secondo Novati).
Riesaminando le fonti che confermano la partecipazione attiva del frate
alla frangia più tormentata dei francescani, lo Iacopone di Sapegno è
segnato da questo conflitto religioso, ma anche da un percorso di
continua conversione. Questo quadro permette allo studioso di far
saltare il corto-circuito crociano: invece di cercare spezzoni di vera
poesia, Sapegno isola il nucleo lirico di questa scrittura a metà tra i
vortici lessicali delle laude che tentano l’impossibile descrizione del
rapporto con la divinità, e quelle più violentemente implicate nella
lotta religiosa, e quindi predicatorie, retoriche, finanche filosofiche.
Questa mossa è rimasta isolata ed è stata scarsamente messa in atto
dalla critica successiva, che con molta difficoltà ha saputo vedere
nelle Laudi un’esperienza poetica parallela a quella dello Stil Novo e
del giovane Dante (ed è il risultato più rilevante dell’analisi di
Sapegno), sottolineandone, al contrario, una voluta ed esibita
marginalità.
Eppure questo saggio, pure apparentemente così lontano e accademico,
pure così capace di incubare il metodo e gli interessi del Sapegno
maturo (la storia letteraria totale, il problema delle origini e della
poesia minore) e della sua capacità di fare scuola (coi vari Salinari e
Asor Rosa), bruciava di attualità in quel fatidico 1926 ed era capace di
unire il percorso tormentato di Natalino e quello di Gobetti.
Avvicinatosi a quest’ultimo ma poi ritiratosi dalla militanza attiva,
Sapegno trovava nella tradizione famigliare cattolica un rifugio che lo
portò a curare un’antologia di Tommaso d’Aquino poco dopo la laurea;
proprio nello stesso anno, Gobetti inchiodava un’intera generazione alle
sue responsabilità non solo politiche ma anche intellettuali invitando a
scegliere: «o con il tomismo e con la Chiesa, o con il razionalismo
moderno … con l’eresia, insomma.» (La Rivoluzione liberale, 1922)
Lo Iacopone di Sapegno è il sintomo di un tormento di questa
generazione, che si mette davanti a un eretico e scismatico (come
Gobetti) che «non pareva avvertire il pericolo della sua posizione
estrema» (p. 68).
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Tuglie...per raccontar paese...
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