GEOGRAFIE.
I settecento anni dalla morte, l’8 gennaio 1324, inaugurano un
calendario di eventi e convegni. Il suo «Milione» è un trattato
storico-politico e una miniera di dati per mercanti. Appena 17enne partì
da Venezia con il padre e lo zio alla volta della Terra Santa e da lì,
via Anatolia e Persia raggiunse la Cina dove avrebbe passato 25 anni
alla corte di Kublai Khan. Con quel libro di ricordi il mondo conosciuto
si allarga: le conoscenze dell’Europa raddoppiano e lui ci accompagna
come un antropologo per narrare il nuovo e il diverso che vede.
Il 9 gennaio di 700 anni fa Marco Polo dettava le sue volontà
testamentarie al prete-notaio Giovanni Giustinian. Marco lasciava tutto
alla moglie Donata Badoer, sposata intorno al 1300, e alle tre figlie
Fantina, Bellela e Moreta (aveva anche un’altra figlia, Agnesina,
probabilmente nata al di fuori del matrimonio). Nel testamento, Marco si
preoccupava di liberare Pietro, uno schiavo di origine tartara. In un
testo tutto sommato smilzo, che dà quasi l’impressione di essere steso
sotto l’urgenza delle cattive condizioni di salute del dittatore (che
infatti morì in quei giorni), questo dettaglio è uno sprazzo di memoria.
PIETRO EMERGE DAL PASSATO di Marco, testatore ricco e stabile in laguna,
ma poco più di cinquant’anni prima eroe quasi epico di un viaggio
incredibile: nel 1271, appena diciassettenne, si era imbarcato da
Venezia con il padre Niccolò e lo zio Matteo; passati dalla Terra Santa,
proseguirono dall’Anatolia orientale all’Armenia verso l’altopiano
iranico per raggiungere la lontanissima Cina. Qui Marco entrò in una
corte molto particolare, dominata dalla figura affascinante del khan
Kublai. Nipote di Gengis Khan, egli dominava su un impero che andava
dalla Siberia all’intera Cina. I tre Polo rimasero molto a lungo nel
paese; Marco si impratichì velocemente delle lingue parlate nel
territorio e svolse importanti missioni in luoghi lontani, fino
all’India. Solo nel 1295, dopo 25 anni, la compagnia riguadagnò Venezia.
Non fu un viaggio come gli altri, seppure non fu il primo. Missionari –
soprattutto francescani e domenicani – si erano spinti fino ai territori
mongoli, talvolta in compagnia di mercanti. Mondi diversi che si
avvicinavano perché la Terra Santa cadeva sempre di più sotto il
controllo musulmano mamelucco: le vie delle merci, e del Signore,
avevano bisogno di sbocchi nuovi, e il dominio mongolo si caratterizzava
per un dinamismo commerciale estremo, unito a una varietà di culti che
conviveva in maniera inusuale rispetto all’Europa lacerata dai
conflitti. Una «frontiera» attraente, che cominciava a essere anche
raccontata. Ma mai con la ricchezza di dettagli con cui Marco la
raccontò al suo compagno di cella, il pisano Rustichello, nelle carceri
di Genova alla fine del Duecento.
Il
viaggiatore-ambasciatore apriva la fontana dei ricordi a un
ghost-writer che fino ad allora aveva scritto romanzi cavallereschi
di successo. Ne uscì un libro straordinario, eppure inclassificabile. Il
suo titolo, Devisement du monde, significa «descrizione del
mondo», e già ne esplicita lo scopo: riunire e raccontare tutte le
conoscenze accumulate nell’esperienza del viaggio. A chi? A un pubblico
nuovo, larghissimo: non più i preti-missionari, a cui si indirizzavano
tutti gli scritti di viaggio precedenti in latino, ma ai laici tutti,
dai potenti ai semplici.
Il libro è conosciuto anche con il titolo di Milione, che deriva dal
nome di famiglia dei Polo, a significare il rapporto strettissimo tra
l’opera e la sorgente delle memorie, Marco il Viaggiatore. Ma è un libro
sfuggente, che il lettore non cattura mai: trattato geografico,
enciclopedia, storia politica, miniera di dati per mercanti.
Alle informazioni precise sui luoghi visitati (posizione, moneta,
situazione politica) si affiancano ampie sezioni sull’impero mongolo e
le sue guerre e una miniera di racconti dai filoni più ampi e vari: vite
di santi in versioni sconosciute agli occidentali, racconti meravigliosi
su animali e figure mitizzate e finalmente incontrate (l’unicorno, per
esempio, ma anche il mitico sovrano-sacerdote conosciuto con il nome di
Prete Gianni).
IL LETTORE EUROPEO si trovava di fronte un caleidoscopio di
usanze totalmente eccentriche rispetto al mondo occidentale, per esempio
in campo sessuale, punto sensibile della morale cristiana: pensiamo alla
«ospitalità» sessuale a Kamul, dove gli abitanti offrono le proprie
donne ai viaggiatori; all’armoniosa poligamia dei mongoli oppure al
matrimonio «a tempo» di Pem, o alla valorizzazione dell’esperienza in
campo sessuale delle donne a Kollam.
Con il Devisement il mondo conosciuto si allarga: le conoscenze
dell’Occidente raddoppiano, e Marco ci accompagna come un antropologo,
sfrutta i limiti della nostra conoscenza per raccontare e descrivere il
nuovo e il diverso che vede: nella regione di Ghinghintalas, scopre un
minerale resistente al fuoco con una fibra simile alla lana. Il
viaggiatore crede di essere di fronte alla salamandra, ma afferma con
orgoglio che non è un animale, come credeva la cultura comune, ma un
minerale appunto: è l’amianto. La scoperta del petrolio, o della vita
del Buddha, hanno nel testo la stessa potenza: i bias cognitivi servono
a sfidare le conoscenze.
In una delle interviste «impossibili» di Giorgio Manganelli andate in
onda sulla Rai, il Viaggiatore viene rappresentato continuamente in
bilico tra verità e finzione: e non perché ciò che dice Marco è falso,
come pure qualcuno ha sostenuto con volontà di scandalo, quanto perché
questa sfida alla conoscenza è vinta trasformando l’Oriente con la o
maiuscola in uno spazio mentale, che chiede al lettore, al sedentario,
di credere al racconto e alla memoria.
Il 2024 sarà un anno dedicato a Marco Polo e al suo libro; un comitato
nazionale per le celebrazioni è stato varato dal ministero, e il
programma delle iniziative scientifiche, in gran parte realizzate a
Venezia, si preannuncia molto ricco: sono previste mostre, laboratori
teatrali, letture pubbliche, e un convegno internazionale (11-14
settembre 2024) sull’uomo e l’opera. La sfida maggiore, per gli
studiosi, consiste infatti nel focalizzare e spiegare il miracolo di un
libro impossibile, che nonostante la sua «costruzione esperantica» (come
ebbe a dire Contini), divenne un best-seller internazionale:
immediatamente tradotto, riscritto, in gran parte trasmesso nella lingua
internazionale dell’epoca (il latino), attraversò il Medioevo uscente
con un successo straordinario (quasi 150 manoscritti). Fu questo
successo a permettere al Devisement di avere un impatto impressionante
sulla cultura successiva: se ne trovano tracce nelle carte geografiche,
ed è sempre più evidente il suo ruolo di denotatore per i viaggiatori
moderni.
PER UN PARADOSSO non tanto sorprendente, il successo ha prodotto
una miriade di falsi miti. Mettere per iscritto uno spazio nuovo ha i
suoi rischi. Marco lo ha corso, e ne è stato consapevole. Ha
probabilmente cercato anche degli alleati più autorevoli di lui, laico
mercante, per diffondere i suoi racconti; li ha trovati presso degli
aristocratici francesi, che lo hanno diffuso nelle corti arricchendolo
di illustrazioni; li ha cercati presso i frati domenicani della sua
città, che come degli editor moderni, hanno riscritto, arricchito,
raddrizzato l’opera, garantendogli una circolazione molto più ampia.
Dal viaggio al racconto al libro alla sua circolazione: l’Oriente di
Marco Polo si testualizza in maniera complessa e tormentata, mai ferma.
Per questo motivo, il lavoro sul testo che i filologi e gli storici
hanno portato avanti negli ultimi vent’anni permette di comprendere più
a fondo l’infinita pluralità del mondo, lo spaesamento del viaggio e il
patto di fiducia che ogni racconto richiede.
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Antonio Montefusco |
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