Il tempo passa, ma i ricordi restano; talvolta affiorano alla mente con gli
stessi paesaggi, con quegli stessi volti a noi cari e con gli stessi
profumi.
Per noi nonni è importante rimembrare i periodi passati possiamo tornare
fanciulli, possiamo rivivere la gioia di momenti ormai lontani o il dolore
di certi altri.
E' nostro dovere far sì che il nostro vissuto non muoia li dove è avvenuto,
è nostro dovere trasmetterlo alle generazioni future. Ricordare per non
dimenticare il passato.
Correva l'anno 1942, la guerra imperversava ancora e nostri uomini al fronte
combattevano e morivano. Nel piccoli paesi di provincia, come quello in cui
abitavo, rimanevano solamente i nonni, i malati e le donne che da sole
dovevano crescere noi bambini.
All'epoca frequentavo ancora la scuola e poiché non c'erano edifici preposti
a tale funzione dovevamo accontentarci di seguire le lezioni ín aule senza
servizi, dislocate in diverse vie.
Amavo studiare e scrivere, fin da allora ero una sognatrice, mi bastava poco
per imbastire una storia.
Io sono la maggiore di quattro fratelli.
Mia madre era una sarta e doveva lavorare duramente per poter mantenere da
sola la nostra famiglia, dato che mio padre era in guerra.
Tornò che era già nato il quarto figlio.
Vicino alla nostra casa abitava una famiglia che visse in America per
diversi anni.
Era usanza allora, nelle sere d'estate, ritrovarsi e raccontare storie. Cosi
anche noi ci radunavamo nelle piccole vie del nostro paesino, Tuglie, e
ascoltavamo quello che cì raccontava Pasqualino, il capofamiglia degli
"americani". Cantava spesso una canzone, un motivetto: "L'America è lunga e
larga, contornata da monti e colline e con l'industria di noi italiani
abbiam formato paesi e città". Le sue storie mi facevano sognare. Nel 1943
ci fu lo sbarco degli americani, che presto occuparono anche la Puglia e
Tuglie, lasciando tracce che ancora oggi i più anziani rammentano.
A quei tempi io avevo 8 anni, ma ricordo benissimo tutto quello che
successe.
I nostri paesini erano stati fino ad allora dominati dal fascisti.
Erano periodi duri, eravamo oppressi da tanti problemi causati dalla guerra,
c'era tanta miseria e tanta tristezza, e l'arrivo degli americani
rappresentò per noi una liberazione.
Ricordo che arrivarono questi ragazzoni americani belli e pieni di salute,
che dalle loro Jeep ci distribuivano gomma americana, cioccolato, farina e
ogni bendidio, ma soprattutto tanto ottimismo.
Cantavano "'Viva l'Italia", portavano le ragazze a fare i giri sulle loro
Jeep e riempirono il nostro paese di tanta allegria.
Tanti di questi ragazzi erano figli o nipoti di italiani, e furono in molti
ad andare alla ricerca dei loro parenti italiani.
Ricordo che uno di loro trovò dei lontani parenti a Tuglie, proprio nella
strada in cui abitavo, fu ospitato nella loro casa e alla fine sì fidanzò
con una delle figlie.
Furono parecchie le storie concluse con matrimoni tra tugliesi e americani.
Un ragazzo americano a Tuglie aveva conosciuto una ragazza, si era
innamorato e le aveva promesso di sposarla, e cosi fu.
Finita la guerra lui dovette tornare in America, e furono così costretti a
celebrare un matrimonio per procura, come si faceva spesso a quei tempi.
Lui le spedì un grande pacco con dentro un abito da sposa bellissimo, con
cui Marietta, questo il nome della ragazza, si sposò nella Chiesa di Tuglie.
Era un vestito stupendo, che nessuno di noi sì poteva permettere.
Tutte te ragazze del paese ne volevano uno cosi e mia mamma, che faceva la
sarta, ne confezionò parecchi ispirati a quel modello, tra cui il mio, che
indossai fiera al mio matrimonio con Michele, nel giugno 1954.
Marietta dopo il matrimonio si imbarcò su di una nave al porto di Napoli per
raggtungere il suo bell'americano, con cui sarebbe rimasta per sempre.
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Tuglie...per raccontar paese...
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