“Stazione” vuol dire,
letteralmente, “luogo di sosta”.
Ogni stazione lo è.
Meglio si
potrebbe dire “luogo d’attesa”.
Ci si fermi in procinto di partire
o, al momento del ritorno, il tanto che basta a passare dal
predellino d’una locomotiva al marciapiede, il sentimento che si
prova è quello non di uno “stare”, come la parola vorrebbe, ma d’un
tendere verso qualcosa.
Tendere a un luogo perché vi sospingono
particolari circostanze della vita; tornare al luogo natale, alle
note pareti di casa, alle vie percorse tante volte con disattenzione
e che ora sembrano muovere incontro a chi torna mostrando un volto
festevole.
La stazione, anche “questa stazione”, è un luogo in cui s’incrociano
destini, in cui storie dolorose o liete si appoggiano per un attimo
come valige piene di doni inattesi o di misere cianfrusaglie.
Non
c’è bisogno di grande movimento per evocare tutto questo: basta oggi
osservare gli scarsi viaggiatori in attesa che un lenta littorina
scivoli in frenata sui binari o riprenda il suo calmo cammino
attraverso irti blocchi di case o dolci tratti di campagne.
Basta
questo, però, a rievocare la “nostra” stazione com’era - per esempio
– alla metà degli anni Cinquanta, o poco più oltre?
La memoria talvolta arricchisce un’impressione… Di certo c’era il
vocio allegro degli studenti, il professionale incedere del
personale, il tentativo di recupero d’un po’ di sonno da parte dei
passeggeri le cui facce s’intravedevano dietro i finestrini.
In
alcuni anni la stazione si è presentata un po’ troppo povera
nell’aspetto, un po’ trascurata; in altri, lavori e risistemazioni
le hanno conferito la fisionomia dignitosa, non senza un’ombra di
civetteria, che oggi ha.
La riguardiamo, qualche volta, con un pizzico di nostalgia.
I treni
si fermano ancora: partono, arrivano… I viaggiatori sempre più radi.
Non per questo la stazione perde di fascino.
Rimane un luogo
simbolico: un luogo dell’incontro o del distacco, ma pur sempre un
luogo stampato nella nostra mente con il film di tante vicende, di
tante storie personali.
L’emigrazione ne affollò il marciapiede, ora così agevole e allora
un po’ sconnesso.
Case crebbero sui due lati della ferrovia; la
campagna cedette a qualche insediamento industriale.
E in anni
remoti una coppia di barbagianni costruì nella stazione il proprio
nido famigliare.
Ma il canto notturno di quei volatili spaventò
creduli e superstiziosi. Per i due sposi alati la stazione divenne
il luogo dal quale fuggire in cerca d’un nido più accogliente.
Non sempre le stazioni sono felici luoghi di sosta!
|