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Tuglie...per raccontar paese...
Radiobase, etereo mito tugliese, anni ‘Settanta

NOTE DI STORIA PATRIA E CULTURA SALENTINA
Società di Storia Patria per la Puglia. Sezione di Maglie, Otranto e Tuglie
Saggio storico tratto dal Volume XX. 2009. Argo Editrice. Lecce
 

Radiobase, etereo mito tugliese, anni ‘Settanta
 


Essere fortunati non sempre è indice di ricchezza, salute, benessere, ed altro ancora, ma a volte significa anche poter raccontare, per esempio, di aver fatto parte di quella generazione che ha vissuto sia il periodo della contestazione che quello della post-contestazione. Ancora oggi si raccontano le “avventure”, nel bene e nel male, di una gioventù che credeva nel futuro, speranzosa e spensierata, di una gioventù figlia dei fiori, che pensava di stare in prima linea per fare l’amore e non la guerra. In queste poche righe si racchiude un segmento di ciò che sono stati quegli anni, anche per uno studente di quella generazione, diviso tra Firenze e Tuglie, tra il “sacrificio degli studi” della facoltà di architettura ed il “sollazzo degli studi” di Radiobase, una tra le prime e più note radio libere del Salento.
Non credo di essere stato un conduttore di Radiobase a tempo pieno, ma un giovane studente che quando tornava a Tuglie, spesso e volentieri, si ritagliava molti spazi del suo tempo libero per dedicarli alla radio, facendo sempre la propria parte e dando il meglio di se stesso.
Radiobase è stata una delle primissime stelle nel firmamento delle radio libere degli anni ‘Settanta che, pur essendo stato un fenomeno nel fenomeno, non ha avuto alcun futuro, ma un’esistenza di breve durata. È altrettanto vero, però, che quel breve periodo è stato vissuto intensamente da tutti quei protagonisti, nessuno escluso, con grande spirito goliardico. Anche se in modo stringato, vale davvero la pena rispolverarne qualche pagina. Ma prima di raccontare questa singolare avventura devo fare assolutamente un breve flashback, probabilmente condiviso dai tanti, almeno lo spero, che come me hanno vissuto quel periodo straordinario.

Un’immagine che frequentemente mi viene alla mente è quella di mio nonno, adagiato e chino, quasi stiracchiato sul tavolo al centro dell’unica grande stanza della sua casa a volta, che ascoltava una di quelle grosse radio a valvole, un vecchio modello Phonola, fine anni ‘Quaranta, nel mentre si reggeva il capo con una mano. Con l’altra era concentrato a girare la manopola della sintonia, fino a quando non trovava “…lu comunicatu…”, diceva lui, che sarebbe poi il vecchio Comunicato Radio, corrispondente all’odierno Gierreuno o Gierredue. Ero ancora un ragazzino e da allora la radio non ha mai cessato di vivermi accanto, anzi è stata una fedelissima compagna sempre presente in casa mia. Quando partii per l’Università ebbi in dono da mia zia una piccola radiolina Rex rossa che, viste le sue piccole dimensioni, mi permetteva di ascoltare in cuffia, stando a letto fino a tarda notte, la musica trasmessa dai canali di Radio Londra, Radio Lussemburgo, Radio Monte Carlo e Capo d’Istria. Mamma Rai, invece, come le galline, andava a letto presto, chiudendo a mezzanotte con l’Inno di Mameli.
È da notare che le ultime due radio straniere, per nostro sommo gaudio, trasmettevano in lingua italiana e con un linguaggio dinamico e del tutto nuovo, con una programmazione ricca di musica e, principalmente, rivolta a noi giovani. Quando ascoltai per la prima volta la bellissima Chanson d’amour, dei Manhattan Transfer, fu mandata in onda dall’emittente inglese e, per diverse settimane, non riuscii più a riascoltarla, fino a quando, con molti mesi di ritardo, venne riproposta dalla nostra Radio nazionale.
In Italia, infatti, i brani stranieri venivano trasmessi da mamma Rai col contagocce e solo in programmi speciali e di breve durata, come la “Hit-Parade” di Lelio Luttazzi, insieme a “Bandiera Gialla”, “Per voi giovani” e “Alto gradimento”, di Arbore e Boncompagni, fino al mitico “Supersonic, Dischi a Mach2”, mandato in onda sul secondo canale di Radio Rai, dalle 20.10 di ogni sera, a partire dal 1971. Chi può mai dimenticare il formidabile assolo di basso come quello del brano “In a Gadda da Vida” degli Iron Butterfly, che accompagnava la sigla di apertura?
La dilagante diffusione e affermazione delle radio libere, dal 1976 in poi, segnò la fine di questo singolare programma Rock, costretto a chiudere i battenti nel 1977. Sarebbe ingiusto non essere riconoscenti a quella grandissima trasmissione condotta brillantemente da uno staff d’eccezione, composto da Tonino Ruscitto, Gigi Marziale, Paolo Francisci, Antonio De Robertis, Paolo Testa e Piero Bernacchi.
Supersonic”, bisogna rimarcarlo, è stato l’antesignano dei programmi nel nascente ciclo delle radio libere, che ha proposto un nuovo stile di conduzione dal ritmo incalzante, con interventi spiritosi e spregiudicati e, soprattutto con una grande preparazione musicale: tutte caratteristiche queste, figlie dei programmi delle già citate radio straniere.
Da qui inizia il fenomenno di tutte le radio libere italiane, ma anche la storia e la grande avventura di Radiobase, che ebbe i suoi natali nel lontano 1976.

Ogni generazione, nell’età giovanile ha cercato e cerca ancora di organizzarsi il proprio tempo libero, dandosi da fare per trovare un posto giusto in cui ritrovarsi, fondamentalmente diverso dalla strada, spesso portatrice di cattive deviazioni. Giovani e ragazzi amano frequentarsi prendendo qualche locale in affitto, per trascorrere insieme piacevoli serate, specie d’inverno, per dibattere sui loro problemi, ascoltare la musica, guardare la televisione, giocare ed altro ancora.
Non molto tempo fa mi è capitato, per puro caso, di entrare in uno di questi sodalizi. Non me lo sarei aspettato, ma devo confessare, con mio profondo piacere, che l’ho trovato molto accogliente, proprio come una piccola casa. È proprio così, infatti, che i ragazzi chiamano oggi questi loro confortevoli rifugi: la casa.
Ieri, invece, per noi che eravamo un nutrito gruppo di giovani tugliesi degli anni ‘Settanta, il nostro rifugio era la sede di una radio libera, che nacque nello scantinato di una Chiesa e trasferita, alcuni mesi più tardi, in una villetta di Montegrappa, un’amena località tugliese, dove ci restò fino all’ultimo giorno di trasmissione. A distanza di oltre sei lustri, siamo ancora convinti di essere stati veramente privilegiati per aver vissuto quella singolare e fantastica esperienza radiofonica.
Per noi giovani di Radiobase non esistevano tempi morti, dovevamo inventarci sempre qualcosa di nuovo che potesse suscitare interesse, sia per noi che per gli altri e, ovviamente, ci piaceva sentir parlare delle nostre “imprese”. Radiobase non era solo una fucina di programmi, ma anche motivo di presenza tecnica per registrare quello che accadeva nei Locali “IN” del momento, prima con il “Blu Vip” e poi con lo “Splash-in”, due ritrovi mondani tra il “Night” e la “Discoteca”, in cui oltre alla buona musica, si poteva godere anche il Cabaret.
Radiobase veniva raccontata anche attraverso gli incontri sportivi, tra il nostro gruppo e tutti gli amici che, da ogni parte d’Italia si ritrovavano a Tuglie, nel periodo delle vacanze estive. Un esempio è rappresentato dalle “Montegrappiadi”, le partite di Calcio al maschile e al femminile, così come le gare di Pallanuoto nella piscina della “Dream House” che, per tale occasione, diventava la nostra seconda sede ufficiale. La Radio, intanto che si svolgevano questi eventi, mandava in onda tantissimi brani musicali registrati sulla “pizza”, un marchingegno che ritroveremo più avanti.
Il mito di Radiobase ci stava prendendo giorno dopo giorno, ci stava coinvolgendo in un vortice di fatti e sensazioni e, noi inconsciamente, lo sapevamo. Eravamo talmente gasati e motivati che ci credevamo quasi importanti. Ci sentivamo osservati e ammirati dalle ragazze, così come dagli altri gruppi di coetanei, che ci guardavano anche con una punta d’invidia.
Tutte le nostre azioni erano tali da farci apparire quasi alla moda e, per via delle burle e degli scherzi che ci inventavamo, venivamo rappresentati come una sorta di “Nuovi Vitelloni” di felliniana memoria.
Proprio per gli scherzi, spesso pesanti, ogni tanto capitava che il caro Maresciallo Gemma della vicina caserma dei Carabinieri di Sannicola, nei tanti giri notturni di perlustrazione, con la scusa si salutarci, veniva a sorpresa nella Radio e, mentre chiacchierava con noi, controllava quello che stavamo facendo.
Non dimentichiamo che, nella prima metà degli anni ‘Settanta, nelle sale cinematografiche riscuotevano enorme successo gli scherzi dell’esilarante gruppo di “Amici Miei”, lo straordinario film di Mario Monicelli.
Ebbene, quella banda di spostati è stata un po’ il nostro filo conduttore, motivo questo che mi spinge a ricordare gli scherzi combinati tra di noi nella Radio e anche alle spalle dei concorrenti in trasmissione diretta. Singolari erano poi, quelli compiuti nel Bar Provenzano, al centro della nostra piazza, dove il compianto Ugo, venendo immancabilmente preso di mira, rincorrendoci con la pala del gelato, ci rimbrottava col suo indimenticabile “Scuscetaaati!…”.
Ma il top delle burle lo raggiungemmo nelle tante notti d’estate, in una vecchia casa colonica, delle campagne tugliesi, con la leggendaria messinscena del “Lupo Mannaro” di cui, tra i tanti malcapitati, fu vittima anche il parroco della Chiesa di Santa Maria Goretti, il caro Don Dante, che fu tra i fondatori di Radiobase. Questo scherzo fu talmente bello da essere più volte replicato alle spalle di tantissimi altri malcapitati.
Quante burle… vorrei poterle raccontare tutte, ma mi ci vorrebbe un’intera giornata solo per farne l’elenco. Chissa, prima o poi… ci sto pensando.

Ma torniamo alle radio libere. Chi non ha avuto mai a che fare con le trasmissioni radiofoniche non sa che, una volta, per aprire una radio libera bastava poco: un amplificatore, anche di pochi watt, alcuni strumenti ed accessori elettronici non molto costosi (un paio di mixer, i microfoni, le cuffie, due giradischi, un registratore a cassette ed, eventualmente, un registratore a bobine che in gergo veniva chiamato pizza, oltre naturalmente, quello a cassette musicali e decine di dischi che, spesso, venivano esportati… dalle proprie abitazioni), ma ci voleva anche, dulcis in fundo, una buona antenna (qui però c’è da aprire una parentesi: nel periodo delle radio libere, stranamente, in giro per le strade, specie in quelle periferiche, c’era scarsità di segnali stradali, non di cartelli, ma di pali, qualcuno lo ricorderà. Il motivo della loro carenza era semplice: se questi pali venivano saldati uno sull’altro, potevano trasformarsi in un’antenna, e quanti più ne venivano saldati, tanto più essa diventava alta e potente… ma intendiamoci … questa è una mia personalissima supposizione).
Tutte queste cose, ovviamente, servivano poco se non si aveva la licenza e la disponibilità di una frequenza libera, ossia non occupata da altre emittenti radiofoniche e, siccome, dopo non poche peripezie riuscimmo ad ottenerla, finalmente, la nostra emittente libera poteva trasmettere sulla frequenza di 102.8 megahertz (non ditemi cosa significa… è molto complicato, semmai ve lo dirò un’altra volta). Per ascoltare le trasmissioni della nostra radio, quindi, bastava sintonizzarsi su quella frequenza, il cui slogan era: “Radiobase, un uomo su 102.800”.
Ma, come si dice: “…fatta l’Italia, ora facciamo gli italiani…” (pare che questo risorgimentale detto sia ancora attuale), occorreva fare la cosa più importante in assoluto, ossia quella di trovare un affiatato gruppo eterogeneo di amici con interessi comuni e disposti ad affrontare qualche piccolo sacrificio.
Non era facile, ma considerato che le radio libere rappresentavano la moda del momento e che in alternativa non si aveva nulla da fare e che, infine, il divertimento era assicurato: valeva certamente la pena di tentare il gioco, per la candela!
Il nostro gruppo era proprio quello ottimale e rispondente a tutti i requisiti richiesti: nel suo interno, infatti, vi erano meccanici, elettrotecnici, radioamatori, falegnami per l’allestimento degli studi, saldatori (per i pali di prima), grafici pubblicitari, rappresentanti di commercio, impiegati per procacciare la pubblicità, tecnici, studenti e tanti altri.
Fu così che partì la grande avventura di Radiobase, proprio con un formidabile gruppo formato da tutte queste, chiamiamole così, “professionalità”.
Nella radio ci divertivamo tutti e con poco, anche scambiandoci qualche sano epiteto. C’era appunto Felice il “deus ex machina” di Radiobase, l’esperto radiotecnico, chiamato “prima Felix e poi Philips” per un motivo facilmente intuibile, se mancava lui si andava automaticamente nel panico, con il rischio di mandare in tilt l’intera radio. Il “fac totum” della radio, invece, aveva l’appellativo di “Parlante”, famoso per i suoi spassosi e funambolici racconti spesso inventati. Un altro conduttore si faceva chiamare Bonelli, ma per via di un suo programma notturno, caratterizzato da una musica talmente soft da far calare le… palpebre, da Bonelli si passò a Bonomelli, come la camomilla. E ancora l’indimenticabile Maurizio Muvi. E poi ancora, per citarne alcuni, c’era “il grande Lix”, “il medio Lux o mister tredici, per le sue qualità amatorie”, “il Buttarello”, “il Came Back”, “il peloso Gorilla”, “il Baricenzu”, “il Quasar”, “Jo-Jo” e ”le sorelle Garzettelle”. Poi ancora i personaggi storici come “la Cummare Fitarma con i suoi …cci beddhi microfuni”, “l’Ucciu Quardalamea”, “Peppinu lo furese”, che venivano trasmessi in diretta e spesso di notte. Fu un grande successo e, non volendo, avevamo anticipato di gran lunga un programma divenuto incomparabile come “Quelli della notte” di Renzo Arbore, non televisivo, ma radiofonico.
La nostra Radio, oltre a trasmettere programmi di ogni genere musicale e con interventi telefonici del pubblico, ha mandato in onda, con grande favore dei radio ascoltatori, pregevoli programmi culturali inerenti varie discipline (la Medicina, l’Agraria, l’Architettura, il Cabaret, la storia del Jazz, ecc.). Sono stati altresì organizzati non pochi eventi musicali e teatrali, trasmissioni per fini umanitari e naturalmente, interessanti programmi politici come, per esempio, “Il sindaco risponde”.

A ben vedere e con il senno di poi, posso dire con estrema franchezza che non abbiamo saputo mettere a profitto, purtroppo, quella grande occasione che la fortuna ci aveva donato. Non abbiamo mai intuito che, per molti ragazzi del nostro gruppo, Radiobase avrebbe potuto rappresentare il loro futuro.
Per noi, invece, era solo un sano divertimento, talmente grande, da non permetterci di notare un aspetto molto importante della radio: non ci siamo mai accorti che, pur divertendoci, stavamo svolgendo un lavoro, non solo proficuo, ma con grande professionalità. Questo non lo abbiamo mai capito.
Qualcuno di noi era veramente bravo, sia come D.J. che per gli ottimi programmi che ideava e conduceva.
Altri curavano la loro dizione auto-registrandosi in continuazione, in modo quasi maniacale.
Altri ancora, avevano una spiccata bravura ed una notevole fantasia, specie per la creazione di slogans pubblicitari.
La pubblicità trasmessa da Radiobase, infatti, era perfetta e curata nei minimi particolari. Chi l’ascoltava faceva fatica a distinguerla da quella dei canali nazionali, sia per le scelte musicali che per gli stacchetti, ma anche per l’ottima dizione e per l’originalità degli slogans.
Di questa vetrina radiofonica, mi piace ricordare quelle ansiose attese che si profilavano con l’affacciarsi dell’estate. Finalmente arrivavano le ragazze del nord che, oltre a suscitare quel naturale interesse che tutti sappiamo, per noi della radio rappresentavano anche un “carpe diem” da dedicare alla stessa radio. Esse, infatti, oltre a portarci le ultime novità musicali e nuovi stacchetti pubblicitari, ci consentivano di mandare in onda la femminilità delle loro voci, dalla dizione perfetta. Per di più costituivano una nuova linfa, che si infondeva nell’etere, dando quel tocco ammaliante in più che altre radio non avevano.
Quell’esperienza radiofonica, quindi, racchiusa in un breve spazio di tempo durato appena quattro anni, è stata tra le più belle della mia vita… e malgrado la nostra negligenza, unica ragione del suo tracollo, Radiobase qualcosa ci ha regalato: qualcuna di quelle ragazze, per esempio, di tocchi ammalianti ne ha dato qualcuno in più, colpendo il bersaglio in pieno. Penso per esempio alla ragazza che ho sposato e che vive ancora con me insieme alle nostre due splendide figlie. Almeno in questo Radiobase ha costituito una parte fondamentale del mio futuro.
 
 
Tratto dall’intervento di Gerardo Fedele, conduttore di Radiobase, emittente radiofonica di Tuglie (1976/86), durante la Tavola rotonda e dibattito sul tema: “Il fenomeno delle radio libere degli anni ‘70”, tenutasi nella Sala conferenze del Museo della Radio di Tuglie, per iniziativa culturale “Ottobre, piovono libri”.
Tuglie, giovedì 30 ottobre 2008
 




 

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