La copertina della Guida Turistica
“Tuglie da scoprire” all’esordio della prima edizione del 1997, in cui
si vede “ l’Uomo del Paese di Tuglie ”, ricavato dalla descrizione a pié
di pagina nell’acquerello monocromo, di color brunoterra, eseguito dai
pittori Antonio Berotti e Stefano Santucci verso la fine del
‘Settecento, per incarico di Re Ferdinando IV di Borbone.
Questo singolare personaggio, “battezzato” da Gef col nome Tullio, è
stato molte volte protagonista in varie vignette umoristiche negli anni
in cui veniva pubblicato “Forum”, un periodico tugliese
politico/satirico/culturale degli ultimi anni ‘Novanta.
Guida Turistica
promossa su iniziativa del
Comune di Tuglie
e finanziata dalla
Banca Popolare Pugliese.
Prima edizione
TUGLIE DA SCOPRIRE
Numerosi sono stati sino ad oggi gli autori che si sono interessati del
Salento, tra i più illustri viene indicato Cosimo De Giorgi, famoso per i
suoi "Bozzetti di viaggio nella Provincia di Lecce", ma anche per la
pubblicazione sulla "Geografia Fisica e Descrittiva della Provincia di
Lecce" dove, alla pagina 358 del volume secondo, l’insigne studioso accenna
così riferendosi a Tuglie:"...e il paese è anch'esso in declivio sul
dorso della collina.....piccolino, ma assai ridente; le sue case bianche
fiancheggiano una via lunga un chilometro che taglia in due l'abitato e nel
mezzo della quale vi è la parrocchiale rinnovata verso il 1835 e il palazzo
ducale dei Venturi. .....Fu infeudato ai Guarini e quindi ai Venturi...".
Ciò avveniva nel 1897.
Ambiente fisico, politico ed economico
A poco più di 36 chilometri di distanza dalla provincia di Lecce si trova
Tuglie, un interessante e industrioso centro urbano che, adagiato dolcemente
sul versante Jonico della fascia collinare delle Serre Salentine, si
affaccia sul vasto panorama della baia Gallipolina, dove il clima è del tipo
temperato-marittimo, ossia mite d’inverno e caldo d’estate, col predominio
dei venti come lo Scirocco, il Grecale e la Tramontana.
Tuglie, paese laborioso, circondato da terre fertili abilmente e
sapientemente coltivate, il cui numero di abitanti è inferiore ai diecimila,
fa parte di quel reticolo di piccoli centri imperniati sull’agricoltura, che
da sempre ha costituito e costituisce ancora il maggiore elemento portante
dello sviluppo socioeconomico di tutto il Basso Salento.
Lo stemma del Comune di Tuglie è diviso in due settori: in quello superiore,
viene raffigurata, rivolta verso destra, una calandra tra due stelle a sei
punte; l’altro invece, diviso in sette parti, evidenzia delle bande
verticali, tre in rilievo e quattro incavate; il tutto circondato da
decorazioni fogliformi sormontate da una terza stella uguale alle precedenti
e da una corona priva di punte. Questa insegna é la più fedele tra tutte le
raffigurazioni finora riprodotte, in quanto ripresa direttamente dallo
stemma in pietra leccese scolpito sulla torre civica, accanto alla chiesa
parrocchiale di piazza Garibaldi, nel centro del paese, presumendo che esso
rappresenti l’esemplare originale e, quindi, il più attendibile.
Le calandre sono passeracei dal piumaggio bruno cinerino, (in passato
questi uccelli, leggermente più grandi dei comuni passeri, nidificavano
numerosi sugli alberi dei terreni macchiosi nei pressi dell’abitato di
Tuglie), i quali nel periodo del raccolto delle graminacee e delle
leguminose diventano spietati cacciatori di cavallette e di insetti
parassiti in genere, guadagnandosi così la profonda considerazione da parte
dei contadini, oltre alla fama diffusa di essere loro amici e preziosi
collaboratori.
E’ proprio per questo motivo, probabilmente, che la calandra
rappresenta il simbolo di Tuglie.
Il paesaggio agrario che circonda Tuglie, specie nelle campagne a nord-est
dell’abitato, si presenta come uno scenario dove l’azione costante dell’uomo
ha modificato l’habitat naturale adattandolo in funzione delle
quotidiane necessità: un vero e proprio paesaggio delle pietre, scaturite in
grossa quantità dai campi dissodati e coltivati, che venivano usate per la
costruzione di ripari temporanei o giornalieri e per la realizzazione di
muri per delimitare i confini delle proprietà. Oltre a questo tipo di
pietre, non bisogna trascurare la presenza di alcuni lunghi blocchi
monolitici a forma di parallelepipedo: i menhir, primitive pietre
pregnanti di profonda umanità, che venivano conficcati nel terreno ed eretti
come i totem, probabilmente per la venerazione del sole. E’ qui che si
concentra la maggior parte delle costruzioni rurali in pietra a secco
tipiche di questa terra, come ad esempio i trulli (furneddhi),
monocellule a pianta quadrata o rotonda a tronco di cono, semplici o a più
livelli e compositi, formati da più unità accorpate. “...Il trullo fa
parte della terra. Le sue pietre calcaree, severe, grigie di ferro, sono le
stesse che emergono a tratti dalla terra rossa e dai muretti che disuniscono
scrupolosamente un podere dall’altro. Per completare l’ambiente, dalle
pietre dei trulli spesso spuntano fichi, viti, capperi selvatici. E questo
accade facilmente, perchè le piante li circondano e fanno loro compagnia...”
- (da “Tuglie, storie di un paese” di Piero A. Toma, op. cit.). Dai
cumuli di sassi (spècchie) affioranti in modo naturale dal terreno,
insieme con le distese macchiose, si è costituito nel tempo un interessante
e originale disegno dei campi, delineato dall’intrecciarsi del rosso colore
della terra con le verdi argentate e ombrose chiome dei secolari ulivi.
In questo singolare paesaggio si inseriscono magnificamente gli innumerevoli
ricoveri temporanei, costruiti con straordinaria perizia tecnica dalle abili
mani dei paratàri, artigiani della pietra, oggi sempre più rari,
considerati da sempre i veri maestri delle murature a secco.
Il territorio tugliese, compreso il centro abitato, allo stato attuale
misura una superficie di 847 ettari, quasi tutta produttiva, assai modesta
rispetto a quella di altri comuni demograficamente simili, ma vastissima se
si pensa che prima del 30 settembre 1923 essa misurava appena 207 ettari. I
confini territoriali e politico-amministrativi, infatti, furono allargati
grazie al provvidenziale Decreto Governativo dell’epoca, con la conseguente,
lenta e naturale, espansione urbanistica che consentì agli abitanti tugliesi
di unificare finalmente il nucleo urbano, fino a quel momento diviso dal
partifeudo denominato “Canale Dovìco”, in contrada Aragona, e di
vivere in condizioni dignitose e meno disagiate dal punto di vista
amministrativo. I confini ecclesiastici, invece, restando invariati fino a
qualche tempo fa, hanno creato non pochi problemi, per conflitti di
competenze territoriali tra le Curie Vescovili di Nardò e di Gallipoli.
Attualmente il centro abitato consta di due parti nettamente distinte: la
parte bassa che si trova a quota 98 metri sul livello del mare e la parte
alta, che si trova a quota 142 metri sul livello del mare.
La prima è coincidente con l’originario tessuto urbano, il quale si è
sviluppato in senso longitudinale lungo l’asse Sannicola-Parabita, ricco di
case tinteggiate con il latte di calce o con colori tenui, costruite in
tufo, dalla copertura con volte a botte e/o con volte tipicamente leccesi: a
squadro aperto, a squadro chiuso e miste, la cui tipologia rispecchia
fedelmente quel sistema abitativo di edilizia domestica di alto valore
ambientale e culturale identificato con le case a corte, le quali hanno
radici remote e sono molto diffuse in tutto il Salento.
Di più recente formazione e coincidente con la località turistica denominata
“Montegrappa” è invece la seconda, la quale, a partire dalla fine
degli anni quaranta, si è dotata di numerosi edifici residenziali e di
villeggiatura; alcuni di questi, originariamente adibiti ad alloggi a
carattere stagionale, sono diventati, attualmente, signorili e candide
villette immerse nel verde. Montegrappa deve il suo nome al Santuario della
Madonna mutilata (Protettrice di questa ridente collina tugliese, i cui
festeggiamenti si svolgono nei giorni 3, 4 e 5 del mese di agosto), il
cui riferimento è dovuto proprio al glorioso Monte Grappa, massiccio
montuoso che si trova tra le valli del Brenta, del Cismon e del Piave, nelle
Prealpi Venete e che è stato, come ricordiamo, teatro di cruenti avvenimenti
durante la prima guerra mondiale.
Verso la fine degli anni trenta, fu iniziata nel centro del piazzale, in
adiacenza con il parco pubblico di recente realizzazione, la costruzione di
questo Santuario e, poco più a valle di esso, all’interno del Parco delle
Rimembranze (da non confondere con quello che si trova a ridosso del
Cimitero Comunale, all’interno del quale si trovano quattro cippi funerari
marmorei, che ricordano gli antichi menhir, eretti in memoria delle vittime
della strada, dei caduti in guerra, dei tugliesi sepolti lontano dalla loro
terra natia e delle vittime del lavoro) , si trova il Sacrario dei
Caduti in Guerra, raggiungibile attraverso la maestosa scalinata centrale,
sui cui muri laterali vi sono delle edicole con 14 formelle in bassorilievo
rappresentanti le stazioni della Via Crucis.
Attualmente questa amena e rigogliosa località turistica, nata grazie alla
nobile iniziativa del dott. Cesare Vergine, giá sindaco di Tuglie dal 1951
al 1969, è divenuta meta di numerosi visitatori provenienti da ogni parte
del Salento, che oltre alla devozione per la Vergine mutilata, vengono per
respirare quella salubre aria balsamica emanata dalle pinete, dai numerosi
eucalipti e dalle tante altre essenze arboree in essa presenti e per godersi
affascinati, dall’alto della collina, il panorama delle verdi campagne che
lambiscono il mare Jonio, dalle mille tonalità di azzurro miscelate con il
blu del cielo.
Va ricordato che all’interno del parco pubblico, durante la stagione estiva
si svolgono numerose manifestazioni a carattere culturale, teatrale,
musicale e gastronomico, con la immancabile degustazione della cucina locale
e dei prodotti tipici tugliesi.
Una piccola curiosità: a ridosso della chiesetta, in mezzo al piazzale, c’è
“lu cozzu”, un masso roccioso affiorante a testimonianza della
originaria natura macchiosa e brulla della collina.
Per quanto riguarda l’aspetto economico tugliese (un tempo
caratterizzato, oltre naturalmente dall’agricoltura fiorente, anche
dall’estrazione nelle cave locali, oggi dismesse, del tufo carparo,
materiale da costruzione molto usato, e dalla ricca produzione di liquori e
alcool, della nota Ditta Piccioli, esportati in tutta la Penisola; la strada
comunale “Arco Spiriti” ricorda ancora oggi questa benemerita azienda
tugliese), si può senz’altro affermare che questo ruota rispettivamente
intorno al settore primario; il secondario, anche se in lieve flessione,
risponde positivamente, mentre infine, quello terziario risulta alquanto
modesto.
L’agricoltura, quindi, incentratasi specialmente sulla produzione dell’olio
e del vino, oltre a quella cerealicola e ortofrutticola, continua a
costituire l’asse portante dell’intera economia tugliese che, a partire
dagli anni Sessanta-Settanta, è stata influenzata da una spiccata tendenza
verso la produzione industriale e artigianale; numerose, infatti, sono le
aziende tugliesi che, accresciutesi all’interno dei loro laboratori e
stabilimenti di lavorazione nella zona industriale, si sono affermate in
Italia e all’estero nei diversi settori produttivi (pubblicitario e
serigrafico, dolciario e liquoriero, tessile, manifatturiero per biancheria
intima e abbigliamento, manufatti per l’edilizia, ecc.). A tal
proposito, senza fare torto alcuno alle altre aziende, se ne ricorda una per
tutte: quella dei “Fratelli Provenzano”, rinomata in tutto il Salento
e nel Nord dell’Italia per l’alta qualità della gelateria (famose le
banane di gelato ricoperte di meringa e mandorle tostate, vera e propria
specialità tugliese) e della pasticceria (tra le specialità: i
pasticciotti, “li zzozzi”, le paste secche, i pesci e la frutta di pasta di
mandorle, tutti dolci che oltre ad essere squisiti, sono molto belli a
vedersi); quest’azienda, frequentatissima tutto l’anno da gente
proveniente da ogni parte, nel periodo estivo diventa una tappa obbligatoria
per turisti di ogni età.
Tuglie da visitare: Itinerario consigliato
La parte di Tuglie più interessante da visitare, quella serrata e compatta
tra caratteristici vicoli tortuosi e antiche case a corte, spesso con
evidenti problemi di risanamento (come in tutti i comuni del resto),
è quella relativa al centro storico, con i suoi monumenti e le sue chiese.
Per chi si sente attratto da questi richiami culturali, li potrebbe
verificare percorrendo il nucleo antico di Tuglie cominciando ad entrare
nelle corti, dove la configurazione morfologica del suolo ha determinato una
singolare disposizione degli ambienti, sorti attraverso la successione
diacronica di una serie di cellule abitative. Gli spazi liberi che
delimitano le case a corte diventavano, un tempo, momento coagulante della
vita collettiva e tangibile espressione di tutto l’universo contadino.
Lungo la via Veneto, all’altezza della Chiesa di San Giuseppe, sul
lato sinistro andando verso il centro, si incontra il vico Mottura;
questa parte del paese viene a trovarsi sul versante occidentale della
dorsale terminale delle Serre Salentine (toponomasticamente denominato “Critazzi”,
per la natura argillosa del terreno; nel dialetto tugliese la voce “crita” è
corrispondente all’argilla e, quindi, “critazzi” sta per “terreni argillosi”)
e, mentre la si attraversa, salendo si può notare un susseguirsi di candidi
caseggiati, alcuni molto caratteristici e particolari; proseguendo si sfocia
nella via Dei Mille (un tempo questa strada, sicuramente una delle
più antiche, veniva chiamata “via dell’Arciprete” in quanto conduceva verso
la residenza estiva di questo prelato, collocata sulla parte più alta di
Tuglie e che godeva un magnifico panorama), la quale offre, continuando
a salire, diversi scorci paesaggistici interessanti da scoprire. Ritornando
giù si arriva in uno slargo dove si affaccia la Chiesa di San Giuseppe,
all’imbocco tra la via Plebiscito (dove si affacciano alcune corti di
particolare bellezza e importanza storico-urbanistica: la più bella è quella
plurifamiliare con abitazioni disposte su due livelli, e la si può visitare
attraversando un arco a tutto sesto in muratura; questa si trova a metà
strada, sul lato sinistro, andando verso la piazza) e la via 24 Maggio,
che vedremo più avanti.
Questa chiesetta ad unica navata, dedicata a San Giuseppe, comprotettore di
Tuglie insieme alla Vergine dell’Annunciazione, fu fatta erigere
probabilmente nel 1783 dal Duca Ferdinando Giuseppe Venturi, signore di
Tuglie, come viene testimoniato dalla lapide e dal fregio all’interno di
essa. Ultimamente ha subìto alcuni restauri e un ampliamento su entrambi i
lati longitudinali, evidenziati dalla diversa natura del pavimento. Lo
stupendo mosaico dai toni cromatici elevati, eseguito con tessere in marmo,
applicate con abile maestria, risale al 1898. I lavori del 1952 sull’attuale
facciata dalle sfumature moresche, sono stati eseguiti per consolidare
alcune preoccupanti crepe venutesi a creare su quella originaria. Il
pavimento musivo, dal valore altamente artistico, insieme al dipinto,
probabilmente di scuola napoletana risalente al XVIII secolo, posizionato
sull’altare maggiore adornato da eleganti e austere colonne con capitelli in
marmo, rappresentano gli elementi più interessanti da vedere nella chiesa.
Imboccando la via 24 Maggio e percorrendola per l’intera sua
lunghezza, si possono visitare, specie per tutto il suo lato destro,
numerose case a corte, alcune delle quali veramente originali e molto
significative. Questa strada, durante la stagione estiva, diventa teatro di
costume e tradizioni popolari con lo svolgimento della “Festa in Corte”, una
affascinante manifestazione in cui vengono programmate esposizioni di vari
prodotti artigianali, mostre e, naturalmente, la promozione e la
degustazione di varie specialità gastronomiche tipiche locali, il tutto
contornato da canti e balli popolari. L’atmosfera che si viene a creare,
sembra faccia rivivere i racconti dei nostri nonni ambientati nei magici
luoghi, dove la memoria di questa singolare realtà, fatta di gente semplice
e amante della terra, regna perennemente.
La visione che si ha della Piazza Garibaldi dopo aver percorso la via
24 Maggio, specie se per la prima volta, è decisamente suggestiva e
incantevole. La sensazione comune è di trovarsi immersi in un grande spazio
del tutto diverso da quello che fino a quel momento si era attraversato.
La maestosa facciata della settecentesca Chiesa Matrice dedicata alla
protettrice Maria SS. Annunziata, si presenta come d'incanto davanti
agli occhi del visitatore, mentre nell'aria riecheggia ancora quella strana
componente ricca, fastosa e inebriante per la pienezza di motivi e di linee,
identificata architettonicamente nel Barocco, enormemente diffuso in tutto
il Salento.
E' proprio da questi richiami, tra i numerosi ampliamenti e ristrutturazioni
- che sobriamente - in maniera definitiva, si delineano sia la pianta
della chiesa, dal disegno semplice e lineare, che la bellissima facciata,
dalle pure forme modellate nel tufo Mater Gratiae, estratto anche
dalle antiche cave locali, a sud-est di Tuglie.
Una porta centrale e due laterali leggermente più piccole, tutte adornate da
cornici, scandiscono, in questa facciata paglierina, le tre navate della
chiesa; quattro lesene doppie sovrapposte sorreggono la prima
quadri-architrave fregiata con elementi dorici (triglifi e metope),
mentre un secondo ordine, dalle dimensioni più contenute, di altrettante
doppie lesene con capitello jonico, sorreggono la seconda architrave, il
timpano, al centro del quale si trova la traccia di una vecchia meridiana, e
la croce terminale in tufo; l'acroterio, infine, è rappresentato da una
serie di elementi monolitici a forma di goccia capovolta. La forma e le
proporzioni di tutte queste componenti fanno risaltare l'essenza peculiare
dell'intero edificio: l'equilibrio risulta armonicamente perfetto, anche con
la presenza di un potenziale “elemento di disturbo” laico, come la
torre civica dell’orologio, fatta erigere dalla pubblica amministrazione nel
1884 e realizzata interamente in tufo.
Inizialmente la chiesa si presentava con un unica navata centrale ed era
tipologicamente simile alla seicentesca Chiesa matrice di Maglie, mentre
allo stato attuale, la sua facciata si avvicina tipologicamente a quella
della Cattedrale di Nardò, a quella del Santuario del SS. Crocefisso di
Galatone e a quella della Chiesa dei Santi Pietro e Paolo di Galatina,
risalenti al XVII secolo.
All’interno si possono ammirare altari e cappelle ottocenteschi, alcuni
dipinti di scuola napoletana del settecento, i mosaici dell’altare maggiore
e della Via Crucis, eseguiti da un artista veneziano negli anni ‘60, il
tamburo in legno, abilmente lavorato da un artigiano locale intorno agli
anni ‘40, e le numerose statue in cartapesta, tutte di scuola leccese, dalla
pregiatissima fattura, di epoche settecentesca e ottocentesca.
Una volta usciti dalla Chiesa Matrice, si continua l’itinerario
attraversando la piazza e salendo lungo la scalinata che la costeggia e che
conduce al Museo della Civiltà Contadina che, come vedremo, si trova
all’interno del Palazzo Ducale; scendendo per la via Venturi
troviamo, dopo qualche decina di metri, il Mercato Coperto, opera
relativamente importante, che testimonia il periodo modernista degli anni
del secondo dopoguerra; interessante il prospetto dove, attraverso una
granitica macina e alcune raffigurazioni, viene evidenziata la vecchia
destinazione d’uso dell’immobile: un frantoio ipogeo.
Un’altra piccola curiosità: l’edificio di fronte al mercato coperto ha una
caratteristica particolare, esso presenta una colonna incastonata
nell’angolo a destra di chi guarda e indica “un Cantone”, uno degli
innumerevoli segnali dislocati per il paese; questa specie di “cartello
segnalatore” a forma di colonna stava a precisare che oltre tale limite
era proibita l’edificazione, ossia oltre questo segnale doveva esserci solo
uno spazio pubblico. L’eliminazione di tale vincolo poteva avvenire
unicamente attraverso la sdemanializzazione dell’area sulla quale si
affacciava l’edificio che conteneva il “cantone”.
Per effetto di questo elemento architettonico segnalatore l’attuale piazza
Garibaldi sarebbe stata, probabilmente, molto più ampia e avrebbe
equilibrato gli spazi intorno alla matrice.
Subito più avanti, allontanandoci dalla piazza, si imbocca la via Trieste
(una volta la strada principale che conduceva a Maglie), anch’essa
ricca di corti lungo entrambi i lati, alcune delle quali meritevoli di nota.
Si arriva così all’ultima tappa del nostro percorso: La Chiesa delle
Anime, costruita intorno alla seconda metà dell’ottocento, è andata a
completare una preesistente cappella. Questa chiesa, con una cripta
sottostante dedicata alla Madonna del Pozzo, con l’accesso dalla via Anime,
è stata restaurata ed ampliata intorno agli anni trenta; le diverse
componenti della facciata ci offrono una interessante e ben dosata
commistione di stili architettonici che richiamano il romanico, il tardo
gotico, il periodo neoclassico e, infine, con le cornici, vengono ripresi i
motivi rinascimentali. L’insieme di tutti questi elementi fanno della
facciata, decorata in modo pulito, un raro esempio di architettura
semplice e luminosa. L’interno, ad una sola navata, oltre agli altari, si
presenta con diverse decorazioni, affreschi e tempere di buona fattura,
nelle volte, lungo i muri laterali. L’opera più significativa viene espressa
dalla tempera, da restaurare quanto prima, che si trova sullo sfondo
dell’altare maggiore, raffigurante una miriade di angioletti in stile
liberty, che fanno da cornice alla Vergine del Monte Carmelo (é
interessante assistere alla Processione annuale che si tiene in luglio
durante i festeggiamenti, dove questi angioletti sono rappresentati da quasi
tutti i bimbi del paese); questo inusuale tema di rappresentazione
artistica risulta ancora oggi molto innovativo. Rilevante valore artistico
assumono le statue in cartapesta presenti in questa chiesa. Una volta usciti
si può visitare la cripta sottostante scendendo dalla via Anime e,
proseguendo si ritorna verso la piazza.
Molto apprezzabili, sotto l’aspetto artistico, le raffigurazioni pittoriche
delle numerose edicole votive, sparse maggiormente nel centro storico.
Questi affreschi in miniatura, alcuni dei quali di notevole interesse
artistico, eseguiti all’interno di nicchie ricavate nei muri privati
prospicienti la strada e le corti, testimoniano il grande culto religioso
verso il Santo protettore del proprio focolare domestico: un’antichissima
usanza che, ancora oggi, è assai diffusa in tutto il meridione.
Da ricordare, inoltre, la Chiesa di S. Teresa delle Suore di
Sant’Anna, in via Veneto e la Chiesa di Santa Maria Goretti,
di recente costruzione, in contrada Aragona (territorio della ex
Diocesi di Gallipoli).
Da non trascurare nella stessa contrada, infine, all’uscita di Tuglie verso
Sannicola, il Calvario, interessante composizione scultorea, ricavata
in una costruzione in tufo a forma di esedra e realizzata intorno agli anni
trenta. Tale rappresentazione inizialmente si trovava nei pressi dell’ex
Municipio di piazza Garibaldi, un luogo che era denominato Spiazzo del
Calvario.
Cenni storici
Un vero e proprio esauriente studio storico sulla naturale elaborazione
urbanistica di Tuglie, nelle sue varie fasi evolutive, sino ad oggi si può
dire che non è stato ancora affrontato, ad eccezione di alcune pubblicazioni
di singolare importanza le quali rappresentano una base di partenza e sicuro
orientamento per coloro che, provando interesse, vogliono intraprendere una
ricerca mirata alla conoscenza delle radici di questo laborioso centro
salentino. Resta comunque inteso che una datazione certa sulle sue origini,
tenuto conto della documentazione disponibile, allo stato attuale, si può
fare solo andando a ritroso verso una meticolosa ricostruzione, per analogie
e per tentativi di confronto, da sembrare questi, a volte azzardati ma
fondati su scientifiche supposizioni e tali, pertanto, da essere considerati
attendibili.
I primi studi pubblicati: “Storia di Tuglie” del 1959 e “Tuglie,
dalle origini ai nostri giorni”, del 1971(Editrice Salentina),
appartengono a Fiore Gnoni.
Successivamente altri volumi sono stati pubblicati, alcuni dei quali,
monografici, riescono a condurre il lettore nella piacevole sensazione di
aver già vissuto tutto ciò che in essi viene raccontato o descritto, come
appunto “Tuglie, storie di un paese” (Ed. Gallina) e “Il
passo della calandra” (Ed. Scient. It.) entrambi di Piero A.
Toma; “La chiesa e la Confraternita delle Anime in Tuglie” e “La
Chiesa Matrice di Tuglie” entrambi (Ed. Barbieri) di Enzo
Pagliara; “Tuglie, il paese e la vita” (Ed.Congedo) di
Fernando Panico ed infine, molto interessante sotto il profilo
socioeconomico e storico-urbanistico, “Tuglie, da feudo rustico a casale.
1695-1749” (Ed. Barbieri) di Maurizio Paturzo.
I dati certi che ci sono giunti sino ad oggi sulle origini di Tuglie sono
quelli riportati nelle opere citate e quelli contenuti nella storia
ecclesiastica, ossia nella Relatio Sanctae Visitationis Generalis,
redatta dal Vescovo di Nardò nel 1452 e nella compilazione, avvenuta nel
maggio del 1695, di una stima dettagliata sui possedimenti territoriali del
Barone Francesco Antonio Cariddi che serviva per stipulare l’atto di
vendita del “...feudo inabitato di Tuglie sito nelle pertinenze della
città di Gallipoli...”, redatta dal “...Mastrod’atti della Regia
Corte Gaetano de Rosa...”. Alcuni anni dopo, passato dapprima al
Barone Guarino e successivamente al Duca Venturi, entrambi
provenienti da ricche e potenti famiglie, note per essere state generose e
prodighe verso il popolo, il casale e tutto il feudo di Tuglie si svegliò
dal grigio torpore che l’aveva attanagliato per lungo tempo e i suoi
abitanti, da sempre instancabili e onesti lavoratori, conobbero ben presto
la prosperità.
Il nucleo urbano si formava e si estendeva intorno al palazzo del barone che
dominava una ridente distesa ricca di campi di grano, di alberi di ulivo, di
vigne, alberi da frutto e col mare di ponente all’orizzonte.
All’interno del palazzo si dislocavano diversi manufatti rustici, stalle,
pollai, curti per il gregge, fienili, locali per la custodia di
attrezzi agricoli, un forno per il pane, palmenti e cantine, mulini per
macinare il grano, camere per il ricovero dei braccianti, la cappella per la
devozione della Vergine Annunziata, ancora oggi Protettrice di Tuglie (con i
festeggiamenti che si svolgono solitamente il 24, 25 e 26 marzo, si apre
la stagione nei centri salentini di queste antichissime tradizioni civili e
religiose). Un pozzo di preziosa acqua sorgiva era scavato nel mezzo del
cortile (la necessità di far fronte alla grande mancanza di acqua che,
come si sa, è stata molto scars anella storia del paesaggio agrario del
Salento, ha suggerito alle popolazioni di utilizzare, oltre all’acqua
sorgiva dei pozzi, quella che veniva raccolta nelle cisterne attraverso i
pluviali provenienti dalle “làmbie” e anche quella ricavata dalla
conservazione della neve nella stagione invernale in apposite costruzioni,
spesso seminterrate, conosciute comunemente come “neviere”, presenti e
documentate anche nel casale di Tuglie). All’esterno, poco distante da
questo agglomerato di rustici, era ubicato, molto probabilmente, il primo
dei trappeti sotterranei (agli inizi del novecento ne vengono censiti
tredici), utilizzati per la produzione dell’olio, interamente scavati
nella roccia, assai importanti per l’intera economia tugliese, veri pilastri
della cultura contadina meridionale (l’olio, un tempo più rilevante del
grano ed esportato in grossi quantitativi, soprattutto attraverso il porto
di Gallipoli, ha rappresentato il mezzo trainante dell’agricoltura salentina;
con l’impianto dei trappeti, nelle masserie e nei centri agricoli, si
affermava appunto la rilevanza economica dell’oliveto).
L’impianto urbanistico di Tuglie, comune a tutti i centri urbani del
Salento, era senza ombra di dubbio di natura medievale, infatti, il palazzo
padronale, probabilmente quattrocentesco, con tutto il caseggiato
circostante assumeva l’aspetto di un vero e proprio centro agricolo
autosufficiente, già individuato tipologicamente nella “Masseria a corte”,
dove tutto il personale dimorante dipendeva dal fattore, facente veci del “signore”,
responsabile del buon andamento di tutte le attività produttive.
Anche il tessuto urbano di Tuglie, quindi, come in tutto il Salento, si è
sviluppato e definito intorno alla masseria, all’interno della quale,
invece, si è spontaneamente creato un importantissimo modello di organismo
rurale che è diventato prototipo trainante della civiltà contadina: un micro
sistema che giorno dopo giorno, si è andato a trasformare in un importante
centro socioeconomico e funzionale. In esso si è originato e sviluppato
tutto quel bagaglio di tradizioni, usi e costumi popolari ricco di contenuti
storici, politico-religiosi e culturali, dai quali ha tratto origine e
significato, come la maggior parte dei comuni di Terra d’Otranto, anche il
comune di Tuglie, nella sua totale semplicità.
Una realtà che si è concretizzata per effetto del continuo susseguirsi di
tanti episodi e avvenimenti, che ne hanno indirizzato o modificato lo
sviluppo generale, evidenziandone le caratteristiche, le attinenze, le
tradizioni comuni, le avversità di natura campanilistica, le complessità
storico-amministrative, riguardanti anche i confini ecclesiastici, spesso
non coincidenti con quelli amministrativi, creando disagi e scompensi nelle
popolazioni per intere generazioni.
Dalle ricerche effettuate attraverso l’ausilio di testi storici, atti
notarili, pubblicazioni, mappe antiche, messe a confronto con quelle più
recenti, riguardanti il paesaggio agrario e urbano e, soprattutto, mediante
un indagine analitica eseguita direttamente sull’intero territorio comunale
e su quello dei paesi limitrofi, si è potuto, in sintesi, fare un quadro
orientativo e riepilogativo della situazione tugliese.
Paesaggio e sviluppo urbano
La conformazione urbana di Tuglie, sarebbe stata certamente diversa se non
fossero intervenuti fattori storico-culturali, componenti orografiche,
territoriali e tipologiche (natura del terreno, sfruttamento e
utilizzazione del suolo, gerarchia degli spazi, forme insediative che
manifestano i diversi modi di occupazione degli stessi spazi attraverso le
differenti condizioni socioeconomiche), elementi ed episodi che, ognuno
per la propria parte, hanno condizionato la struttura morfologica del centro
abitato e di tutto il suo territorio circostante: 1° - Il Palazzo Ducale, ubicato nel centro dell’originario nucleo
rurale del casale tugliese, a ridosso della collina, ha determinato, col
passare degli anni, l’attuale disegno del tessuto urbano, il quale, oltre ad
essersi avviluppato intorno ad esso, ha subìto un’espansione tale da
condizionarla e orientarla lungo un asse continuo e irregolare (quello
principale: la strada che conduceva a Galatone-Nardò, verso nord-ovest, a
Parabita e a Maglie, verso sud-est), interrotto solamente dallo slargo
al centro del paese relativo all’attuale piazza Garibaldi. Questa,
costeggiata dalla scenografica scalinata che conduce al Palazzo Ducale, è
circondata dai tanti edifici semplici e austeri, dalla parrocchiale Chiesa
dell’Annunziata e, infine, dallo stesso Palazzo Ducale, il quale rappresenta
un interessante esempio di architettura ricercata (siamo nel periodo
barocco) e al tempo stesso semplice e amabile (come i Signori che lo
abitavano) idealmente inserito nella povera, ma spontanea, architettura
rurale; una parte dello stesso edificio, sensibilmente valorizzato da uno
degli eredi della famiglia dei Duchi Venturi, allo stato attuale viene
adibito a “Museo della civiltà contadina e delle tradizioni popolari
salentine”, dove si possono ammirare tantissimi pezzi di antiquariato e
una nutrita esposizione di utensili e attrezzi di lavoro.
Il museo, molto interessante da visitare, specie per le scolaresche, è
aperto tutto l’anno con ingresso gratuito e guidato (si consiglia la
prenotazione); 2° - La modesta superficie territoriale del feudo di Tuglie ha
impedito e condizionato qualsiasi forma di ampliamento, sia di iniziativa
pubblica che privata, per secoli interi; 3° - L’asse della linea Lecce-Gagliano del Capo, delle ferrovie
del Sud-Est, fatto appositamente deviare nel 1911 dall’allora sindaco
Ambrogio Piccioli, se è vero che, da un lato, ha contribuito alla crescita
socioeconomica del paese, attraverso il commercio dei prodotti locali,
specie quelli alcolici e distillati, dall’altro ha costituito, invece, una
barriera fisica per qualsiasi forma di sviluppo edilizio e urbano di Tuglie
verso la parte alta, impedendo, inoltre, l’ampliamento di una più organica e
meglio distribuita rete viaria che avrebbe certamente offerto, non solo ai
tugliesi, l’opportunità di un attraversamento ottimale del paese; 4° - L’avvenimento che, nei primi anni del novecento, ha dato una
svolta a Tuglie è stato la realizzazione dell’attuale Piazza Garibaldi,
un vero e proprio salto di qualità, senza ombra di dubbio, ottenuto
attraverso la bonifica di una impervia scoscesa rocciosa (se ne possono
osservare le tracce lungo i muri esterni della Chiesa, sul lato della
canonica), nel cui centro vi era scavato un trappeto ipogeo, malsano e
maleodorante, il quale dopo essere stato eliminato ha regalato al paese una
tra le più belle e scenografiche piazze del Salento. Essa è circondata da
interessanti edifici che, nel loro insieme, le conferiscono una singolare e
affascinante bellezza, una piccola bomboniera, che finalmente ha suscitato
l’interesse di storici e studiosi che vanno alla riscoperta dei centri
minori come Tuglie. Oggi, in ricordo dell’ex frantoio, vi è una macina
granitica incastonata nel basolato della piazza, accanto al Monumento ai
Caduti, apprezzabile opera in bronzo dello scultore salentino Antonio
Bortone.
Il risanamento di questa piazza rimessa a nuovo è stato uno degli
innumerevoli interventi di bonifica, a partire dalla fine dell’ottocento,
che si sono registrati nel paese (abbattimento di edifici o parte di essi
per allargare l’imbocco di via Plebiscito, per allargare l’imbocco della
strada che conduce ad Alezio, per allargare le vie attualmente denominate
Veneto e Trieste, ecc.)
Fra tutte le componenti che hanno scandito la bislunga conformazione
urbanistica di Tuglie, quelle innanzi descritte rappresentano i punti più
significativi per la determinazione di questo raro esempio di sviluppo
longitudinale del centro abitato lungo due assi viari paralleli (via
Trieste, ex via Maglie e via A. Moro, ex via Parabita), che partendo da
sud-est, convergono nella piazza centrale (piazza Garibaldi, ex piazza del
Mercato) fino a ritornare nuovamente paralleli (via Plebiscito, ex
via San Giuseppe di Sopra e via 24 Maggio, ex via San Giuseppe di Sotto),
ricongiungendosi ancora nella piazzetta della chiesa di S. Giuseppe, per
proseguire, infine, unicamente in direzione nord-ovest attraverso via Veneto
(ex via Galatone-Nardò). Questo percorso attualmente misura una
lunghezza di 2200 metri e, come si può notare, rispetto alla descrizione del
De Giorgi del 1897, esso è cresciuto oltre il doppio della sua lunghezza,
dovuta soprattutto all’allargamento dei confini amministrativi del paese
degli anni ‘20.
(“...A vederlo dall’alto, il mio paese ha un andamento dinoccolato e
insieme pudìco. Si diluisce per due chilometri, come una fettuccia di calce
ritagliata nel verde degli ulivi e dei vigneti. Sono troppo lungo e poco
largo, così sembra discolparsi. Di sera, poi, fa venire in mente quelle
processioni della settimana santa, dove le donne accompagnano il Cristo e la
Madonna tenendo in mano una candela riparata tutt’intorno da un esile
schermo di carta oleata...” - da “Tuglie, storie di un paese” di
Piero A. Toma, op. cit.).
Questa breve descrizione vuole essere una sintetica raccolta di notizie
utili, indirizzata: a coloro che intendono avere un primo approccio
informativo su Tuglie; agli studiosi e ai semplici lettori di questo
specifico argomento e, naturalmente, a tutti quei visitatori che si sentono
interessati ad approfondire la conoscenza sulle origini storiche e
socioculturali di questo laborioso paese dell’estremo Mezzogiorno orientale
d’Italia.
A volte, la voglia di sapere di più ci assale, ci pervade e ci contagia a
tal punto da trasformare il semplice interesse in piacevole passione. Si
comincia dapprima dalla scoperta di piccoli dettagli, che a prima vista
appaiono insignificanti, ma che si rivelano giorno dopo giorno più
affascinanti e di estrema importanza (ne abbiamo accennati alcuni comelu cozzu, la macina, la traccia della roccia sulla parete della chiesa,
l’arco spiriti, la colonna angolare, i menhir, ecc.) e per continuare
poi con i fatti e con gli episodi che hanno interferito o cambiato il
naturale corso delle cose: la loro testimonianza ci aiuta continuamente a
comprendere la storia e a leggere meglio il tessuto urbano insieme al
territorio che lo circonda.
Quanti sono allora i segni, i disegni, gli scritti e le tracce che la storia
e gli uomini che l’hanno scritta ci hanno lasciato? Sicuramente tanti. Ogni
volta che ne troviamo qualcuno, questo diventa un prezioso tassello che
serve per ricomporre e per ricordare i vari passaggi della storia. Ognuno di
essi ci aiuterà a comprendere i vari mutamenti dei luoghi, dettati da
esigenze naturali, episodi, fatti e circostanze, a volte necessari, a volte
superflui e in altre addirittura dannosi.
Cerchiamoli allora, non lasciamoceli sfuggire questi tasselli e, per essere
in grado di scoprirli e catturarli, armiamoci di costanza! Occhi attenti e
tanta pazienza e...chissà se il contagio...
* /corpo */>
Tuglie...per raccontar paese...
* sotto */>
Tutti i marchi, foto, immagini e
scritti presenti sul sito
appartengono ai legittimi proprietari.
E' severamente vietato copiarne i contenuti.
Sito ottimizzato per: