La Tuglie di oggi altro non è che la discendente di un insediamento
umano antichissimo, ciò per due considerazioni inappellabili. La
prima: le cosiddette Veneri di Parabita sono state rinvenute in una
grotta in una zona al limite dell'abitato di Tuglie,
amministrativamente, però, ricadente dell'agro di Parabita. Ma si sa
che il cosiddetto "Feudo" è un'istituzione solo del basso medioevo,
e nel nostro territorio la ripartizione feudale fu incisivamente
tracciata dagli Angioini. E si sa anche che Carlo D'Angiò verso il
1268 saccheggiò Nardò, Gallipoli, Matino e Tuglie (cfr.
Iustitiariato Terre Ydronti, Reg. 14, ff.45-46, t. preso Archivio di
Stato di Napoli) perché fedeli agli Svevi, ne fece uccidere i
legittimi feudatari nel Castello di Gallipoli e nominò al loro posto
i suoi fedelissimi, fra cui quell'Almerigo di Mondragone, feudatario
di Tuglie, forse a torto ritenuto come il primo "padre della patria"
dagli storici locali. Se, però, Nardò e Gallipoli, più grandi ed
importanti, ebbero modo di risollevarsi poco dopo con gli stessi
Angioini e ancor di più con gli Aragonesi, Matino, seppur con fatica
poté rinascere nel '500-600, mentre Tuglie restò abbandonata più a
lungo. Nel frattempo i signori dei casali vicini ebbero modo di
allargare il proprio feudo anche sui territori demaniali e quello di
Tuglie, rubricato come feudo rustico rimase nella stessa entità come
nei tempi del Mondragone. Ma le sue grotte preistoriche e gli
insediamenti rupestri continuarono ad esistere e qualcuno resiste
tuttora, anche all'assalto dei palazzinari, nel rione
Cretazzi-S.Lucia. L'altra considerazione riguarda il nome della
nostra "malinconica" cittadina: il Rolfs, un'autorità del recente
passato in campo archeologico, riteneva che Tuglie, Maglie, Veglie,
Grottaglie, Ceglie, fossero tutti nomi di insediamenti prelatini,
probabilmente messapici o, comunque, indigeni mediterranei.
Nell'abitato di Tuglie, proprio a causa dell'endemica esiguità del
suo feudo, ogni generazione ha apportato radicali, e talvolta
insensate, modifiche all'assetto urbanistico per far fronte
all'esigenza di spazi abitativi per una popolazione in continua
crescita. Perciò le eventuali tracce messapiche chissà da quanti
secoli sono state cancellate. Ma alla fine dell'800 il De Giorni
aveva potuto osservare della tombe messapiche nei pressi della
Masseria Carignani, all'estrema periferia sud del paese, oggi
inglobata nella "Zona Industriale". D'altra parte nemmeno Parabita
conserva più tracce di messapicità e, tuttavia, ne vanta
l'appartenenza. Gli archeologi e i paleontologi, inoltre, convergono
nel riconoscere l'arcaicità dei toponimi terminanti in -e ed in -i (Felline,
Alliste, Presicce, Racale, Tuglie, Galatone, Maglie, Veglie, Lequile,
Seclì, ecc.) rispetto a quelli in -a ed ancor di più rispetto a
quelli in -ano , di chiara derivazione latina o mediolatina, ed,
infine, rispetto agli agionimi (San Cesario, San Nicola, San Dana,
San Cassiano, ecc.), formatisi in età tardomedievale. Per i nomi in
-glie alcuni storici vedono un possibile aggancio con l'orografia
del luogo: di solito in posizione di rilievo rispetto al territorio
circostante; ma se l'origine è messapica, molte ombre circondano
ancora tale antico idioma. Di certo c'è che Tuglie, Maglie, Veglie,
Ceglie e Grottaglie hanno una matrice toponomastica comune e tutte
queste cittadine si trovano a ridosso di siti archeologici messapici
tuttora esistenti: Tuglie/Alezio, Maglie/Muro Leccese; Veglie,
Ceglie Messapica e Grottaglie, addirittura, con siti archeologici
propri. E di certo c'è pure che Tuglie non deve la sua denominazione
alla "tuia", una pianta notoriamente non endemica del territorio, ma
importata in Europa in seguito alle scoperte degli altri continenti,
cioè in epoca posteriore al 1268 quando Tuglie viene attestata in
documenti scritti tuttora esistenti. Ed è ancora certo che non ha
nulla a che fare né con Tullia, figlia di Cicerone, né con i
cosiddetti Tulli minores gentes, come qualcuno a fine '800 scrisse;
non si sa perché solo i "Cafoni" di Tuglie dovevano essere minores
gentes, e non anche i "cafoni" delle altre decine e decine di casali
del vecchio Sallentum.
Enzo Pagliara
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