Può
essere che sia capitata sotto gli occhi di chi leggerà questa nota una foto
che giornali, telegiornali e servizi televisivi hanno proposto
all'attenzione di lettori e ascoltatori. La foto: la riva del mare, e un
bambino disteso sulla sabbia, con la faccia sull'acqua, vestito con
accuratezza. Immobile. In una posa di persona in riposo. Sembra che il mare
gli canti una dolce ninna nanna o gli racconti una storia affascinante. Ma
il bambino non dorme: è morto, e il mare ormai non ha più nulla da
raccontargli. Una delle tante vittime di questo nostro disgraziato tempo in
cui tragedie personali e collettive si consumano sotto gli occhi di tutti e
nell'indifferenza di chi si limita a guardare. Si annuncia il Natale, la
grande festa dei bambini si dice convenzionalmente. Per il bambino morto
sulla spiaggia non ci sarà festa: i morti non possono partecipare alle gioie
dei vivi. Ma noi torniamo a guardare quella foto e vediamo emergere da essa
un sentimento di negazione che dovrebbe sconvolgerci, dovrebbe spingerci a
chiedere a noi stessi se sappiamo quanti bambini sono morti come quello
della foto. Bambini in fuga da territori insanguinati, da paesi dove la fame
non è una parola ma un duro esercizio di sopravvivenza, da plaghe del mondo
dove sull' infanzia si consumano atrocità indicibili. Nell'indifferenza del
mondo "che sta bene". Ma è Natale e l'industria del dono si è messa in moto
tempestivamente per accontentare tutti i bambini che si aspettano un dono e
che, fortunati! non finiranno con la faccia sulla sabbia di una deserta riva
come fossero in ascolto del mare. Arriva il Natale: ci sarà da mangiare per
coloro che hanno avuto la fortuna di nascere in un paese dove il cibo
abbonda e, molto spesso, è anche buttato se non risponde ai gusti di chi lo
consuma. Natale! Ci sarà il panettone tradizionale sulla tavola; e nelle
strade le vetrine strizzeranno l'occhio per suscitare desideri in chi sosta
a vedere ciò che vi è esposto. Ma tutti i giorni l'informazione, con i suoi
mezzi, ci presenterà immagini di popolazioni in fuga: uomini e donne con
tanti bambini stretti al petto a difendere la loro vita, come bestie
sbrancate che corrono disperatamente verso un soffio di possibile
salvezza, accerchiate dalle guerre, flagellate dalle malattie, tese
spasmodicamente verso mète sognate. Moriranno? Giungeranno in un paese che
non li respingerà sordo e cieco a ogni richiamo a ciò che ancora ci
ostiniamo a considerare umano? Saranno travolti dalle onde di un buio mare
tempestoso in una notte che potrà essere notte per sempre? È Natale e
dobbiamo essere felici. Un imperativo ce lo impone. Vediamo le miserie del
mondo? Forse siamo sfiorati, ma non più di tanto, da un'ombra di
compassione. Andiamo oltre, guardiamo da un'altra parte. Ma sulla riva
deserta di un mare che sembra invitante c'è quel bambino: un bambino Gesù
sbalzato fuori da un barcone e che nel suo presepio marino non ha padre né
madre, e neanche il bue e l'asinelio. E nella sua immobilità sembra
ascoltare il mare, che gli racconta una favola di Natale.
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Tuglie...per raccontar paese...
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