Del Largo Fiera solo chi c’è nato
e vi ha trascorso un bel pezzo della sua vita può coltivare la
nostalgia da paradiso perduto che il luogo insinua nella memoria. È
come dire che chi vi è nato ha aperto gli occhi sulla luce di quel
quadrato di cielo sopra le case che il profilo degli edifici non
riesce a contenere. E la luce sfugge allegra per le vie circostanti,
a raggera, come in una paesana e dolcemente improbabile Place de L’Étoile
di casa nostra.
Per chi lo vede oggi, e non l’ha mai visto com’era quando in effetti
vi si svolgeva la fiera dell’Annunziata, ch’è l’occasione che gli
dette il nome, Largo Fiera è segnato oggi da uno dei tanti pettinati
assetti urbani che il tempo e nuove esigenze di vita comportano.
Sicché pare che ricordarlo com’era, fra gli anni Quaranta e gli anni
Cinquanta, sia una sorta di privilegio. Certo è un segreto
appuntamento con la malinconia delle cose perdute o di quella
perduta parte di noi stessi che riaggalla a tratti nella mente e
rende più pungente il senso del passato.
Un largo, come dice il nome: non una piazza. Un largo senza muretti
di confine a segnare con decisione le strade. Uno spiazzo dove i
bambini delle famiglie che vi abitavano intorno trovavano il luogo
ideale dei loro giochi ed erano sotto l’occhio amorosamente
vegliante delle madri. L’ingombrante Casa del Fascio, rimasta
incompiuta ed in seguito utilizzata in vario modo (scuola,
municipio), tolse respiro al luogo; ma nello spazio dell’attuale
“villetta” gli alberi del pepe (li chiamavamo così) scuotevano
languidamente i loro molli rami, quasi travestendosi da salici al
margine di uno specchio d’acqua inesistente.
Il toponimo, prima degli anni Ottanta divenuto Piazza Municipio, gli
è stato provvidamente restituito, perché della funzione di quel
luogo non si cancellasse la memoria. Il giorno della festa
patronale, la Madonna dell’Annunziata, protettrice del paese, vi
sostava un bel po’, ferma di fronte al luogo dove in suo onore
venivano “sparate” fragorose “batterie”. Era in compagnia d’una
teoria di santi, che le assicuravano scorta e facevano un bel
vedere, nella luce fresca di marzo, con i loro gesti imperiosi o
dolci, con le loro divise multicolori.
Largo Fiera era un luogo della gioia. A Natale vi si accendeva il
più bel falò del paese, quello che durava per più giorni. Il calore
di quel fuoco riscalda la mente, a ripensarlo. E le faville che ne
scaturivano si sono attaccate alla volta celeste e sono le stelle
che brillano nella notte di Natale.
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Tuglie...per raccontar paese...
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