Per poco più d’una decina d’anni
– dalla fine degli anni ’40 agli inizi degli anni ’60 - il Largo
Fiera è stato il piccolo campus degli studi di Tuglie.
L’edificio scolastico, sorto verso il tramonto del Ventennio come
“Casa del fascio” – non importa se il paese, ormai oltre i seimila
abitanti, non aveva mai avuto un edificio scolastico! – il buonsenso
di qualcuno (il sindaco del tempo?) lo destinò ad accogliere, e
finalmente riunire, tutti gli scolari di Tuglie, per poco meno di un
secolo dispersi ai quattro venti dell’abitato…
Fortunati noi, nati nell’immediato dopoguerra, che almeno potemmo
avere un’aula, per quanto angusta e inadatta a contenere una
quarantina di vispi ragazzetti, continuamente minacciati dalla
severità dei maestri, tali anche nell’”ammannire” sadici castighi e
corporali punizioni…
Ai maestri tugliesi, la maggior parte, corrispondeva, sempre quella
per anni, un’aula precisa che dava immancabilmente sullo spiazzo del
Largo Fiera, con almeno un’ampia finestra che permettesse alla luce
e all’aria di entrare: il massimo di comfort per quei tempi. Ai
maestri forestieri toccavano le aule semibuie che davano all’interno
dell’edificio…
La mia aula poi, sull’angolo del pianoterra volto a scirocco, di
finestre ne aveva due, perciò un maggior comfort, soprattutto per la
Maestra, quando in autunno-inverno vi passava davanti il garzone
della Masseria Vecchia con le “fischette” di ricotta, in quella
specie di tamburo di latta che le conteneva, e la signora Benilde
(al top della professionalità didattico-educativa di quei tempi e
Medaglia d’oro della P.I., perché nessuno si azzardi a mal
pensare!), ghiottona di ricotta, si tracannava una fischetta intera
in un batter d’occhio, almeno a noi così sembrava…
O, ancora, come quando passava l’erbumaio e lei si affacciava per
accaparrarsi quel mezzochilo di foje ‘mbische da mandare subito a
casa, a un tiro di sasso dalla scuola…
O, ancora, come quando passava l’ovalùru, generalmente un ambulante
di Collepasso, dal quale lei comprava le uova per la cucina; quelle
da bere crude e il secchiello di latta con il siero caldo ricco di
ricotta glieli portava la Cosinana, igienicamente più fidata di
altri, lei diceva…
E quei grandi presepi che a Natale, in fondo al corridoio al
pianoterra, un anno a destra e un anno a sinistra per bilanciare il
disagio arrecato ora alla signora Benilde, ora al maestro Gnoni, il
maestro De Santis, geniale nelle sperimentazioni scientifiche e
artistiche, costruiva lungo un paio di settimane per terminare il
giorno in cui “si davano le vacanze”, per la disperazione dei
genitori…o, pardon!, delle povere mamme…
E tutti quei pupi, comprati da Felice Toma o da Cesarino te lu ‘
Custu, che annualmente noi ragazzini portavamo con la rassicurazione
che alla fine sarebbero stati restituiti. Ma che puntualmente dopo
l’Epifania, anziché prendere la strada del ritorno alla casa di chi
li aveva portati, prendevano la via di casa… di questo o
quell’insegnante…Io, negli anni, ci avrò rimesso un presepe intero…
L’entrata a scuola, alle otto della “sirena” era preceduta dallo
scampanio di un campanello manuale, agitato dal bidello di turno, e
raramente il portone d’ingresso veniva chiuso, ne bloccava
l’intrusione di estranei una staccionata di legno, abbastanza alta
da non poter essere scavalcata…
I ritardatari c’erano sempre, loro malgrado, soprattutto i
ragazzetti provenienti dal lontano rione Aragona; altri, lento pede
per endemica svogliatezza, se la prendevano comoda, sperando di
essere chiusi fuori e tornare a casa, raccontando qualche bugia e
cercando di addossare la colpa ai maestri…ma ahimè! molto spesso
venivano strolacati dagli adulti, incrociati durante il tragitto:
“vagnò! camina ‘lla scola, sinò ‘nde la ticu a sìrata!”, anche
quando in effetti non si conoscevano né la paternità, né
l’ascendenza…
Poi quei bambini diventarono grandicelli e andarono, chi a studiare
fuori Tuglie, pochi, chi allu mèsciu o alla fràbbaca, per prendere,
più tardi, la via che li portò lontani dal loro paese “longu longu e
finu finu, comu lu nasu te mèsciu ………”
E il Largo Fiera, che aveva conosciuto quella breve stagione
primaverile-estiva, conobbe altre stagioni…autunno-invernali…
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