Gli abitanti di Tuglie
sono "puricini" (Pulcini). Questo secondo gli abitanti dei paesi vicini
ingannati dallo stemma civico nel quale campeggia una calandra
stilizzata. Forse, in modo talmente approssimativo da essere facilmente
assimilata ad un pulcino. Ma la calandra è della famiglia dei
passeracei: nidifica nelle tuie (la pianta a cui si attribuisce, in modo
improbabile, la derivazione del nome del paese) ed era, soprattutto
prima della mietitura, una preziosa alleata dei contadini. Poiché si
nutre di insetti, dava la caccia soprattutto alle cavallette, che
infestavano e distruggevano il grano. Averla assunta nello stemma civico
è stato per i tugliesi un'attestazione di gratitudine.
Un'altra circostanza, indiretta, è legata al soprannome "puricini". In
occasione della festa patronale (25 marzo, festa dell'Annunciazione), i
tugliesi usavano vendere nelle osterie uova lesse. Spesso queste erano "cuatizze"
(guaste, perché "covate"), così "stagionate" che gli avventori potevano
trovarci dentro il pulcino già formato. Immaginabili le reazioni e
l'esasperarsi della poco esaltante denominazione di "puricini" per gli
abitanti del paese.
A modo loro, i tugliesi hanno risposto per le rime, spesso proponendo,
su ben altro piano, il distacco dalla infantilità "puricinesca". Lo
suggerisce una serie di soprannomi legati a "pica" (pene, organo
sessuale maschile; ma "pica" è anche la gazza: "uccello", comunque!). Si
ha, perciò, nell'onomastica paesana e popolare, l'annotazione di una
parziale riduzione dell'organo ("menza pica"), o di una sua miracolosa
moltiplicazione ("tre piche"), il rilievo assunto dalla grandezza e
dalla potenza ("pica te scencu": "pene di toro") o dalla preziosità
("pica t'oru"), e via "picando".
L'origine di quest'inno all'organo copulatore (un inno con qualche nota
"debole") va cercata forse nella consuetudine dei giovani maschi di
misurarsi e di esaltarsi proprio sul piano della virilità. Durante la
vendemmia, negli intervalli che il lavoro di tratto in tratto concedeva,
mentre le donne si riunivano a chiacchierare gli uomini si riunivano
anch'essi, non per chiacchierare ma per misurarsi in una prova di forza
e di resistenza mascolina (lontano dagli sguardi femminili). Sfoderati i
rispettivi organi virili e stimolatili per favorirne l'erezione vi
appendevano un paniere colmo di uva. Vinceva chi riusciva a reggerlo più
a lungo.
Prove innocenti e anche un po' spaccone: un divertimento innocuo, tutto
sommato. In quell'atmosfera giocosa e maliziosa si assegnavano i titoli:
quelli prima ricordati. Le giurie, in fatto di verdetti, non erano mai
indulgenti.
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