Ieri sera, terminata l'horribis partita mondiale con l'Uruguay, per combattere
il caldo nonchè l'amarezza della sconfitta della truppa di Prandelli, con un bel
gruppo di amici abbiamo affogato la serata tra chiacchiere, birra, vino ed un
enorme piatto di spaghetti alle cozze ed altre prelibatezze e dolcezze, ma a un
certo punto qualcuno mi ha accusato di essere il solito ambientalista pronto a
dire di NO al progresso dei campi fotovoltaici, dell'enorme opera meritoria del
gasdotto TAP che ci porterà il gas nelle nostre case. A voglia a spiegare le
ragioni di uno sviluppo diverso da quello che ci stanno regalando i nostri
politici e i tanti avvoltoi che stanno finendo il nostro territorio.
Un Salento che se non ritrova presto la sua bussola ideale, lo sviluppo del
turismo non massificato e l'agricoltura biologica non può resistere e verrà
dimenticato. Un Salento adagiato sul cobalto e sullo smeraldo del mare. Questa
l’immagine del nostro territorio, con le macchie bianche costituite dai centri
abitati che tempestano quasi uniformemente il territorio, tranne vaste aree di
campagna pura, un tavolato giallo punteggiato di uliveti. Le credevamo messe
male le nostre coste; le pensavamo ormai irreversibilmente offese dalla smania
edificatoria. E lo sono, anche se questa terra è ancora in gran parte bellissima
nonostante le ferite profonde inferte a colpi di tondino di ferro e mattoni
forati. Questa terra seduce ancora nonostante l'uomo. In alcuni tratti scempio e
vergogna di un piccolo mondo antico che fino alla furia edilizia degli anni ’70
aveva avuto un suo modello intenso ma equilibrato di antropizzazione.
All’improvviso, l’allegria cede all’amarezza, perché un abuso ben più grave
appare all’orizzonte e si ingigantisce di minuto in minuto. Tutto il tratto di
costa da Casalabate a San Cataldo è una lunga, immensa colata di cemento; una
schiera beffarda e volgare di case ammassate senza criterio, di strade asfaltate
che vanno a perdersi sterrate in una campagna retrostante dove altre decine,
centinaia di monolocali originariamente concepiti per uso agricolo attendono
l’occasione per un ampliamento e per un condono.
L’orrore è dato dall’ostinata ipertrofia volumetrica che non arretra nemmeno di
fronte all’erosione inesorabile degli arenili. Qualcuno lo chiama “Casbalabate”
il pugno nell’occhio delle marine leccesi, la township delle vacanze caserecce
che se ne infischia del mare che le divora la battigia di un metro all’anno. Un
dedalo di edifici venuti su dal nulla e puntualmente risanati in barba agli
appelli degli intellettuali, alle mobilitazioni degli ambientalisti, ai moniti
dei geologi. Tutto questo di volta in volta ignorato, blandito, ipocritamente
diffidato, e poi ancora coccolato, indultato e finalmente legalizzato, fino a
Frigole si indovina il desolante retroterra civile di questa muraglia d’intonaci
plastificati dai colori più assurdi, gloria e miseria di progetti “fai da te” e
di silenzi ed assensi è l’hinterland leccese dei luccicanti centri commerciali
che convivono con il degrado sociale. A questo punto tagliamo dritto per il
cuore greco del Salento. Scavalchiamo il lieve costone delle Serre Salentine
dall'alto il campanile di Montegrappa, il verde della pineta intorno, il bianco
luccicante delle case abbarbicate intorno alla chiesa matrice ed al rosso
pompeiano della casa baronale e sorvoliamo, ville. vigneti, agrumeti, olivi e
stoppie. Ciascun paese è una casba abbarbicata intorno alla propria chiesa e al
proprio campanile; ciascuna ha una sua geometria di curve, di giravolte, di
cardi e decumani modificati nei secoli. Ma sono queste topografie pittoresche la
vera fisionomia della nostra provincia. Un codice visivo che per fortuna i
grandi assi viari non sono riusciti né a stravolgere né a marginalizzare, come
invece è avvenuto in Calabria o in Sicilia. E’ un Salento, questo interno, la
cui bellezza salta agli occhi meno immediata di quella delle insenature . Non
così, però, la costa di Porto Cesareo, l'incanto appena assaporato alla vista
del piccolo arcipelago, con in evidenza l’Isola dei Conigli e i fondali
cangianti di una limpidezza indescrivibile, svanisce di fronte allo scandaloso
caos di villette che schiaccia le dune e assedia quello che fino a trent’anni fa
era uno dei più bei lidi d’Italia. La speculazione edilizia preme persino sui
bacini costieri. Manca a questi luoghi, ormai, quella patina di vissuto e di
verace che hanno i vecchi borghi marinari.
Davvero ci si chiede quanto ancora potranno durare queste acque trasparenti
sotto la pressione di un turismo invasivo e massificato. Alcune località marine
con le loro opere di viabilità non sono riuscite a tenerle il passo, a malapena
il lungomare e qualche altro tratto sono asfaltati. Il resto è un tratturo
sterrato di fango, polvere e, laddove brandelli di dignità umana e scampoli di
autosufficienza civica sopravvivono, colate di cemento stese alla meglio
direttamente su quello che prima era uno dei suoli agricoli più fertili del
Mezzogiorno. Il paradigma dello scempio rivierasco, le località balneari
salentine prive di opere fondamentali di urbanizzazione come le fognature. Qui
la legge “Galasso” è stata a lungo un’opinione, un’omissione che ha legato in un
patto scellerato imprese, proprietari e amministratori. Ma forse il resto del
Salento è per fortuna ancora da salvare e questi mostri costieri si ergono come
monito a non inseguire più l’incubo di una Rimini 2 sulla riviera dei Pelasgi.
Lo scempio non è solo per le colate di cemento sulla costa oppure all’interno .
Alle volte può avere anche il colore rassicurante del prato inglese, come ad
esempio il grande campo da golf che si estende dalla struggente fortezza di
Acaya primo borgo fortificato in Italia nel 1535 da parte dell’architetto
militare Gian Giacomo Dell’Acaya fino alle acque turchesi dell’Adriatico. Il
golf ha avuto la meglio sulla macchia mediterranea, ma i geologi dicono che il
danno ambientale causato da questo sport forse inadatto ai nostri climi è
considerevole.
L’emungimento di migliaia di metri cubi d’acqua per assicurare la sopravvivenza
dell’erbetta accelera l’esaurimento delle falde freatiche che ogni anno si
ritrovano con percentuali di salinità sempre maggiori. Stesso scempio che toccò
hai laghi Alimini negli anni 50′ del XX secolo con la riforma fondiaria. Un
ritorno al passato per avere un futuro, ecco il Salento che vorrei.
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Tuglie...per raccontar paese...
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