Mi
raccontava un’amica, nella piazza virtuale di facebook, della disperazione di
una ragazzina di vent’anni che con lei si confidava, di non essere riuscita ad
acquistare una giacca alla moda esposta nelle vetrine di Zara a Milano. Si era
esaurita la sua taglia, quindi anche il suo entusiasmo per la vita si avviava
verso il precipizio.
Senza esitazione alcuna incolpava la malasorte, la sfiga, la sfortuna che la
perseguitava nella vita. Come non essere solidale di fronte a tanto accanimento,
come non comprendere il suo profondo stato di prostrazione nel quale chiunque
sprofonderebbe e come far desistere la sventurata dall’eventuale idea di
compiere insani gesti?
Quelli della mia età, in fondo, sono stati fortunati perchè non passava neppure
per la mente che si potesse stare male per un accanimento così singolare della
sorte.
Mi ritornano alla mente i desideri che elencavo minuziosamente nel perpetuo
diario dei miei sogni da bambino. Anche da grande continuai ad annotarli
minuziosamente, spesso però senza alcun tangibile riscontro!
Quando avevo 6 o 7 anni i desideri avevano il confine delle poche cose
conosciute; quelle viste nelle mani di altri bimbi e, se l’approccio con le cose
era impossibile, si passava a stupendi surrogati costruiti con la sapienza delle
mani o attingendo dalla conoscenza di mio padre o dei più grandi che prima di me
si erano cimentati.
Le rocchette di legno, sulle quali era avvolto il cotone che mia madre usava per
rammendare, diventavano invincibili carri armati capaci di scalare dislivelli
che creavo appositamente per collaudare le mie macchine da guerra.
Bastava una rocchetta, un elastico ricavato dalla camera d’aria di una
bicicletta, un pezzo di candela ed un fiammifero… ed era fatta.
Il lavoro più difficile era dentellare la rocchetta da ambo i lati. Con un
coltello da cucina si incideva il legno tenero asportando triangolini, il più
possibile uniformi.
Si passava l’elastico nel foro fissandolo da un solo lato, poi si proseguiva
facendolo passare attraverso il centro della candela privato del lucignolo e,
con un fiammifero, si bloccava dall’altro lato.
Girando più volte il fiammifero con un dito l’elastico si caricava di energia
che veniva dolcemente trasformata in forza motrice per il mio carro armato che
si muoveva per compiere le sue stoiche imprese. Seguiva le asperità di un
percorso costruito, si arrampicava sulle mie montagne fatte di lenzuola per poi,
fieramente attraversare le distese verso la missione che gli avevo assegnato.
Anche le armi leggere venivano forgiate nella stessa fucina. I pezzi di
legno e i chiodi che si recuperavano nei cantieri edili senza protezione,
diventavano pistole e fucili e la cartucciera era sempre ben fornita di fagioli
secchi.
Le camera d’aria rosse delle biciclette erano la panacea , la materia prima per
eccellenza per riparare i giochi o costruirne nuovi. Andavano a ruba e, quante
volte, ho accelerato la sostituzione del prezioso budello dalla bici di mio
padre con camere d’aria nuove, praticando fori che facessero desistere da
ulteriori tentativi di riparazione con altre pezze rosse di vecchie camere
d’aria e mastice.
Gli elastici che si ricavavano erano utili per tutto: buoni come propulsori per
le mie “armi leggere”, ottimi se il budello veniva tagliato in rotelline
regolari che, tra loro aggrovigliate, davano vita a palle magiche che
rimbalzavano anche per oltre dieci metri. Fissandoli poi a forcelle di legno
d’ulivo magistralmente levigato, costruivo straordinarie fionde capaci di
colpire bersagli a notevoli distanze.
La plastica faceva capolino e già s’intravedevano giochi mai visti prima e
comunque non clonabili con la materia prima di cui disponevo. Erano però giochi
fragili e non reggevano il confronto con quelli artigianali, ma erano colorati,
inediti, esclusivi e futuristi.
Già il mercato cominciava a vederci il lucro e produceva in serie oggettini
orrendi. Era al tempo in commercio una polvere per lavare che si chiamava “VEL”.
In ogni scatola poteva esserci una sorpresina: una macchinino fragile, una
pupazzetto, una macchinetta di plastica per tagliare i capelli o una semplice
trombetta.
Mia madre ne faceva uso e ogni volta che comprava una scatola nuova mi palpitava
il cuore per la sorpresa avrei trovato. Inutile negare che anche in questo caso
la polvere per lavare la facevo durare poco tanta era l’ansia di aprire un’altra
scatola per una nuova “sorpresa”.
Nel diario dei sogni intanto, la lista si allungava e nei giorni tra Natale e
l’Epifania i bambini condividevano i segreti millantando regali che avrebbero di
certo ricevuto il 6 di gennaio quasi alle porte.
“Ci te porta la Befana?” era la domanda ricorrente fatta anche dagli
adulti, ma la Befana diventava anche arma di ricatto per un periodo
esageratamente lungo.
Le mamme, già da ottobre cominciavano a contrattare…”se non fai il bravo la
befana non ti porta niente” o ancora peggio, “se non fai come dico io la Befana
ti porterà solo cenere e carbone”… ed io facevo buon viso e cattivo gioco
anche perché questa befana m’inquietava.
Tra l’uomo nero e la befana la scelta non è che fosse facile. Per far dormire i
bimbi, la ninna nanna in voga ai vertici della classifica della hit parade,
sembrava la litania di un film di Dario Argento: “ninna nanna ninna oh questo
bimbo a chi lo dò…se lo dò alla befana me lo tiene una settimana se lo dò
all’uomo nero me lo tiene un anno intero” …insomma la scelta poteva ricadere
sulla befana solo per la breve durata della detenzione.
L'Uomo nero, era un personaggio senza volto, una figura scura, astratta, la
sintesi delle paure di ogni bambino ma la Befana era inquietante, si spostava su
una scopa, aveva un ghigno da esorcista, era sdentata e curva, passava dai
camini pregni di fuliggine …insomma lontana da ogni accettabile parametro
estetico e poco rassicurante e, anche solo una settimana con lei non era proprio
prospettiva allettante.
C’era di buono che la notte tra il 5 e il 6 di gennaio riempiva la calza appesa
al camino.
I bambini erano talmente condizionati che sfoggiavano senza pudore le bugie più
inverosimili. C’era chi l’aveva appena vista sul cornicione, chi l’aveva vista
l’anno precedente ed era rimasto terrorizzato dalla paura, c’era chi addirittura
aveva parlato con la raccapricciante creatura e descriveva nei dettagli il
fetore dell’alito, i denti gialli, i peli sul mento e la sciatteria.
Ogni tanto qualche saccente la sparava grossa dicendo che la Befana era
addirittura la mamma! Il blasfemo veniva subito messo a tacere e guardato con
comprensibile sospetto.
Già alle otto della sera del cinque di gennaio i bambini si catapultavano nel
letto con la ferma determinazione di restare svegli per scoprire, con un sonno
simulato, l’arcano mistero della strana creatura. Prima però si assicuravano che
la calza fosse lunga, capiente, appesa e ben visibile.
La Befana arrivava però quando il sonno superava la tensione e vinceva sulla
curiosità e il proposito di scoprire il mistero veniva così, gioco forza,
differito all’anno successivo.
L’alba del sei gennaio salutava il miracolo compiuto. La calza appesa la sera
prima al camino era gonfia, scomparse le scintillanti monachelle sprigionate
dall’ulivo ardente della sera e il fuoco trasformato in tiepida brace coperta
dal grigiore della cenere e i resti della pigna sgranata la sera prima.
Restava il segno del calore, l’odore della resina e qualche buccia d’arancio
accartocciata a ricordare la vigilia dell’attesa già trascorsa.
“E’ passata la Befana”…Dio che gioia!!!!
Qualche legnetto da far ardere, due carboni recuperati dalla brace del camino…
Una lacrima di sconforto nascosta dignitosamente allo sguardo di mia madre.
“Continua a cercare…il carbone è per le monellate che hai fatto durante
l’anno…vai avanti a svuotare la calza che è ancora piena”
L’ottimismo dentro me c’è sempre stato! Continuavo a coltivare le speranza ma
nel contempo cancellavo mentalmente, un pò alla volta, molte voci dall'elenco
immaginario delle mie fantasie. Unmandarino, due fichi secchi con le mandorle…i nervi
cominciavano a cedere!…la figurina di San Gerardo con la faccia pallida e
sofferente (che rabbia…mia nonna in combutta anche con la befana),
quattro noci, dieci arachidi, un finocchio e …la calza quasi vuota!… Che
mostruosa fantasia ha questa Befana!!! Un pacchetto chiuso con la carta di un
giornale…poi un altro involucro ancora … finalmente una pistola con i colpi
e la felicità esplodeva coinvolgendo la famiglia.
Dopo il sei gennaio ricominciavo mentalmente a redigere un altro elenco per la
stessa scadenza che sarebbe ancora arrivata dopo un anno.
Sapevo che scrivevo sogni sempre in eccesso nel diario che nella mente tenevo
custodito…però non ho mai pensato di essere inseguito dalla malasorte e meno
ancora di essere uno sfigato.
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Tuglie...per raccontar paese...
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