Qualche volta, una "presenza'
Quando l'amico Pippi mi ha portato le pagine raccolte in questo
quaderno, quando insieme le abbiamo lette, ho sentito come può
accadere nella vita che un fatto "comune" riesca a prendere tanta
forza da farci sentire, quando viene meno, il venir meno per noi di
qualcosa d'essenziale. Un fatto "comune" non è un fatto
"insignificante". Può, anzi, contare moltissimo: per i nostri
sentimenti, per la nostra coscienza, per il nostro modo di guardare
le cose.
L'incontro con una persona può essere decisivo, tutti ne abbiamo
esperienza. Ci sono, però, incontri che facciamo con esseri
"speciali", che non sono persone ma che, tante volte e per tante
misteriose circostanze, sono capaci di "cambiarci la vita", come si
usa dire.
Anche a Pippi e alla sua famiglia è accaduto di fare un incontro del
genere. È stato, per lunghi anni, un incontro felice, fatto
soprattutto di un raffinato esercizio di sensibilità, di un
allenamento sempre più produttivo alla comprensione di esseri ai
quali tante volte si guarda in modo superficiale quando non con
gratuita cattiveria e con insensato spirito di persecuzione. Un
esercizio di "accoglienza"; verrebbe fatto di dire, anzi, di
cristiana "carità".
Queste pagine contengono la storia di quell'incontro e l'esperienza
di una quotidianità accompagnata e confortata da una "presenza"
discreta ed affettuosa. E, accanto ad essa, altre "presenze", altre
fisionomie nel segno dell'amicizia. Di quella vera, che resiste alle
agitazioni della vita quotidiana.
L'accordo era chiaro
Ecco... il contratto o, per meglio dire, l'accordo era molto chiaro.
Non contemplava deroghe. Non conteneva trabocchetti tra le
avvertenze scritte in modo illeggibile a margine dello stampato. Non
c'era nessuno stampato da firmare. E poi, tu come avresti mai
potuto?
Insomma... si trattava di un accordo alla buona, come si usava una
volta tra persone per bene, tra galantuomini, quando bastava una
stretta di mano (nel nostro caso io ci ho messo la mano e tu la
zampa). Né si poteva fare diversamente vista l'ora tarda e la notte
da lupi. E poi ! avevi anche una certa fame arretrata, di non si sa
quanti giorni, considerando come mangiasti con gusto quanto ti
mettemmo nella scodella insieme a quanto era avanzato della cena
appena consumata.
Ma ora non pensiamo all'accordo.
La casa l'avevi scelta tu. Una casa modesta abitata da gente
normale.
Le tue credenziali erano due occhi eccezionali che chiedevano
calore, ospitalità.
Scegliesti un angolo e, ben protetto dalla parte del pavimento ed al
riparo dalle intemperie, dormisti beato di un sonno profondo per
tutta la notte.
La mattina andasti fuori per una breve passeggiata. Forse per
informare gli amici meno fortunati che avevi trovato una famiglia,
che ti eri accasato.
Al ritorno, attendesti tranquillo vicino a casa che qualcuno ti
aprisse.
Ebbe cosi inizio una bella avventura. Una stagione straordinaria,
durata diciassette anni.
Romeo cresceva con te e insieme ad Antonio, che aveva già fatto il
militare, tutti gareggiavamo per portarti in giro e tu facevi sempre
più parte della nostra famiglia. Rosaria, malgrado le sue sofferenze
già presenti allora e peggiorate con il passare del tempo, ti si era
affezionata. Non ha mancato un giorno di pulire, lavare,
disinfettare il tuo posto, la scodella dell'acqua e quella dei
croccantini sempre pulite e l'acqua non era quella del rubinetto ma
quella che si beveva noi, in famiglia.
Della famiglia tu facevi parte.
Quanta salsiccia non hai mangiato, prima cruda, appena la portavo a
casa, e poi cotta (e te la dava Rosaria); e quante polpette! quelle
fritte, che ti piacevano tanto.
A me non costava fatica andare a spasso con te la mattina e anche
qualche pomeriggio specialmente durante il periodo estivo. Mi
piaceva sfogliare qualche rivista seduto su una panchina della
stazione mentre tu facevi le tue cose ed annusavi tutti gli angoli.
Intanto il tempo passava.
Abbiamo imparato ad amare i tuoi simili. Anch'essi creature di Dio.
Romeo cresceva, diventava uomo; Antonio si sposava. Siria arricchiva
la nostra famiglia.
I nostri passi erano sempre più pesanti, meno sicuri; la vista
accusava qualche difficoltà; e anche l'udito cominciava ad essere
meno chiaro.
Qualche volta, ultimamente, mi perdevi di vista durante le nostre
uscite mattutine. Allora andavi ad attendere sicuro vicino a casa.
Non sei rimasto mai fuori.
Ricordi le storie che facevi per prendere la cardioaspirina se non
era ben nascosta tra la mortadella? Accadeva la stessa cosa quando
era necessario somministrarti modeste dosi di cortisone per gabbare
gli anni.
Non tocca a tutti il privilegio di apprezzare l'amicizia e la
fedeltà di uno che difficilmente ti inganna, che non chiede nulla,
che si contenta di poco.
Noi di amici cari, di amici veri grazie a Dio ne abbiamo tanti. Con
alcuni ci si vede tutti i giorni, con altri ogni domenica. Con altri
ancora periodicamente durante l'estate. Con alcuni capita di non
vedersi affatto per molto tempo.
Con te siamo stati insieme - tutta la famiglia - ogni giorno per
diciassette anni.
Poi... l'incidente.
Il veterinario ci fece credere che avresti potuto riprenderti
malgrado il tuo cuore fosse diventato una massa enorme.
Tu eri impaziente di tornartene a casa, la tua casa.
L'affanno non ti consentiva di respirare ma, appena ti mettemmo in
auto, sulla barella di fortuna, improvvisamente tornasti tranquillo.
Il respiro ridivenne così leggero da sentirsi appena e l'occhio
vigile ad ogni movimento, ad ogni rumore.
Vane sono state le tante iniezioni che Antonio ti ha fatto, le
attenzioni di tutti, le notti insonni che Romeo ha trascorso con te.
Anche la nonna non riusciva a nascondere la sua ansia.
Mi sarebbe piaciuto continuare a prenderci in giro quando al ritorno
dalla passeggiata mattutina ti dicevo: «Aspetta, adesso torno e
andiamo ancora in giro».
Continuare a farti bere con la siringa, tirarti i peli del muso,
accarezzarti la testa...
Ricordo una serata speciale di qualche estate fa. Antonio era
riuscito a portare a casa sua Rosaria insieme a Romeo Lola Leonardo
e noi eravamo rimasti soli in casa, io felice di rileggere qualche
poesia di Garcia Lorca di Bodini di Trilussa e tu, che non trovavi
un posto per riposare a causa del caldo; e facevi su e giù per la
terrazza.
Non dico questo per rinfacciarti qualcosa ma per ricordare a tutti
noi quanto ti abbiamo voluto bene, quanto ci manchi.
Ora di te abbiamo solo le ceneri. E mille ricordi, e una busta di
wurstel nel frigorifero.
In quanto all'accordo, aspetto sempre che tu lo rompa. Prevedeva che
non avresti dovuto disturbare durante la notte. Mi aspetto che tu
non tenga conto della stretta di zampa di diciassette anni fa, e che
ti metta ad abbaiare in piena notte per annunciare il tuo ritorno.
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Ciao Dick,
creatura di Dio a quattro zampe,
mio brutto scimpanzè. |
Ricordando Cosimo
«Nah!... lu Gigi... lu Pippi... nub'ia canusciuti... Te veru!»
Ci rimproverava così quando non si andava a trovarlo qualche
domenica. Non succedeva spesso, però accadeva. Allora cancellava
l'immancabile telefonata festiva del fratello che chiamava da
Milano: «Richiama più tardi; ora sono con amici. C'è Gigi insieme a
Pippi, che ti salutano».
Ricordo... Una volta, la settimana di Natale, venne un suo giovane
conoscente, forse un ex allievo lombardo che risiedeva a Trepuzzi
oppure a Salice. Era venuto per salutarlo e intanto gli portava in
due contenitori coperti di carta stagnola i dolci natalizi della
tradizione salentina. Dopo le indispensabili formalità di
presentazione, i ringraziamenti e uno scambio veloce di battute,
senza usare mezzi termini disse all'ospite appena arrivato: «Adesso
devi andare via, perché devo chiacchierare con questi amici; torna
un altro giorno».
Amava conversare, Cosimo, raccontarsi, ricordare gli anni migliori
trascorsi a Milano dove aveva incominciato a lavorare come
ritoccatore fotografo per poi arrivare all'insegnamento, traguardo
prestigioso. Le amicizie, le conoscenze, il lavoro, le tante
soddisfazioni artistiche, i premi non gli avevano addolcito il
dolore per la perdita della moglie.
Cosimo era un uomo estremamente onesto e anche questo non gli aveva
risparmiato più di un'amarezza. Sensibilissimo come quasi tutti gli
artisti, amava la sua terra - lu Crumisi dove ha trascorso tutto il
tempo che gli impegni milanesi non gli rubavano. Lu Crumisi che
ritroviamo in quasi tutti i suoi dipinti, con i turni le pietre la
delicata linea del mare.
L'ho conosciuto durante una edizione della mostra itinerante di foto
d'epoca voluta dall'amico Gigi Scorrano, allora (1981-1985)
Assessore alla Cultura. Mi aveva incaricato di accogliere il
Maestro, a Montegrappa, di fargli un po' da cicerone, veste in cui
non mi sentivo proprio a mio agio.
Cosimo conosceva con estrema precisione i personaggi, i luoghi,
addirittura di alcune foto l'ora della giornata in cui erano state
scattate. La maggior parte di quelle foto erano state impresse dalla
sua macchinetta.
Ogni cosa destava in lui meraviglia, sete di nuove scoperte,
progetti pittorici. Sul suo cavalletto c'era sempre una tela da
dipingere, da rivedere, da ritoccare.
Durante gli anni Sessanta, quando libero dagli impegni milanesi
trascorreva il suo tempo a Tuglie, per tutti era "il pittore",
"quello che insegna a Milano, all'Accademia".
Nel primo cassetto del comò della camera da letto dei miei genitori
c'era una borsetta bianca di tipo estivo. Custodiva poche cose: una
collana di perle sicuramente false, piccoli bìjoux, la pagina di un
settimanale con la cronaca di un fatto di sangue avvenuto in
provincia di Napoli tra due fidanzati (doveva averla portata zia
Sina in una delle sue venute a Tuglie, allora frequenti), il
trafiletto di un periodico salentino del 1938 nel quale don Pippi
Quarta si congratulava per la nascita di mia sorella Giuliana.
C'erano anche tante piccole foto. Ne ricordo una in modo
particolare. Vi si vedevano mia madre e mio padre affacciati alla
finestra in Via Plebiscito. Sul locale sottostante faceva bella
mostra di sé una grande insegna, "Barbiere", e sulla porta il
maestro, educatore e poeta Fiore Gnoni. Sul retro, manco a dirlo,
una firma: quella di Sponziello.
Caro Cosimo, tì sono grato per l'amicizia la stima la simpatia
dimostratami. Ti ho apprezzato per la tua arte, per il tuo sapere,
per la semplicità con la quale raccontavi fatti, aneddoti, incontri
felici, amore per la natura, la non buona considerazione che avevi
dei cacciatori. Spesso ti ripetevi, ma io stavo ad ascoltarti. Non
sono brillante in niente, men che meno nella conversazione. Ma ora
che con il piccolo Fabio, sgomento compagno di viaggio, al quale
sono certo che avrai detto con stupore: «Naaah! e tu figlio di Elio
sei? il mio amico! Andiamo, non avere paura, andiamo»; ora che ti
immagino sereno con il tuo cavalletto; ora che hai ritrovato gli
amici, i parenti, tutti ì tuoi cari, i miei cari; ora che passeggi
sereno con la tua tavolozza pronta a "rubare" nuovi paesaggi,
orizzonti di eternità, voglio chiederti una cosa sottovoce. In
fondo, non ci sente quasi nessuno.
Se incontri un cane di taglia media, quasi bianco, con due occhi
bellissimi velati di stanchezza e un musetto intelligente, quello è
Dick, il nostro Dick; digli che ci manca tanto e che non
dimenticheremo mai la compagnia e le emozioni che ci ha regalato.
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Giuseppe Merenda |
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