Tuglie...per raccontar paese...
 
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Tuglie...per raccontar paese...
Care ombre mi camminano accanto.


Qualche volta, una "presenza'

Quando l'amico Pippi mi ha portato le pagine raccolte in questo quaderno, quando insieme le abbiamo lette, ho sentito come può accadere nella vita che un fatto "comune" riesca a prendere tanta forza da farci sentire, quando viene meno, il venir meno per noi di qualcosa d'essenziale. Un fatto "comune" non è un fatto "insignificante". Può, anzi, contare moltissimo: per i nostri sentimenti, per la nostra coscienza, per il nostro modo di guardare le cose.
L'incontro con una persona può essere decisivo, tutti ne abbiamo esperienza. Ci sono, però, incontri che facciamo con esseri "speciali", che non sono persone ma che, tante volte e per tante misteriose circostanze, sono capaci di "cambiarci la vita", come si usa dire.
Anche a Pippi e alla sua famiglia è accaduto di fare un incontro del genere. È stato, per lunghi anni, un incontro felice, fatto soprattutto di un raffinato esercizio di sensibilità, di un allenamento sempre più produttivo alla comprensione di esseri ai quali tante volte si guarda in modo superficiale quando non con gratuita cattiveria e con insensato spirito di persecuzione. Un esercizio di "accoglienza"; verrebbe fatto di dire, anzi, di cristiana "carità".
Queste pagine contengono la storia di quell'incontro e l'esperienza di una quotidianità accompagnata e confortata da una "presenza" discreta ed affettuosa. E, accanto ad essa, altre "presenze", altre fisionomie nel segno dell'amicizia. Di quella vera, che resiste alle agitazioni della vita quotidiana.
 

Luigi Scorrano



L'accordo era chiaro

Ecco... il contratto o, per meglio dire, l'accordo era molto chiaro. Non contemplava deroghe. Non conteneva trabocchetti tra le avvertenze scritte in modo illeggibile a margine dello stampato. Non c'era nessuno stampato da firmare. E poi, tu come avresti mai potuto?
Insomma... si trattava di un accordo alla buona, come si usava una volta tra persone per bene, tra galantuomini, quando bastava una stretta di mano (nel nostro caso io ci ho messo la mano e tu la zampa). Né si poteva fare diversamente vista l'ora tarda e la notte da lupi. E poi ! avevi anche una certa fame arretrata, di non si sa quanti giorni, considerando come mangiasti con gusto quanto ti mettemmo nella scodella insieme a quanto era avanzato della cena appena consumata.
Ma ora non pensiamo all'accordo.
La casa l'avevi scelta tu. Una casa modesta abitata da gente normale.
Le tue credenziali erano due occhi eccezionali che chiedevano calore, ospitalità.
Scegliesti un angolo e, ben protetto dalla parte del pavimento ed al riparo dalle intemperie, dormisti beato di un sonno profondo per tutta la notte.
La mattina andasti fuori per una breve passeggiata. Forse per informare gli amici meno fortunati che avevi trovato una famiglia, che ti eri accasato.
Al ritorno, attendesti tranquillo vicino a casa che qualcuno ti aprisse.
Ebbe cosi inizio una bella avventura. Una stagione straordinaria, durata diciassette anni.
Romeo cresceva con te e insieme ad Antonio, che aveva già fatto il militare, tutti gareggiavamo per portarti in giro e tu facevi sempre più parte della nostra famiglia. Rosaria, malgrado le sue sofferenze già presenti allora e peggiorate con il passare del tempo, ti si era affezionata. Non ha mancato un giorno di pulire, lavare, disinfettare il tuo posto, la scodella dell'acqua e quella dei croccantini sempre pulite e l'acqua non era quella del rubinetto ma quella che si beveva noi, in famiglia.
Della famiglia tu facevi parte.
Quanta salsiccia non hai mangiato, prima cruda, appena la portavo a casa, e poi cotta (e te la dava Rosaria); e quante polpette! quelle fritte, che ti piacevano tanto.
A me non costava fatica andare a spasso con te la mattina e anche qualche pomeriggio specialmente durante il periodo estivo. Mi piaceva sfogliare qualche rivista seduto su una panchina della stazione mentre tu facevi le tue cose ed annusavi tutti gli angoli.
Intanto il tempo passava.
Abbiamo imparato ad amare i tuoi simili. Anch'essi creature di Dio.
Romeo cresceva, diventava uomo; Antonio si sposava. Siria arricchiva la nostra famiglia.
I nostri passi erano sempre più pesanti, meno sicuri; la vista accusava qualche difficoltà; e anche l'udito cominciava ad essere meno chiaro.
Qualche volta, ultimamente, mi perdevi di vista durante le nostre uscite mattutine. Allora andavi ad attendere sicuro vicino a casa. Non sei rimasto mai fuori.
Ricordi le storie che facevi per prendere la cardioaspirina se non era ben nascosta tra la mortadella? Accadeva la stessa cosa quando era necessario somministrarti modeste dosi di cortisone per gabbare gli anni.
Non tocca a tutti il privilegio di apprezzare l'amicizia e la fedeltà di uno che difficilmente ti inganna, che non chiede nulla, che si contenta di poco.
Noi di amici cari, di amici veri grazie a Dio ne abbiamo tanti. Con alcuni ci si vede tutti i giorni, con altri ogni domenica. Con altri ancora periodicamente durante l'estate. Con alcuni capita di non vedersi affatto per molto tempo.
Con te siamo stati insieme - tutta la famiglia - ogni giorno per diciassette anni.
Poi... l'incidente.
Il veterinario ci fece credere che avresti potuto riprenderti malgrado il tuo cuore fosse diventato una massa enorme.
Tu eri impaziente di tornartene a casa, la tua casa.
L'affanno non ti consentiva di respirare ma, appena ti mettemmo in auto, sulla barella di fortuna, improvvisamente tornasti tranquillo. Il respiro ridivenne così leggero da sentirsi appena e l'occhio vigile ad ogni movimento, ad ogni rumore.
Vane sono state le tante iniezioni che Antonio ti ha fatto, le attenzioni di tutti, le notti insonni che Romeo ha trascorso con te. Anche la nonna non riusciva a nascondere la sua ansia.
Mi sarebbe piaciuto continuare a prenderci in giro quando al ritorno dalla passeggiata mattutina ti dicevo: «Aspetta, adesso torno e andiamo ancora in giro».
Continuare a farti bere con la siringa, tirarti i peli del muso, accarezzarti la testa...
Ricordo una serata speciale di qualche estate fa. Antonio era riuscito a portare a casa sua Rosaria insieme a Romeo Lola Leonardo e noi eravamo rimasti soli in casa, io felice di rileggere qualche poesia di Garcia Lorca di Bodini di Trilussa e tu, che non trovavi un posto per riposare a causa del caldo; e facevi su e giù per la terrazza.
Non dico questo per rinfacciarti qualcosa ma per ricordare a tutti noi quanto ti abbiamo voluto bene, quanto ci manchi.
Ora di te abbiamo solo le ceneri. E mille ricordi, e una busta di wurstel nel frigorifero.
In quanto all'accordo, aspetto sempre che tu lo rompa. Prevedeva che non avresti dovuto disturbare durante la notte. Mi aspetto che tu non tenga conto della stretta di zampa di diciassette anni fa, e che ti metta ad abbaiare in piena notte per annunciare il tuo ritorno.

Ciao Dick,
creatura di Dio a quattro zampe,
mio brutto scimpanzè.

 




Ricordando Cosimo

«Nah!... lu Gigi... lu Pippi... nub'ia canusciuti... Te veru!»
Ci rimproverava così quando non si andava a trovarlo qualche domenica. Non succedeva spesso, però accadeva. Allora cancellava l'immancabile telefonata festiva del fratello che chiamava da Milano: «Richiama più tardi; ora sono con amici. C'è Gigi insieme a Pippi, che ti salutano».
Ricordo... Una volta, la settimana di Natale, venne un suo giovane conoscente, forse un ex allievo lombardo che risiedeva a Trepuzzi oppure a Salice. Era venuto per salutarlo e intanto gli portava in due contenitori coperti di carta stagnola i dolci natalizi della tradizione salentina. Dopo le indispensabili formalità di presentazione, i ringraziamenti e uno scambio veloce di battute, senza usare mezzi termini disse all'ospite appena arrivato: «Adesso devi andare via, perché devo chiacchierare con questi amici; torna un altro giorno».
Amava conversare, Cosimo, raccontarsi, ricordare gli anni migliori trascorsi a Milano dove aveva incominciato a lavorare come ritoccatore fotografo per poi arrivare all'insegnamento, traguardo prestigioso. Le amicizie, le conoscenze, il lavoro, le tante soddisfazioni artistiche, i premi non gli avevano addolcito il dolore per la perdita della moglie.
Cosimo era un uomo estremamente onesto e anche questo non gli aveva risparmiato più di un'amarezza. Sensibilissimo come quasi tutti gli artisti, amava la sua terra - lu Crumisi dove ha trascorso tutto il tempo che gli impegni milanesi non gli rubavano. Lu Crumisi che ritroviamo in quasi tutti i suoi dipinti, con i turni le pietre la delicata linea del mare.
L'ho conosciuto durante una edizione della mostra itinerante di foto d'epoca voluta dall'amico Gigi Scorrano, allora (1981-1985) Assessore alla Cultura. Mi aveva incaricato di accogliere il Maestro, a Montegrappa, di fargli un po' da cicerone, veste in cui non mi sentivo proprio a mio agio.
Cosimo conosceva con estrema precisione i personaggi, i luoghi, addirittura di alcune foto l'ora della giornata in cui erano state scattate. La maggior parte di quelle foto erano state impresse dalla sua macchinetta.
Ogni cosa destava in lui meraviglia, sete di nuove scoperte, progetti pittorici. Sul suo cavalletto c'era sempre una tela da dipingere, da rivedere, da ritoccare.
Durante gli anni Sessanta, quando libero dagli impegni milanesi trascorreva il suo tempo a Tuglie, per tutti era "il pittore", "quello che insegna a Milano, all'Accademia".
Nel primo cassetto del comò della camera da letto dei miei genitori c'era una borsetta bianca di tipo estivo. Custodiva poche cose: una collana di perle sicuramente false, piccoli bìjoux, la pagina di un settimanale con la cronaca di un fatto di sangue avvenuto in provincia di Napoli tra due fidanzati (doveva averla portata zia Sina in una delle sue venute a Tuglie, allora frequenti), il trafiletto di un periodico salentino del 1938 nel quale don Pippi Quarta si congratulava per la nascita di mia sorella Giuliana.
C'erano anche tante piccole foto. Ne ricordo una in modo particolare. Vi si vedevano mia madre e mio padre affacciati alla finestra in Via Plebiscito. Sul locale sottostante faceva bella mostra di sé una grande insegna, "Barbiere", e sulla porta il maestro, educatore e poeta Fiore Gnoni. Sul retro, manco a dirlo, una firma: quella di Sponziello.
Caro Cosimo, tì sono grato per l'amicizia la stima la simpatia dimostratami. Ti ho apprezzato per la tua arte, per il tuo sapere, per la semplicità con la quale raccontavi fatti, aneddoti, incontri felici, amore per la natura, la non buona considerazione che avevi dei cacciatori. Spesso ti ripetevi, ma io stavo ad ascoltarti. Non sono brillante in niente, men che meno nella conversazione. Ma ora che con il piccolo Fabio, sgomento compagno di viaggio, al quale sono certo che avrai detto con stupore: «Naaah! e tu figlio di Elio sei? il mio amico! Andiamo, non avere paura, andiamo»; ora che ti immagino sereno con il tuo cavalletto; ora che hai ritrovato gli amici, i parenti, tutti ì tuoi cari, i miei cari; ora che passeggi sereno con la tua tavolozza pronta a "rubare" nuovi paesaggi, orizzonti di eternità, voglio chiederti una cosa sottovoce. In fondo, non ci sente quasi nessuno.
Se incontri un cane di taglia media, quasi bianco, con due occhi bellissimi velati di stanchezza e un musetto intelligente, quello è Dick, il nostro Dick; digli che ci manca tanto e che non dimenticheremo mai la compagnia e le emozioni che ci ha regalato.

 

Giuseppe Merenda


 

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