“Tonna
Pippi, te manda a ‘ddire Santa Barbara, ‘ca ‘ppe ‘sta fiata t’ha sciuta ‘bbona,
ave ‘ccapatu lu cane; ‘ca la prossima fiata, nu ‘ssapimu…”
Flashback
La Maria Siciliana, una donna dell’800 giunta a lambire gli anni ’70 del ‘900,
era una donnetta, rinsecchita e piccolina di statura (io così la ricordo), ma
instancabile spigolatrice; era giunta dalla Sicilia negli anni Venti, vedova e
con tre figli in tenera età, in seguito a calamità sismica, una delle tante che
da sempre affliggono quella incantevole Isola.
A Tuglie si era ben inserita, grazie anche all’indole accogliente del paese
verso i forestieri, per via di un atteggiamento paternalistico nei confronti
degli sfortunati, e servile verso i potenti, ivi insediati per gestire il potere
o per amministrare i servizi sociali.
All’indomani della seconda guerra mondiale, i due figli maschi e il genero, a
causa della mancanza di lavoro, partirono emigranti in Belgio, come minatori, e
Maria Paino – era questo il suo cognome, tipicamente siciliano – indirizzò tutta
la sua fervida devozione a Santa Barbara, patrona del Belgio e soprattutto
protettrice dei minatori.
Ad incrementare il suo culto verso la Santa, tutelare anche contro i fulmini e
le saette, contribuì l’invio dal Belgio, da parte dei figli, di una statuetta in
gesso di Santa Barbara.
Allora Maria pensò di divulgare in tutto il paese la sua devozione e fece
costruire una piccola teca in legno, vi depose all’interno la statuina e la fece
pellegrinare nelle famiglie tugliesi, come si usava allora per altri Santi e
Madonne.
Molto spesso era lei stessa, soprattutto quando la teca doveva cambiare rione, a
guidare la piccola processione da una casa all’altra, recitando rosari e
litanie. Quando poi si trattava di introdurre la sacra immagine in qualche
famiglia notabile, lei ne anticipava la visita, chiedendo personalmente alla
padrona di casa se era disposta ad accoglierla.
Fu la volta di Donna Pippi (nome inventato da chi scrive), e Maria con grande
deferenza e rispetto chiesa alla nobildonna se voleva accogliere in casa sua
Santa Barbara.
Donna Pippi, una donna distinta nella figura e nel portamento, nonché madre
religiosissima, umanissima e generosa, forse perché in quel momento aveva altro
a cui pensare, rispose: “Abbi pazienza per stavolta Maria, ho in casa gli operai
e non posso ricevere Santa Barbara in questo momento”. Maria chinò la testa, ma
non se la “bevve”, e ritenendola una vera e propria scusa, forse si allontanò
borbottando.
Di lì a qualche giorno scoppiò un violento temporale, uno di quelli che in altri
tempi bloccavano tutte le attività fuori di casa, e dentro casa costringevano
tutti i membri della famiglia a rifugiarsi sotto le coperte.
Un fulmine cadde con veemenza sul palazzo signorile di Donna Pippi, provocò
delle lesioni ai muri e incenerì l’incolpevole cane che era cucciato accanto
alla porta. Tutta la famiglia rimase turbata fino a molto tempo dopo la
sconvolgente vicenda.
Si suppone che la Maria Siciliana, poi, abbia recitato rosari e paternostri,
seguiti da qualcuna delle filastrocche impetratorie di sua conoscenza, affinchè
Santa Barbara placasse la sua “ira”, perdonasse Donna Pippi e la sua famiglia e
fermasse a metà la sua “vendetta”, perché, di fatto, quella era una famiglia
benefattrice e lei, Donna Pippi, era davvero una brava persona e non meritava il
castigo divino.
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Tuglie...per raccontar paese...
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