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Tuglie, la storia e le genti: quali origini?

NOTE DI STORIA PATRIA E CULTURA SALENTINA
Società di Storia Patria per la Puglia. Sezione di Maglie, Otranto e Tuglie
Saggio storico tratto dal Volume XIX. 2007/2008. Argo Editrice. Lecce
 

Tuglie, la storia e le genti: quali origini? di Gerardo Fedele

Come è noto, anticamente la Puglia, conosciuta come Iapigia, era abitata dagli Apuli -da cui prende il nome-, popolazione discendente dagli Illiri, che successivamente si divise in tre gruppi: Messapi, Dauni e Peucezi. I Messapi, si trasferirono nella fascia di territorio comprendente Lecce, Brindisi e Taranto. Altrettanto fecero i Peucezi, che abitarono il territorio della provincia di Bari, mentre i Dauni permasero nel territorio della provincia di Foggia. In questa ripartizione risiede il motivo per cui ancora oggi si sente parlare di “Puglie” al plurale.
Dei Messapi si conosce ben poco; tuttavia, persistono in tutto il Salento numerosi resti di tombe, dolmen, specchie e menhir.
Anche Tuglie conserva tracce evidenti di un così remoto passato.
Le sue antichissime origini sono confermate da alcuni menhir che si trovano in aperta campagna e da innumerevoli grotte preistoriche, ubicate sul versante di ponente delle Serre salentine che attraversano Tuglie.
Nel primo secolo d.C. Plinio il Vecchio, citando in un suo scritto l'antica città messapica di Aletium, accenna esplicitamente ad un altro centro abitato situato in direzione nord-ovest, probabilmente, come ipotizzeremo in seguito, l’originario insediamento degli antichi abitanti di Tuglie.
Tuglie potrebbe trarre le sue origini da un insediamento umano antichissimo, nei pressi di grotte e abitacoli ipogei scavati nel tufo, in cui sono state rinvenute le cosiddette “Veneri di Parabita”. Questo luogo, abitato da monaci basiliani, presumibilmente fino al XIV secolo, si trova in una zona verso Sud, al limite dell’abitato di Tuglie, ma che attualmente ricade nel territorio comunale (l’antico feudo) di Parabita. In passato, come sappiamo, qualsiasi estensione o possedimento agrario veniva chiamato "feudo", un'istituzione radicata nel basso Medioevo in cui, specie nel Salento, la suddivisione territoriale fu tracciata incisivamente dagli Angioini, condizionando le future sorti dei vari Comuni, compreso Tuglie, fino a tempi anche relativamente recenti.
Agli inizi del secolo scorso, infatti, così come Tuglie, erano numerosi i comuni che, per l’esigua consistenza dei propri territori, si trovavano in condizioni alquanto disagiate. Per essi sarebbe stato impossibile realizzare qualsiasi tipo di ampliamento urbano e di crescita economica, se fossero rimasti intrappolati nella situazione geografica di matrice feudale.
Con un provvidenziale Decreto Governativo del 1923, il Comune di Tuglie ottenne finalmente l’allargamento dei confini del suo territorio, che dagli originari 207 ettari passò agli attuali 847 ettari: una superficie più che quadruplicata. I vecchi confini amministrativi erano evidenziati, infatti, nel documento planimetrico più antico, l’unico giunto fino a noi, consistente in una cartografia di insieme del 1910, a firma dell’Ing. Giuseppe Epstein, in cui si riportavano, a partire dal 1816, tutte le particelle catastali e nominative dei vari possessori dei terreni. Nella tavola allegata, la sovrapposizione di questo prezioso elaborato grafico con l’attuale situazione planimetrica, consente di riscontrare l’effettiva trasformazione del territorio comunale di Tuglie.
La più antica descrizione del “…feudo inabitato di Tuglie sito nelle pertinenze della città di Gallipoli…” fu effettuata, invece, nel 1695, a seguito di un apprezzamento per la vendita dello stesso feudo, in cui venivano descritti tutti gli immobili presenti nel territorio di Tuglie, specialmente quelli ubicati nel complesso rurale più importante dell’epoca, tipologicamente assimilabile alla tipica Masseria-villaggio. Questo importante insediamento era posizionato dove attualmente si trovano gli edifici e gli spazi circostanti l’attuale Museo della Civiltà Contadina. La collocazione di privilegio di detto complesso di tipo masserizio gli consentiva di dominare la pianura verso Gallipoli, motivo per il quale lo stesso darà il posto al successivo Palazzo Baronale. Da qui si ramificherà tutto lo sviluppo urbano tugliese post-medievale con le sue strade più importanti: via San Giuseppe di sopra e via San Giuseppe di sotto (già via della Congregazione), via o Canale della ragna, via del Pozzo, via della Botéga lorda e così via.
Qualche decennio più tardi, siamo nel 1749, veniva redatto il Nuovo Catasto Onciario(1) Generale del Casale di Tuglie. Nei rilevamenti effettuati per la stesura di questo importante strumento (non solo in quello relativo a Tuglie), si riscontra una scrupolosità appena sufficiente e, in alcuni casi, una certa approssimazione e frettolosità nelle descrizioni, dovute alle continue sollecitazioni di Carlo III di Borbone per i ritardi nelle consegne.
 
(1) Da Oncia, l’unità monetaria riferita al catasto e, quindi, la misura fiscale corrente nel periodo dei rilevamenti.

Anche tale documento, pur con i suoi limiti, contribuisce in modo notevole alla ricostruzione delle varie fasi di formazione della Tuglie moderna, tuttavia non sappiamo quali fossero le origini del suo nome e se, anticamente e fino a quando, fosse un casale abitato. Che lo fosse, almeno fino al tardo Medioevo, sono sostanzialmente d’accordo la maggior parte degli studiosi e degli storici che hanno affrontato l’argomento e, ad oggi, lo dimostrano due elementi: il tracciato stradale del borgo medievale sviluppatosi lungo l’asse Sannicola/Parabita (via XXIV maggio, Via dei Mille con le varie corti collegate, via Pasubio e Fratelli Bandiera, Via Plebiscito, Largo Venturi, Piazza Garibaldi, Via Trieste, Via Aldo Moro) e, soprattutto, l’insediamento preistorico relativo ad alcune grotte ubicate sulla dorsale delle Serre a partire dalla località “Monteprino” e, continuando, nei giardini del Palazzo Ducale (località “Critazzi”), fino a raggiungere la parte alta più prossima al centro abitato di Parabita. Dai documenti fino ad oggi pervenutici, procedendo a ritroso, si risale solo fino alla fine del XIII secolo, dove, con Almerico di Montedragone, le notizie si sono fermate. Da qui in avanti iniziano le varie supposizioni sulle origini di Tuglie e sulla primogenitura del suo nome.
Un interessante spunto sul casale di Tuglie e sulla popolazione che lo abitava si rinviene scorrendo le pagine de “La Chiesa Matrice di Tuglie e le origini religiose del paese”, di Enzo Pagliara, una importante pubblicazione del 1996, curata con doviziosa e capillare documentazione.
Nel 1373 -vi si legge- “…la esigua popolazione di Tuglie praticava il rito greco-bizantino insieme a quella di Galatone, Aradeo, Seclì, Neviano e Fulcignano, il vicino paese di Parabita, al contrario, era di rito latino insieme con Matino, Taviano, Racale e Melissano. I rapporti tra le due popolazioni di rito diverso, si sa, erano sempre tesi e i confini tenacemente, e talvolta rumorosamente, contesi e indefessamente protetti…”. Se ciò è vero, e lo è, potrebbe essere altrettanto vero che il motivo delle continue molestie perpetrate nello stesso periodo, contro il casale di Tuglie, da Giovanni da Tiglio o De Tilia, Signore di Matino e Parabita, fosse proprio quello di combattere la comunità basiliana che vi risiedeva e vi predicava il rito greco-bizantino. Ma quel tipo di comunità, già presente nel Salento fin dal X secolo, occupava anche le grotte preistoriche lungo la dorsale delle Serre ricadenti in territorio di Parabita.
Se così fosse stato, proprio per le incompatibilità religiose, o i monaci oltrepassavano spesso e indebitamente i confini del territorio tugliese, oppure questi dovevano essere molto meno estesi o, quantomeno, essere motivo di annose contestazioni.
Comunque, a prescindere dai confini e dalle estensioni territoriali, il piccolo casale di Tuglie era già abitato dalla sua “esigua popolazione” da tempi ben più remoti e, come tutti gli abitanti dei piccoli borghi, nell’arco dei secoli, quando questi venivano sottoposti alle continue oppressioni da parte di chiunque (non ultime le scorrerie dei turchi avvenute dopo l’assedio di Otranto del 1480), oltre a nascondersi nelle grotte basiliane, correvano a rifugiarsi soprattutto nelle città fortificate più vicine. Pertanto, come tanti altri fervidi casali, Tuglie tornava continuamente ad essere “feudo inabitato”(2), diventando spesso facile preda di Signori dei territori limitrofi. Questi non aspettavano altro per allargare i propri confini ed espandere i loro possedimenti.
 

(2) Dal XIII secolo fino al XVII secolo, assistiamo ad un “balletto” di atti di donazione e/o vendita del feudo/casale di Tuglie che all’occorrenza diventava abitato, rustico, disabitato, fino a ritornare abitato, inabitato e quant’altro. Il che lascia presumere che questo “giochetto” venisse fatto dai vari possessori per evadere le tasse (con la complicità degli stessi abitanti che, come nel caso di Tuglie, al momento giusto sparivano nascondendosi nelle grotte?), il che dimostrerebbe quanto fosse più antico il “Casale Tulli”.

È pur vero che un “feudo rustico” (ossia disabitato) veniva riportato e considerato tale nonostante la presenza di masserie abitate e funzionali, come probabilmente sarà avvenuto per il “Casale Tulli”.
Altri spunti interessanti sulle origini di Tuglie ci vengono offerti con le descrizioni dei seguenti studiosi illustri.
Nel secondo volume de “La Provincia di Lecce - Bozzetti di Viaggio”, Cosimo De Giorgi, finito di visitare Parabita e incamminatosi verso Tuglie, nel Gennaio del 1886, ci racconta che “…Ad un paio di chilometri di distanza, nella Contrada la Corte, si vuole ch’esistesse l’antica Bavota di Tolomeo. …Si vedono ancora i ruderi di antichi edifizi sotto il terreno vegetale che li ricopre; e vi sono state rinvenute tombe con vasi di terra cotta rustici e figurati. La necropoli(3) si estende verso la masseria Carignano, oggi del signor Elia…”; e ancora, in “Geografia Fisica e Descrittiva della Provincia di Lecce” del 1897, a distanza di undici anni, ancor prima del ritrovamento delle famose Veneri, ribadisce “…lungo la Via per Tuglie alcuni ruderi, secondo la tradizione, rappresentavano i resti dell’antica Bavota in cui sono stati ritrovati tombe, vasi greci, iscrizioni latine ed altri cimeli…”; annotava altresì la presenza di “…una laura(4) di Basiliani nel Canale del Cirlicì, a destra della stessa via che mena a Tuglie, a mezza costa della Serra...”.
 
(3) Non ci sono mai stati studi approfonditi ed idonee operazioni di scavo per riportare alla luce questa necropoli. Tra tutti gli studiosi che hanno affrontato l’argomento “Bavota”, solo il De Giorgi ne rivela l’esistenza, ma che in seguito si è dimostrata “…notizia priva però di riscontro sul terreno…”, almeno così si legge nella Relazione Archeologica della D.ssa M. Sammarco, Cattedra di Topografia Antica dell’Università di Lecce, di cui in seguito si propone un sunto.

(4) La laura era un tipo di comunità monastica in cui i monaci, vivendo in celle separate, ma sotto la guida di un abate, integravano l’esigenza anacoretica con quella comunitaria. Essa, diffusasi in tutto l’Impero Bizantino a partire dal secolo V al sec.XIV, era una sorta di quartiere o piccolo villaggio con un luogo di culto.

Questi ruderi e tombe, indicati da molti studiosi di probabile origine messapica, rappresentano un ulteriore elemento di riscontro sulla effettiva estensione territoriale e sull’origine del primo insediamento urbano di Tuglie, basati sulla presumibile origine messapica del suo nome. Infatti, stando a quanto emerge dagli studi del filologo tedesco Gerhard Rohlfs e di altri storici, le città che finiscono in –glie, come Tuglie, Maglie, Veglie, Ceglie e Grottaglie, avendo questa comune matrice toponomastica, sono collocate nei pressi di siti archeologici messapici tuttora esistenti.
Sarà per puro caso che Tuglie si trovi vicino alla Necropoli di Alezio, Maglie a ridosso delle Tombe e mura megalitiche di Muro Leccese e, addirittura Veglie, Ceglie Messapica e Grottaglie, abbiano siti archeologici propri?

Altro elemento di rilievo è quanto ci descrive Bartolomeo Ravenna, nelle sue Memorie Istoriche della Città di Gallipoli. Nel 1836 scriveva che anticamente Gallipoli ”...aveva molti luoghi sottoposti al suo dominio e governo... …Pochi sono i luoghi esistenti tra gli enunciati in questo elenco, rimanendo di alcuni altri le sole denominazioni…” (l’elenco al quale fa riferimento è quello del gallipolino Leonardo Antonio Micetti, vissuto nel XVII secolo, in cui figurano tra gli altri: Rodogallo Acherino… Aletio… Melessano… Carignano… Colomito… Galatana, Forcignano, Tabelle, Tabelluccio, Casale piccolo… Collepazzo, Julie… ecc.). Di questi stessi luoghi parla Filippo Truzza in un suo manoscritto. Erano riportati su una lapide, in lettere greche, ancor prima del XIII secolo. “... Rodogallo è in oggi una semplice amena contrada del nostro tenimento. Aletio era vicino alla chiesa della Lizza. Carignano è vicino a Tuglie poco in là verso Scirocco. Colomito è uno degli antichi feudi disabitati presso Galatina. … Forcignano, Tabelle e Tabelluccio erano luoghi vicino a Galatone. Casale Piccolo era forse tra Parabita e Tuglie. Collepazzo, Collepasso o Collebasso è pur oggi inabitato…”.

Se le tesi del Rohlfs e del Ravenna dovessero essere esatte, ovvero se Tuglie dovesse avere origini assai remote (che ci permetterebbe di scartare definitivamente l’origine del nome che, secondo alcuni storici, deriverebbe dalla Tuia, una pianta arborea importata in Europa nel XV secolo, dopo la scoperta dell’America), ci troveremmo di fronte a degli interrogativi di non facile risoluzione, in quanto ci sarebbero molte relazioni tra l’antico insediamento di Tuglie, il sito dell’antica Bavota(5), il Casale piccolo (v. Ravenna), i Romani (Tulli di Tito Livio) e la Contrada Corte(6) (v. De Giorgi).

(5) (B. Ravenna, op.cit. pag. 289) – “…Parabita è un antichissimo luogo del nostro Salento, distante circa otto miglia verso levante. Chiamavasi anticamente Bavota, indi Bavarita, poi Paravita, ed oggi Parabita. La maggior parte de’ geografi ne han fatto menzione. Si ha tutta la ragione da credere che anticamente le sue abitazioni si estendevano verso tramontana sino al luogo chiamato il casale, e forse ciocchè ora forma l’intiero Paese di Parabita sarà stato un tempo il suo solo castello…”

(6) La contrada Corte, una tra le più antiche, si trova in territorio di Parabita. La strada vicinale partifeudo/canale delle Conche coincide con l’attuale confine del territorio tugliese. Questo si trova nelle immediate vicinanze della zona industriale e della Masseria Carignano. Da rilevare che ultimamente è stato connotato, non ufficialmente per il momento, come sito archeologico. Interessanti risultano i probabili resti di mura megalitiche. Tra i tanti significati della parola corte troviamo: a) insieme territoriale di villaggi e ville, già in epoca romana; b)organizzazione feudale formata dall’insieme degli edifici e dei territori sottoposti ad un Signore feudale.
Non bisogna inoltre tralasciare la parola “coorte”, foneticamente simile alla prima, che ha il significato di: a) unità militare romana; b) decima parte di una Legione romana; c) schiera; d) battaglione.

Alla luce di queste considerazioni si potrebbe supporre che il territorio di Tuglie dei tempi remoti avesse ben altre dimensioni rispetto a quelle che possiamo immaginare e, quindi, poteva essere molto più esteso. Dalla limitata documentazione storiografica che ci è stata tramandata, non si è potuto stabilire nulla di certo. Per tentare di risalire alle origini di Tuglie, si dovrebbe fare necessariamente una rilettura di quella che è stata la letteratura archeologica di Bavota e Parabita, ferma alla prima metà del secolo scorso, in cui abbiamo assistito alle più svariate interpretazioni degli studiosi, e confrontarla con quella che nel frattempo è stata prodotta.

Un grande aiuto ci può essere fornito dalla Relazione Archeologica elaborata nel 2007 dalla D.ssa M. Sammarco dell’Università di Lecce, a seguito delle indagini topografiche effettuate in “località Bavota” (così “impropriamente” chiamata nella relazione: è curioso, ma è proprio così che nascono i topònimi), oggi territorio di Tuglie, ma fino al 1923 appartenente a Parabita.
Un sunto di questo importante documento viene proposto qui di seguito.
Nel paragrafo “Analisi delle fonti bibliografiche e della documentazione archeologica” si legge: “…numerosi letterati e storici fanno cenno, nei loro scritti, all’esistenza di una città antica denominata Bavota, localizzandola nel territorio di Parabita e talvolta identificandola con il centro stesso…”.
D. Romanelli sostiene “…l’esistenza in terra salentina di un’antica città chiamata Bavota, localizzata con autorevolezza dal geografo alessandrino Tolomeo…”. (Antica topografia istorica del Regno di Napoli. – Napoli 1819)
B. Ravenna “…associa il nome della Bavota di tradizione tolemaica con la città di Parabita…”.(Op. cit.)
N. M. Cataldi identifica Parabita con la “…città messapica di Bavota…”. (Prospetto della penisola salentina – Lecce 1857)
G. Arditi interpreta “…l’odierna Parabita come una riproduzione dell’antica Bavota…”, che localizza a Nord del paese moderno, nell’area del cosiddetto Casale. (Corografia fisica e storica della provincia di Terra d’Otranto – Lecce 1879)
C. De Giorgi localizza “…l’antica Bavota di Tolomeo … ad un paio di chilometri di distanza (da Parabita) verso Tuglie, … nella contrada la Corte…”. (Op. cit.)
O. Caggiula (Parabita di ieri e Parabita di oggi – Lecce 1938) e P. Marti (Ruderi e monumenti della penisola salentina – Lecce 1932), sulla scia del De Giorgi descrivono “…la messapica Bavota di Tolomeo… e …i cimeli, ruderi, iscrizioni messapiche e vasi che da lì proverrebbero…”.
…A partire dalla metà del Novecento la città di Bavota non compare più nelle opere di letterati e studiosi salentini…Né tantomeno… la questione di centro messapico presso Parabita ha avuto un seguito d’indagine…”. Continuando nella lettura della Relazione si rileva che “…La scarsa documentazione archeologica finora a disposizione della comunità scientifica sembrerebbe confermare la convinzione che l’esistenza di questa città sia frutto di speculazioni, di fondo, errate e che sia stato dato un valore talvolta eccessivo ai ritrovamenti di materiale archeologico effettuati fin dai secoli scorsi nel territorio tra Tuglie e Parabita…”.
Dal documento emerge, comunque, che “…al di là delle speculazioni letterarie sull’esistenza di questa ulteriore mitica città messapica…”, il sito archeologico oggetto di analisi dovrà essere studiato anche rispetto alla viabilità antica. Questo aspetto topografico consentirebbe agli esperti di avere un quadro più completo per una reale ricostruzione.
Le conclusioni finali avanzate nella Relazione, mettono in discussione le origini messapiche del sito (fino a prova contraria e solo dopo gli studi e gli interventi di scavo) e, contestualmente, evidenziano la indubbia presenza di un vasto e antico insediamento rurale (configurabile probabilmente con Casale Piccolo), caratterizzato da una continuità di occupazione, a partire dalla prima età imperiale, fino a tutto il Medioevo.

Se tale antichissimo insediamento umano è identificabile in quel Casale Piccolo che, nelle sue Istorie, il Ravenna metterebbe tra Parabita e Tuglie (non certo individuabile con l’antica Bavota/Parabita, poiché questa veniva descritta separatamente in altro luogo), si potrebbe sostenere che in quel sito archeologico non ci poteva essere Parabita, ma poteva esserci l’originario insediamento di Tuglie, oppure un altro insediamento diverso da quest’ultimo.
In base a tale ragionamento si potrebbero azzardare le seguenti ipotesi:

1. che l’antica Bavota e/o il Casale Piccolo (Tuglie messapica?) fossero due entità distinte, che si trovavano nello stesso territorio (nei pressi delle attuali contrade “Corte” e “Carignani”) e che in epoca romana potrebbero essere state colonizzate o distrutte, successivamente ricostruite secondo le esigenze dei nuovi abitatori e poi andate ancora distrutte (a seguito di nuove invasioni di greci, bizantini, saraceni, normanni e così via, ovvero per carestie, epidemie, o altro) e perdute definitivamente;

2. che l’antica Bavota e il Casale Piccolo fossero la medesima entità, insediata sulle rovine di un antichissimo nucleo messapico, i cui conquistatori, forse gli stessi Romani, avrebbero ridenominato con il nome di Bavota(6), successivamente andata distrutta;

3. che il luogo dove anticamente sorgeva Bavota potrebbe corrispondere con quello dove si trova l’attuale centro abitato di Parabita, il che confermerebbe la presenza autonoma di Casale Piccolo, tra gli attuali territori di Parabita e Tuglie.

Se una di queste ipotesi risultasse verosimile, si metterebbe in discussione non solo l’origine di Tuglie, ma anche soprattutto quella di Parabita. È stato dato assolutamente per certo, infatti (ma forse con un’insufficiente coscienza storica) che sia l’ubicazione di tale ultimo paese, che la sua identità e natura storica discendessero da un centro messapico, Bavota, che ricadeva nel territorio o feudo di Parabita, poco lontano dall’attuale centro abitato di Tuglie. E’ bastato, quindi, che tale antico insediamento si trovasse, in un determinato momento storico, nel feudo di Parabita, per acclararne l’appartenenza e l’identità storica con la stessa cittadina. Se così fosse, potremmo affermare, paradossalmente, che quel sito corrisponda all’antico insediamento di Tuglie per il semplice fatto che oggi si trova nel territorio di Tuglie.
Il quadro dei dubbi si fa più complesso se si aggiunge pure quanto viene riportato sul sito telematico ufficiale del Comune di Parabita, nello spazio dedicato a “Origini e preistoria”: “…Lo Stemma Civico di Parabita presenta due torri con due cipressi, unite da un ponte, l’insieme dominato da un angelo che ha in mano una spada. Anche questa sembra una reminiscenza della vecchia Bavota, in quanto la stessa effige si trovava su una faccia delle sue monete con l’unica differenza di un uccello(!) al posto dell’angelo…”.
Il campanilismo, a questo punto, è provocatoriamente d’obbligo: per quale motivo bisognava sostituire un angelo con un uccello, rappresentato, invece, nello Stemma Civico di Tuglie?
Con le ipotesi innanzi formulate non si intende persuadere il lettore in una direzione piuttosto che in un’altra, ma solo offrire lo spunto per rivedere e ridiscutere qualche trascorsa interpretazione avanzata con passione e, forse, con eccessiva certezza. D'altronde, se fino ad oggi nessuno si è permesso di ufficializzare che quell’antico insediamento umano situato sul confine tra Parabita e Tuglie si riferisca a Bavota o alla Parabita primordiale, qualche motivo ci deve pur essere. È certo, però, che un tempo quel sito archeologico era abitato da una comunità che, per varie cause, potrebbe essere stata annientata oppure, per sfuggire a pericoli o calamità, dovette trasferirsi disperdendosi in qualche altro luogo o in più luoghi. Uno di questi probabilmente fu il villaggio rupestre formatosi con l’utilizzo di alcune grotte e di abitacoli ipogei scavati nel tufo di un preesistente insediamento preistorico che, come si è detto, è ubicato sulla dorsale delle Serre che attraversano Tuglie. In seguito, è presumibile che la comunità che lo abitasse si fosse accresciuta, occupando gli spazi retrostanti l’attuale Palazzo Ducale, formando così un grande insediamento rurale, tipologicamente individuabile nella masseria-villaggio che, a partire dal Medioevo ha posto le basi dell’abitato di Tuglie.
Le evoluzioni della geografia, è risaputo, sono state da sempre strettamente collegate con quelle della storia e viceversa. I cambiamenti storici, spesso violenti, hanno di fatto determinato modifiche sostanziali del territorio, cancellando vecchi insediamenti e confini per lasciar posto a quelli nuovi. Dopo gli spopolamenti e gli abbandoni del secolo XIV, nel Salento “…i casali scomparsi si trasformarono in feudi “rustici”, (ossia disabitati), spesso masserie, quasi sempre detenuti dalla feudalità minore, con il territorio riservato alla cerealicoltura o al pascolo”(7).
Oggi non sappiamo quali fossero i confini tra Tuglie e Parabita ai tempi dei Messapi e, soprattutto, se ce ne fossero. E’ affascinante, allo stesso modo intrigante, immaginare come vivessero i nostri antenati in questi luoghi. Altrettanto avvincente è supporre la “messapicità” di Tuglie, oltre che di Parabita, così come hanno fatto gli studiosi di un tempo con Bavota ed altri siti storici. Un giorno forse lo sapremo realmente.
Alle nuove tecniche della ricerca archeologica ed agli esperti moderni, allora, l’ultima parola.

(7) (C. Massaro, La città e i casali, in Storia di Lecce dai Bizantini agli Aragonesi, a c. di Benedetto Vetere, Bari 1933).
 






* L’Uomo del Paese di Tuglie è un acquerello monocromo, di color brunoterra, eseguito tra il 1787 e il 1789 dai pittori Antonio Berotti e Stefano Santucci che, sul finire del 1785, per incarico del Re Ferdinando IV di Borbone, organizzarono una spedizione nelle province del Regno di Napoli al fine di “…trarre li disegni delle differenti fogge di vestire…”. A questo prezioso disegno venne affiancato un secondo acquerello monocromo, di color brunoterra, raffigurante la “Donna del Paese di Tuglie”, appartenente a Fausta Vacca Giovannini di Napoli. (vedi “Costume Popolare Pugliese, modi di vestire, bozzetti di vita, giochi di memorie al tempo dei Borbone” – Congedo Editore, Galatina).

 
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