In molti la ricordano ancora, col
suo aspetto biancastro o ingrigito, con le tracce della stanchezza
che il tempo lascia sui monumenti oltre che sulle facce delle
persone.
Appena restaurata, la facciata della Chiesa Matrice
provocava un effetto choc, con il suo colore che poteva risultare
troppo acceso, con la quasi sfacciata evidenza della sua mole subito
tornata ad imporsi nello spazio della piazza. Ora, però, anche quel
colore così vivo sì è un poco velato, o forse l'occhio vi si è
abituato e l'effetto è quello di collocare la facciata della chiesa
tra le immagini familiari; non più staccata dagli edifici
circostanti ma con essi in colloquio pacato e cordiale come s'addice
allo spazio urbano d'una piazza cordiale anch'essa, con un aspetto
quotidiano che non incute soggezione.
Una facciata è come un volto: vi si stratifica la memoria degli anni
e degli avvenimenti.
La si può assumere come testimone di eventi che
sono ormai lontani dal nostro tempo; si può facilmente immaginare
che resterà, anche dopo la stagione della nostra vita, a vegliare
sulla vita del paese.
Una facciata, quella della nostra Chiesa Matrice, senza pretese,
aperta, fraterna alla dimensione della quotidianità nella quale
siamo immersi. L'orizzontalità dei suoi piani è bilanciata dalla
verticalità di rilevanti elementi architettonici; il
sagrato-terrazza, con la sua balaustra di confine, piccolo balcone
dove sostare in piacevoli incontri, costituisce un sorridente invito
all'indugio.
Le aperture geometricamente disposte sull'increspata
uniformità della sua superficie, fanno suono e movimento: creano un
ritmo di pause d'ombra nella piena musica della luce che la investe
e l'abbevera: un ritmo, anche, di chiaroscuro pittorico che aggiunge
fascino e magia.
Semplicità è la sua divisa; inappariscenza, quasi a dire la sobrietà
della gente che si rifugia nell'ombra della chiesa lasciando sulla
soglia la pienezza della luce.
Vive, la facciata-volto della chiesa, della luce che la bagna quieta
nel primo mattino, che la fa trionfante nella gloria del
mezzogiorno, che ne ammorbidisce i tratti quando l'ultima chiarità
si fa tenera e annunzia l'ora dell'ombra. Per chi l'ama e per chi
l'ha familiare nella mente anche di lontano, essa è come un volto
amato che più lo si esplora più sembra concedere di sé mantenendo
però sempre qualcosa di segreto; forse di indicibile.
Un volto che accompagna i nostri giorni, e che interroghiamo anche
quando sembriamo distratti o incuranti. |