Confesso di aver resistito a lungo all’idea (e ne saranno subito
chiare le ragioni), ma credo di dovervi chiedere ospitalita’. E
subito lo faccio dichiarando, per decenza, che non sono “nu
tuiisu”, ma “nu simunaru”.
Uno per il quale, nella tradizione di campanilismo parolaio un po
ingenuo ( e generalmente innocuo), che sin dalla giovanissima eta’
ci contrappone, voi siete stati ( e rimanete) sempre “oe
cuatizze”.
Anche se non ci avete mai presi abbastanza sul serio da
offendervene, e’ possibile che il giudizio evocato dall’appellativo
possa sembrare severo. Purtroppo la vostra gravissima consuetudine a
maltrattare il dialetto locale (neanche un km ci separa), non ci ha
mai incoraggiati a modificarlo.
Perche’, omettendo od aggiungendo abusivamente e, per noi,
inopinatamente le “i” nelle comuni parole (p.es. togliendola
allu liettu per metterla nel tie), continuate ad
essere “diversi”, ad allargare il solco che ci ha “divisi”
e perpetuare il ns. diritto all’irridente giudizio.
Solco che diventa un fossato senza ponte levatoio per via della
vostra dipendenza dalla Diocesi di Nardo’, quasi a voler
cancellare, oltre alla naturale vicinanza fisica, la storica
apparteneza “allu fieu te Caddhipuli”.
Come si vede, le ragioni di divisione sono antiche e gravi!
Ora che ho …….suonate le mie campane, torno alla ragione; ed alle
ragioni della mia richiesta di ospitalita’.
Lo faccio per potervi dire innanzitutto….GRAZIE!!!! per aver creato
il sito e poi : Bravi, BRAVI, BRAVI!!!!! per come e’ stato
fatto.
E potete crederci, se ve lo dice “nu simunaru”, costretto in
questa occasione, suo malgrado, a superare la “naturale”
reticenza a parlare bene “te li tuiisi”.
Sarebbe come aspettarsi che un leccese tessa, sponte sua, le lodi di
un barese (absit iniuria verbis!).
Ma tant’e’!! Pago dunque a Cesare l’evangelico tributo! Proprio
cosi.
Perche’ “a raccontar paese ……”(...e vite……e storie) ci siete
riusciti molto bene!
Era notevole l’emozione che ha accompagnato la lettura di tutte le
pagine del sito. Non immaginavo potesse accadere rivivendo la
semplice (stra)ordinaria quotidianita’ di un anonimo paesino come
Tuglie.
Tutta raccontata con molto garbo e misura, nonostante l’inevitabile
personale coinvolgimento degli autori.
E con un pezzo meritevole di piu’ di un “Oscar”. Mi riferisco al
sorprendente “ Non sono qui per lodare la Rosa Parata, anzi…. si!”.
Riconoscere la dimensione ed il “peso” della sua presenza,
terapeutica, lenitiva e ……. didattica (solo Lei sapeva per quanti)
per un lungo pezzo della vita del paese, e’ stato un atto d’amore,
se non per Lei, almeno per la verita’. Credo che nessun altro
nome-cognome, per importante che fosse, sia mai stato noto come
quello della Rosa Parata. La sua fama ha valicato I confini “te lu
fieu te Tuie”, avendo Lei consolato anche molti “simunari”.
Ed e’ ora sorprendente ricordare come, pur non avendo mai ricevuto
dagli adulti ordini – raccomanazioni specifiche, noi ragazzini
sapevamo di dover “evitare di guardare verso di Lei”, nel caso ci
fosse capitato di incontrarla per strada.
E cosi facevo anche io passando in bicicletta, qualche volta a
piedi, “te la via te sotta”.
Con una eccezione.
Sedeva, in un pomeriggio di fine estate, sul primo gradino della
serie che, dal livello della strada, scendeva al fondo del cortile
dove, verso il lato destro, era la porticina ove altre volte l’avevo
vista.
Mi avvicinavo a piedi al punto in cui, appoggiando le braccia su
“unu te li cuzzetti” che delimitavano la strada, sembrava “na
signura” affacciata al balcone del palazzo.
Forse per questo decisi di rispettare la norma generale che imponeva
di salutare “tutti li cristiani chiu’ vecchi” che si
incontravano, trascurando quella specifica, non detta e mai scritta,
che la riguardava personalmente.
Non ho piu’ dimenticato il sorriso con cui rispose al saluto di un
ragazzino.
Non so se fosse di riconoscenza, d’amore, d’istinto o di maniera. So
che tutte le volte che potevo, passavo “te la via te sotta”, con la
speranza segreta di vederla e, in cambio di un normale saluto
che l’educazione imponeva , ricevere uno sguardo ed un sorriso
speciali e che scaldavano il cuore.
Grazie Piero Antonio Toma, per aver voluto ricordare nel sito
“ufficiale” la Rosa Parata con una dedica che, in altri periodi, non
sarebbe “passata”.
Fortunatamente il tempo, oltre ad averci portato via qualcosa e
soprattutto qualcuno, ci ha anche portato la consapevolezza che
molte NON erano ....“oe cuatizze”.
Molti “puricini” sono nati e cresciuti bene; assomigliando sempre
meno alle pratiche calandre e, forse un po dirazzando, sempre di
piu’ a …saggi gufi. Il che ci aiuta a non dimenticare che, sia pure
su rami per azzardo diversi, "stiamo tutti come d’autunno
sugli alberi le foglie".
Per cortesia, continuate a risvegliarci ricordi e regalarci
emozioni.
Ma, per carita’, non montatevi la testa ! E non chiedetevi se “stu
simunaru ae mpacciutu”.
La spiegazione e’ molto piu’ semplice e, forse, meno grave.
E’ che avete lavorato cosi bene che mi avete portato considerare con
occhio e cuore diversi:
- l’asilo presso le Suore (Sant'Anna);
- due anni di elementari presso le scuole in Largo Fiera;
- un padrino, Sponziello, anche se, di fatto, era piu’ “simunaru”
che “tuiisu”;
- il migliore e piu’ vecchio amico, di quelli per cui la sola A
maiuscola non basta; con il quale siamo stati spesso distanti, ma
mai lontani (e che credo mi sara’ riconoscente per non averlo
indicato piu’ chiaramente);
- per ultimo, ma soprattutto, mia madre (Pastore).
E non si puo’ dire che sia poco!
E che di questa “apologia te li tuiisi” non si sappia dalle
mie parti. Mi dispiacerebbe non poter entrare piu’ nel mio paese ed
essere costretto a cercare, in tarda eta’, un nuovo ………campanile e
finire per essere annoverato, pensate che beffa, fra le .."oe
cuatizze".
Grazie ancora a tutti.
Con molta riconoscenza e ( campanilisticamente, meno) simpatia !!
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