Era
magica la serata dell’undici novembre ai tempi in cui l’abbondanza si
misurava con i sacchi di iuta pieni di olive dietro al portone di casa e dai
chili di olio che si ricavavano da ogni “sciunta”. Conservo ricordi
d’infanzia , di quel segmento della mia esistenza trascorsa tra i rumori di
vita di cui era pregna la strada, la lampadina di venticinque candele che
illuminava la cucina e il fuoco scoppiettante di monachine scintillanti che
il camino nero inghiottiva
“O monachine scintillanti e belle che
il camin nero inghiotte, volate forse a riveder le stelle? buona notte
faville, buona notte!”
… e me la ripeto nella mente questa poesia di
Enrico Panzacchi che un tempo si studiava a scuola a memoria, ogni volta che
un fuoco si accende e mi restituisce un profumo di casa,. A “Santu
Martino”, mio padre era sempre impaziente di “spuddrare” la piccola botte
per verificare “lu vinu te st’annu”. Il rito si compiva come ogni anno e,
via il tappo di legno, il nettare rosso che profumava di speranza zampillava
gioioso nella brocca. “E’ speciale” esordiva mio padre e poi scherzando
elencava i suoi due santi del cuore: San Martino e San Marzano. San
Martino finì per amarlo per come mio padre descriveva quel tizio che si
privò del mantello per darlo a un povero …. L’aria poi diventava satura
con l’odore dei “sanapi” bolliti conditi con olio, caldo di frantoio, e
limone, delle bruschette con la brace del legno d’ulivo e da quel poco di
salsiccia acquistata per onorare la festa. Era sufficiente per colorare
la vita di arcobaleno Buon San Martino ovunque tu sia.
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Tuglie...per raccontar paese...
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