Un tempo ebbe un nome poetico,
Via Giardini, scaturito da una sua particolare caratteristica: quella di essere costeggiata dai due lati da giardini di agrumi e d’altre piante e di accogliere, con le piante ‘produttive’, quelle coltivate per diletto, per la gioia dell’occhio o per il piacere dell’olfatto. Era una via dall’aspetto trascurato; stretta, poi, e ingombra talvolta di carrette usate per il trasporto di prodotti dei campi o di attrezzature legate alle necessità del mondo contadino. Però nel centro del paese; in una posizione che si sarebbe definita ‘strategica’ ma che tale era diventata per caso. Col tempo, e con qualche risveglio di patriottismo, è diventata Via Cairoli. Il suo profumo oggi è solo un godimento della memoria. In primavere lontane, le fioriture degli agrumi vi spandevano il loro acuto odore; dai muri di confine si versavano cascate di piccole olezzanti spalliere di rose; uno stupendo enorme glicine colorava di lilla il cielo: aprile e maggio disponevano sentori e colori al momento giusto: tutto risultava armonioso, e delicatezza e forza si univano nella composizione di un aroma delicato e dolce che una prodiga e felice natura dispensava senza altro chiedere se non le cure amorose dei lavori campestri eseguiti in tempi esatti e con un amore oggi dimenticato. Il glicine forniva l’addobbo floreale per le statue del Cristo morto e della Madonna Addolorata per la processione del Venerdì santo; un portone si apriva verso la piazza, superato lo spazio di locali di deposito e di passaggio, fino ad un altro portone che immetteva al centro dello spazio urbano: nella piazza.
Una via propizia a chiacchierati amori clandestini, vissuti con un certo sapore di scandalo, ma compiaciuto, seguiti come vicende di romanzo a puntate di cui, settimana per settimana, si attendeva la continuazione. Da terrazzi e balconi, fatti privilegiati luoghi di avvistamento, scoccavano dardi di occhiate furtive; da una finestra all’altra, o sulle soglie delle porte, correvano non rattenuti sguardi d’intesa e parole mormorate appena intelligibili. Il brusio della vita aveva la sua voce: fatta di leggerezza svagata e di pena partecipe di chi un’istintiva nota di umana pietà sapeva offrire, magari nascostamente, come lenimento agli affanni dell’esistenza. Non faceva forse parte dell’umanità quella umanità che percepiva la bellezza nel profumo che si levava da quella via fiorita e trovava, nell’esperienza quotidiana, che anche le colpe avevano ragione di essere e che il profumo più velenoso, s’avesse ad individuarne uno preciso, non era quello del peccato? |