Aspettando il concerto ci sediamo al bar.
Fans arrivano alla spicciolata, si
accorgono del registratore e aspettano quieti in disparte, per non
disturbare.
Ha l’aria timida Mino, dice parole contate ma decise. E’ un ragazzo
quaranticinquenne che ti guarda dritto negli occhi e ti racconta il suo
essere, appunto, “cavaddhru malecarne”, la canzone che apre il suo album, il
cavallo che non riconosce autorità al suo padrone, non vuole briglie né
carri da trainare, piuttosto pretende di decidere da solo la strada da fare.
E lui, il padrone, tenta invano di ammansirlo in ogni modo, carota e
bastone.
E in fondo è anche “lu cane” dell’altra sua canzone, il randagio che sta
bene come sta, anche se la libertà è costosa, spesso dura, non tutti sono
disponibili a pagarne i prezzi, è quella cosa “… che a volte ti fa
desiderare una ciotola piena, anche a costo di essere legato ad una catena e
di dover leccare la mano al tuo padrone.
Libertà è anche un colpo di tosse e
una zecca in testa” mi dice Mino parlando del perfido, apparente benessere
che ti rende schiavo. Libertà “è un boccone bollente… e un’immensa casa per
chi casa non ha, tutta la piazza della città” così il suo testo.
Per capire le parole delle sue canzoni mi sono fatto aiutare a tradurre,
ahimè non pratico il dialetto salentino, non mi venne in mente solo De
Andrè, soprattutto George Brassens. Anche lui cantò “Je suis un voyou” (Sono
un ragazzaccio). Simile la vena anarchica, simile sguardo sul mondo.
E di Brassens, mi conferma Mino, ci sono echi nei suoi testi, come di
cantautori nobili italiani, De Andrè, Paolo Conte, quelli che cantano il
loro mondo prendendolo, se serve, contropelo, piuttosto che con la raffinata
poetica di altri colleghi.
Parliamo con lui di questo suo primo album: “Scarcagnizzu”.
“Ma è poi vero che sei un anarchico?”
“L’anarchia, come diceva De Andrè, come la nomini non c’è più. Limitiamoci a
lasciarla intendere”.
“Appartieni al mondo, però nelle tue canzoni ci sono radici profonde come
quelle dell’ulivo, cos’è il Salento?”.
“Il Salento è uno stato d’animo, è lento lento lento, ma inizia a muoversi.
Deve continuare a muoversi. Senza esagerare però, non deve perdere la sua
magia”.
“Ma il tamburello cosa c’entra?” (Nella sua canzone Salento c’è un verso che
dice “e llu tamburieddhru nu ccentra nnu cazzu…” n.d.r.)
“Il tamburello è rimasto per troppi anni il simbolo del Salento, occorre
andare oltre. Questa è terra tuce e mmara nello stesso tempo. E’
Emigrazione, vino,
olio. Sono le feste patronali e le emozioni”.
“Scarcagnizzu- vento dal basso - si chiama il tuo primo CD, ma che
diavoleria di titolo è?”
“E’ così chiamato un vento estivo che arriva improvviso, quando meno te lo
aspetti spazza via quel che trova. Porta per aria immondizia e fiori. Alza
le gonne delle signore. Impudico, inatteso, sfrontato e irridente”.
“Una canzone che a molti miei amici è molto piaciuta nel tuo album è “Arbulu
te ulie” (albero di olive), nostalgia, ricordi, storia”
“Forse piace perché il Salento è quell’albero. Se gli olivi secolari
avessero voce racconterebbero storie buone e brutte, storie d’amore e di
ingiustizie, quelle dei padroni che sfruttavano i mezzadri. L’ho scritto
pensando a mio padre, lavorava la terra d’altri ed ha sofferto angherie dei
padroni del campo che si credevano signori dell’universo”.
“Tutto è cultura pure se cambia la temperatura, dici in una canzone”
“Va di moda etichettare tutto quanto, divertimento, marketing con la parola
cultura”.
“E la pizzica?”
“Anche la pizzica è Salento, conservare memoria del passato è vitale e
giusto, però forse occorre dire cose nuove. Il problema è quando la pizzica
diventa moda. Il senso del tamburello che non c’entra nulla è proprio
questo.”
“Parlami della festa patronale dei paesi, quella che canti facendo
fotografie di quel che accade durante la processione, maggioranza e
opposizione seguono la Madonna felici e contenti ”
“La processione è la parte religiosa, dietro la Madonna sfilano tutti quanti,
anche i futuri candidati, sorridenti e tronfi che mostrano la loro
religiosità spesso pelosa e ipocrita pur di mettersi in mostra. Vestiamoci
bene e dimostriamo che “Simu lazzaroni, simu mbruiuni però tutti credenti”.
Poi c’è l’aspetto laico delle bancarelle e delle giostre”.
“La malota e lu salanitru, altri animali”
“Lo scarafaggio e il geco, sono due animali bruttini, viscidi, a molti fanno
ribrezzo, però non fanno male a nessuno, proprio come molte persone che
vengono
tenute lontane per il loro aspetto, o la loro appartenenza etnica, ma sono
innocue. Giudicare il mondo dall’apparenza porta ad aberrazioni.”
“Racconti favole?”
“Mi piace farlo”
“La canzone Lu moribundu è un’altra metafora?”
“Macchè, sono ricordi di infanzia di vita paesana, c’è l’agonizzante e il
paese intero che corre a portare solidarietà, sono flash di vita vissuta.
Nella mia canzone ho enfatizzato. Il vecchietto non muore, siede
improvvisamente sul letto e manda al diavolo tutti quelli che aspettano da
giorni la sua dipartita”
“Vanne alla Svizzera parla dei salentini che emigrano e quando tornano sono
diversi, In un’intervista sostenevi che migranti si nasce.”
“E’ una canzone controversa, spesso fraintesa. Non è una satira sugli
emigranti, anzi. Canto anche stavolta situazioni che ho vissuto. Quando
l’emigrante tornava al sud per le ferie e si sentiva in dovere, spesso, di
ostentare il benessere ottenuto. Una sorta di riscatto, per troppi anni
aveva vissuto malissimo al sud, altrettanto male in Svizzera, però quando
arrivava spesso faceva i discorsi tipici dell’arricchito, comprarsi la
casetta al mare, addirittura prendersela con gli extra comunitari che stanno
in Salento. Si innescava, meglio si ostentava, un razzismo alla rovescia.
Succede che chi ha subito l’emigrazione sembra faticare a comprendere chi
come lui emigra.”
“Progetti?”
“Scrivere, cantare. Far diventare un vero lavoro quello che era un
passatempo, scrivo canzoni da quando avevo 17 anni. Da autodidatta.”
“Mi dicono che hai scritto anche una divina commedia”
“Nell’84 cercai di descrivere personaggi reali del mio paese incontrandoli
nell’al di là. Non avevano più freni nel parlare, ormai erano andati e
potevano liberamente raccontare sé stessi, il paese e il mondo. Situazioni
che i miei compaesani saprebbero individuare benissimo”.
“Sei stato al Tenco Ascolta a Bari”
“Si, martedi scorso, un modo per uscire dai confini e farsi ascoltare”.
Scarcagnizzu, un album da ascoltare. Accompagnato da Emanulele Coluccia, sax
soprano e percussioni, Valerio Daniele, chitarra acustica, Dario Muci, voce,
Mino passa dallo swing al country, accompagna l’ascoltatore in atmosfere
musicali piacevoli. Nelle parole si legge tristezza, rabbia e una dolce
nostalgia. Per dirla con Mauro Marino “…Ama cantare largo, mischiando gli
animali alle persone che tutt’uno sono…”. Stupenda scoperta dei “ragazzi”
del Fondo Verri che hanno creduto, giustamente, in Mino. Ultima cosa e
grande pregio, non c’è traccia di pizzica e di taranta nel disco.
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Tuglie...per raccontar paese...
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