Tuglie: i 300 anni della Parrocchia della SS.ma Annunziata
Il Concilio di Trento, terminato nel 1563, oltre alle
indicazioni dogmatiche e liturgiche, promulgò anche delle norme pastorali e
amministrative per la vita della Chiesa; una di queste fu la
riorganizzazione delle parrocchie esistenti e l’obbligata istituzione di
nuove, laddove non esistevano, anche nelle aree rurali. Il Casale di Tuglie, declassato a “feudo rustico”
perché abbandonato dai suoi abitanti da almeno due secoli, tuttavia non ebbe
subito una parrocchia vera e propria, ma continuò ad avere un‘Arcipretura
Rurale, cioè con la sola celebrazione della Messa in determinati periodi o
ricorrenze dell’anno; non si amministravano battesimi e non si celebravano
né matrimoni, né funerali. Per questi sacramenti i rustici tugliesi si
dovevano recare o a Parabita oppure alla “Lizza di Gallipoli”, che era la
parrocchia più vicina al feudo di Tuglie. Fu il Vescovo Sanfelice, nella
Santa Visita del 1717, che intuì la necessità dell’istituzione della
Parrocchia nel “Casale Tullearum”, ma è nella Visita del 2 aprile del 1719
che “Certior deinde factus idem Ill.mus Dominus Casale ipsum quadrigentis,
et amplius Animabus et Incolis esse refectum, agnoscensque etiam nunc ibidem
est Ecclesiam nimis angustam, tantoque Populo continendo imparem, necnon
Casale ipsum neque proprium hactenus habere Parochum…”(in Archivio Vescovile
di Nardò – Visite di Mons. Antonio Sanfelice) e che quindi la popolazione
del Casale era priva di ogni beneficio derivante dalla formazione cristiana,
istituì ex-novo la Parrocchia, conservandone il medievale Titolo
dell’Annunziata, e nominò contestualmente un Parroco ad interim nella
persona di Don Alessandro Vernicchio della vicina Parabita, al quale diede
l’incarico di organizzare dal nulla una comunità parrocchiale. Pochi mesi
dopo fu nominato il Parroco effettivo, Don Andrea Soli di Noha (allora in
Diocesi di Nardò) e la Parrocchia fu dotata di alcuni benefici economici
necessari alla sua stessa sopravvivenza e al mantenimento del Parroco.
Nella Visita del 1720, Mons. Sanfelice raccomandò che si scegliesse il luogo
adatto e si desse inizio alla costruzione di una nuova e ben più grande
Parrocchiale e di questo diede incarico al Barone Filippo Guarini, succeduto
nel governo del feudo al defunto fratello maggiore Don Fabrizio. Don
Filippo e Donna Isabella Castriota Scanderberg, da pochi mesi novelli sposi,
promisero il loro interessamento, anzi il Barone rassicurò il Vescovo che
avrebbe impiegato gran parte del ricavato dell’annata olearia (possedeva ben
2535 alberi di olive!) proprio a beneficio dell’erigenda nuova chiesa. Da
quel momento fu un susseguirsi di impegni in favore della fabbrica, sia da
parte del Barone, che del Vescovo, ma anche del popolo, il quale aveva visto
nell’istituzione della parrocchia finalmente l’inizio di un riscatto da
un’atavica posizione ancillare, anche dal punto di vista religioso, rispetto
ad altre realtà contigue che, immagino, non sempre avessero adeguata
sensibilità umana e sociale nei confronti dei cafoni di Tuglie. Sul piano
amministrativo, i “fuochi effettivi” e i “sottofuochi” dimoranti in Tuglie
trovano per la prima volta, realmente, un’identità anagrafica proprio nei
libri che si tengono aggiornati presso l’archivio della Parrocchia e cioè:
il Libro dei Battesimi, dei Matrimoni e dei Morti.
E’ la Parrocchia,
insomma, che sostituendosi allo Stato, diventa il motore per il progresso
sociale, economico e culturale della comunità tugliese, la quale, nel giro
di un decennio diviene “Terra”, contando su una popolazione di oltre 700
anime, e nel 1737 Universitas, con proprio Sindaco e Decurioni.. La
presenza della Parrocchia, poi, favorisce nuove forme di aggregazione
laico-religiosa, intese alla edificazione della coscienza cristiana, ed ecco
che nel 1720 viene fondata la Confraternita del Sacramento, per volontà
dell’Arciprete Soli e che il Sanfelice approva entusiasticamente nella
Visita del 1721; essa inizialmente è allogata presso la stessa chiesetta
parrocchiale, in seguito avrà una sua autonomia anche dal punto di vista
strutturale. La nuova Parrocchiale, aperta al culto la mattina del 25
marzo 1733, con la celebrazione di una messa piana da parte di Don
Sebastiano Romanello da Parabita ed una solenne e cantata da parte
dell’Arciprete Francesco Donno, succeduto al Soli, ebbe forma giuridica di
“ricettizia”, cioè l’arciprete e il clero dovevano mettere parte dei loro
averi a favore della chiesa per le necessità legate sia alla struttura, che
agli arredi e alle suppellettili e comunque al mantenimento del decoro della
stessa. Infatti, essa vedrà il concorso dei successivi arcipreti e del resto
del clero, impegnati a renderla più capiente, man mano che la popolazione
cresceva, tanto che oggi, nella sua struttura definitiva, rivela un impianto
basilicale, raggiunto con l’ultimo ampliamento di metà Ottocento. Hanno
legato il loro nome agli ampliamenti, nel ‘700 il primo arciprete tugliese
Don Vito De Santis, nell’800 l’arciprete Pasqale Miggiano, anch’egli
tugliese. Al decoro degli interni, fra Sette e Ottocento si dedicarono lo
stesso De Santis, gli arcipreti Toma e Martignano, il Miggiano e nel ‘900 il
Canonico Erroi, l’arciprete Rizzello, il compianto D.Nicola Tramacere e per
il restauro generale dell’anno giubilare 2000 il tugliese D.Emanuele
Pasanisi. Cara “Chiesa Mamma” di noi tutti Tugliesi, per ricostruire con
rigore storico la tua esistenza, ti ho dedicato anni di ricerca presso
l’Archivio Diocesano, quello Parrocchiale e quello Comunale. Ho cercato di
fermarti, quasi fotograficamente, in quell’anno 1996, allorchè diedi alle
stampe la monografia a Te dedicata: hai ricevuto in questi ormai trascorsi
300 anni tutta l’attenzione e la cura che i figli amorevoli manifestano per
la propria madre, di sicuro continuerai ad essere la Casa Comune di tutti
quelli che ora accogli ed accoglierai nelle tue navate per il resto della
tua esistenza… Ad plurimos etiam annos… (Riff.: E. Pagliara, La Chiesa
Matrice di Tuglie, Ed. Barbieri, Manduria, 1996; O. Seclì, Tuglie, la
storia, le storie, Ed. Il Laboratorio, Parabita, 2007) Enzo Pagliara
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Tuglie...per raccontar paese...
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