Antiche attività domestiche nel Salento - 2011 - olio su tela - cm. 50x70
E’ per me una gioia e una gratificazione intima, avvalendomi delle mie
modeste capacità pittoriche, continuare la galleria dei ricordi in terra di
Puglia, a Tuglie, sulla Longa nel ventennio che va dagli anni cinquanta agli
anni sessanta.
Questo lavoro è dedicato alle donne, alle nostre donne del sud, alle
nostre mamme e alle nostre nonne che con grandi sacrifici ci hanno generato
e cresciuto in quegli anni così precari e difficili del dopoguerra, a loro
che sono state sempre l’asse portante dell’economia delle nostre famiglie
già di per se stesso povere giacché erano in massima parte di estrazione
contadina.
Loro sono state in prima linea nella conduzione familiare e le loro attività
non erano solo quelle domestiche ma le portavano a lavorare attivamente nei
campi, e il loro contributo all’economia della famiglia era sempre prezioso
e determinante. Io parlo con cognizione di causa avendo vissuto in quel
contesto all’interno della mia famiglia e di quella dei miei nonni materni;
della nonna Ntina ( Fiorentina ) e del nonno Vantura (
Buonaventura ).I nonni paterni non li ho mai conosciuti in quanto defunti
quando mio padre ( lu Saiu te lu RRaona, detto anche Saiu panecottu
) li ha persi dall’età di sette anni. lui stesso ha sempre avuto un vago
ricordo di loro e per la cronaca non ho mai posseduto neanche una loro foto.
Si cominciava a lavorare a Febbraio con la semina e la potatura delle vigne
e la raccodda te le sarmente e si finiva Novembre dopo la raccolta
te le ulie, c’era una pausa di circa due mesi invernali e in cui i
lavori casalinghi abituali di pulizie e cucina quotidiana erano incrementati
dai lavori di filatura, sartoria e confezione di maglie di lana, per lo
più intime. Insomma i lavori non finivano mai e si viveva nella continua
precarietà dovuta alla scarsità di risorse e di mezzi di sostentamento che
portavano allo stress e all’abbruttimento. Non dimenticherò mai alcune
scene al lume di petrolio verso la fine degli anni cinquanta, all’ora di
cenare quando i miei genitori non avevano i soldi sufficienti per un filone
di pane con mio padre mortificato e mia madre che avvilita, mentre cercava
di cucire qualcosa, a testa bassa, in silenzio e in penombra piangeva e si
sforzava di non farsi vedere. Ancora, più o meno in quel periodo, quando
dopo tanto lavoro fatto da mio padre e da tutti noi in famiglia alla vigna
delle ( Tre Filare ) presa a mezzadria, venne una grandinata che si
portò via il frutto di tanto lavoro, mio padre in un angolo della casa
accasciato sulla sedia che sembrava un condannato a morte dopo una
bastonatura e mia madre seduta vicino alla banchiteddra che piangeva
lacrime silenziose cercando di non perdere la dignità messa a dura prova da
quell’evento.
In questo dipinto ho cercato di stigmatizzare quei ricordi tristi e mi sono
adagiato sulla rappresentazione di una scena familiare tanto comune nei
nostri paesi agricoli, una nonna, in rappresentanza delle nostre donne che
fila la lana vicino al camino in cui arde il fuoco cu li taccari e
asche te ulia e l’immancabile pignateddra in cui cuociono
verosimilmente i legumi ( li rraumi ) fonte primaria della civiltà
contadina. Mia madre li serviva a mio padre con pezzi te pane all’oiu fattu
e come contorno le ulie e quando era la stagione cu li peparussi fritti.
Mio padre, dopo una giornata di duro lavoro in campagna e col sano appetito
di contadino “” sia ci mangiava !! “” corroborando il tutto cu nu
bicchiareddru te vinu, pe la verità, anche toi o trete e anche noi
contribuivamo a farci onore alla santa taula.In bella mostra sul cornicione
te lu focalire nc’è na coppa te rame russu, nu fierru te stiru te ghisa e
nu fiascu te vinu cu lu bicchieri. Vicino alla nonna, nu banchiteddru su
cui ncete na sicchetta te lana e al quale nci suntu ttaccate le canne che
fungevano te supporto alla lava pettinata. Mi sembra di vedere la mia nonna
Ntina che passava in silenzio le lunghe ore invernali dedicate a queste
attività intervallate alla recita del Santo Rosario cu li patarnosci sempre
a purtata te manu intra la mantera. La sera era dedicata alla lettura di
qualche libro, ricordo ancora qualche titolo : (La cieca te Surientu,
Lu conte te Montecristu, li Promessi Sposi e Quo Vadis), leggeva a voce alta
in modo che lu bunanima te lu nonnu Vantura,contadino analfabeta,
ascoltava e seguiva il racconto, e comu nde piacia cu sente!! Bisogna
tener conto che a quell’epoca non possedevamo neanche una radio !
Quando mia madre cominciava a fare questo tipo di lavoro io già mi mettevo
in apprensione al pensiero che lei poi adoperava quella lana filata pe
cusire alli fierri le camisole te lana pe lu jernu, ca quandu te le mintivi
te cijavi tuttu, era preferibile na beddra vertullina te mazzate ca almenu
turane picca, mentre lu ciju te li purtavi almenu pè tre o quattru giurni.
Poi però stivi cautu!
Quanto sopra vuole essere un "rimembrare ancora" la bellezza e la
drammaticità di quegli anni della mia formazione alla vita e penso che a
raccontare queste cose fissate indelebilmente nella mia mente, possa far
piacere a quanti avranno la bontà di leggerle che come me, hanno vissuto
situazioni simili. In ultimo, penso che da questi accadimenti, qualche
giovane contemporaneo che abbia una certa sensibilità per questo genere di
cose, possa trarre qualche insegnamento e qualche considerazione. Lungi da
me la presunzione di voler insegnare a qualcuno qualcosa, la mia è solo una
modesta testimonianza di un mondo che è stato e che non c’è più, in ogni
modo, c’è sempre da imparare qualcosa …….!!
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Tuglie...per raccontar paese...
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