“Il nuovo Cinema Moderno di Parabita” , quasi un amarcord a lieto fine…
La Parabita degli anni 2000 mostra orgogliosa e “superba” il suo volto
di cittadina moderna e dinamica, per il cui raggiungimento, sin da sempre ma
soprattutto a partire dagli anni Settanta, impiega proficuamente energie
umane e ragguardevoli risorse economiche. Si può dire che oggi non le manchi
niente che non le permetta di competere con altre prospere realtà urbane del
nostro bacino jonico-salentino. Eppure qualcosa, i parabitani, sentono che
manca loro, un qualcosa che tuttavia avevano avuto in passato e che
l’avvento del possesso in massa di uno o più televisori per famiglia aveva
fatto dichiarare fuori moda, e quindi inutile: un cine-teatro.
Ricordo, nel 1960, anno in cui entrai in contatto con i compagni di scuola
del paese limitrofo al mio, i conflitti verbali con essi per una sorta di
campanilistica ambizione di egemonia socio-culturale e storico-artistica. In
effetti essi avevano un po’ ragione a vantarsi dell’esistenza in Parabita
della Scuola Media e di quella di Avviamento poi confluita nella Scuola
d’Arte, mentre Tuglie giaceva nella palude socio-culturale nella quale la
miope Amministrazione d’allora la voleva ostinatamente mantenere. Si
vantavano anche del bel Santuario, nonché del grazioso cinema Moderno, una
struttura liberty meno scialba di quella del cinema tugliese, una
costruzione degli anni ’30-40.
Era mio compagno di banco Alfredo, forse il più giovane rampollo della
famiglia proprietaria del cineteatro: eravamo diventati amici perché era
davvero un buon ragazzo, forse un po’ “spaccone” nel pavoneggiarsi per il
successo che riscuoteva fra le ragazzine, ma l’indole era certamente
amicale. Poco portato per lo studio del Latino, materia che allora “batteva
le carte” fra le altre, anche per l’accentuata esigenza del relativo prof,
uno che aveva studiato dai preti. Grazie a questa amicizia ogni tanto
ricevevo l’invito di Alfredo ad andare al suo cinema la domenica pomeriggio,
non avrei pagato il biglietto d’ingresso. Non ne approfittai mai anche
perché non amavo il cinema, preferivo passare i pomeriggi domenicali al mio
oratorio, con i compagni e con gli amici tugliesi.
Ma l’occasione per andarci arrivò: eravamo in II Media, anno in cui si
studiava l’Iliade, con piglio ed assiduità quasi maniacale, sempre “grazie”
a quel prof, il quale avendo tutto l’orario di cattedra nella stessa classe,
era diventato un incubo e una “chianca”. Se scappavi dall’interrogazione il
Latino, incappavi in quella d’Italiano, oppure in Storia, o in Geografia. Ma
no! Poverino! Chi si impegnava nel “suo” Latino, difficilmente l’avrebbe
dimenticato…
Nel 1962 uscì il film “L’ira di Achille”, del regista Marino Girolami: le
classi II e III Media ebbero il privilegio di poter assistere alla sua
proiezione e, scortati da qualche docente, lasciammo la scuola che era nel
palazzo di attuale proprietà Coi, per recarci al cineteatro Moderno. Fu una
bella esperienza: non è che io ricordassi più la trama e il dipanarsi di
quel film, ma ci ha provveduto Youtube e nel visionarlo ho ricordato
l’ammiccata ammirazione per l’attrice che impersonava la protagonista Xenia:
era Cristina Gaioni. Con le sue forme procaci e con i pochi veli addosso
aveva acceso le fantasie erotiche dei ragazzini che erano appena entrati
nella pubertà.
Ci tornai, da grande, in quel cinema, forse era il 1978, ma le pellicole che
vi si proiettavano erano ormai di tutt’altro tenore; se non ricordo male
doveva trattarsi di un film di Marco Ferreri. Il vecchio cinema tugliese di
don Gegè chiuse i battenti proprio nel 1978; di lì a poco anche al glorioso
cineteatro parabitano toccò la stessa sorte. Che sia giunto il momento in
cui è adeguato il motto della leggendaria Araba Fenice “Post fata resurgam”?
Si rosae, florebunt…
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Tuglie...per raccontar paese...
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