Dalla tradizione bizantina i Patroni per tre Comunità
Nell’arco temporale di circa un mese, tre paesi di origine medievale e di probabile antico rito greco, celebrano i loro Patroni con festeggiamenti che accostano le plurisecolari tradizioni della società agricola a consuetudini più recenti, fino a giungere all’era informatica, soprattutto per l’uso del web per trasmettere su pc, cellulari ed ipad, in tempo reale, ogni momento della festa con il lodevole intento di far rivivere l’atmosfera festosa a quei concittadini, migliaia e migliaia, che per motivi vari ma soprattutto lavorativi, hanno dovuto lasciare il proprio loco natio.
Ad aprire il “carosello” delle feste patronali del ciclo primaverile nell’entroterra gallipolino è Tuglie, con la solennità dell’Annunciazione il 25 di marzo, pietra miliare nel calendario liturgico cattolico; si continua a Parabita con la festa della Coltura, calendarizzata dalla tradizione locale nella seconda domenica dopo Pasqua e si conclude con la festa di San Giorgio a Matino, che cade il 23 di aprile, una festa “riabilitata” dopo che fu temporaneamente decalendarizzata dalla riforma post-conciliare del 1969.
Dai Bizantini l’Annunciazione viene ancora celebrata in modo solenne anche quando coincide con un giorno della Settimana Santa e, persino, con il Venerdi Santo. Solitamente viene ancora dipinta sulla porta centrale a due battenti (a rappresentare simbolicamente lo schiudersi della Salvezza attraverso l’Annuncio) dell’iconostasi, cioè la parete che divide il presbiterio dal resto della navata e sulla quale sono disposte diverse icone, secondo schemi precisi.
Un inno dell’ufficiatura di questa solennità, l’Akathistos, ha struttura dialogica che alterna strofe in cui parla l’Arcangelo Gabriele con altre in cui a parlare è Maria. Come in tutte le grandi feste della tradizione bizantina, il tropario (la preghiera liturgica del giorno) e l’icona rappresentano la sintesi, tra suoni e immagine, del significato della festa.
La Madonna della Coltura, nella sua originale raffigurazione del celebre monolito, è l’unica che ha conservato tulla la sua ieratica bellezza ed è giunta intatta fino a noi.
Non ho notizia dell’esistenza in Matino – devo ammettere, però, di non essermi adeguatamente documentato – di una qualche rappresentazione iconografica bizantina, o bizantineggiante, di San Giorgio Megalomartire. Tuttavia è acclarato che si tratta di uno dei Santi maggiormente raffigurati nel mondo bizantino, dopo Cristo, Maria e gli arcangeli Michele e Gabriele.
La popolarità di San Giorgio, già attestata nel Salento sin dal Medioevo, è con l’arrivo in Terra d’Otranto dei Castriota Skanderberg che riceve un maggiore impulso cultuale e il Santo viene scelto come patrono di diversi casali o terre: come il Santo, già in vita, aveva liberato alcune popolazioni dal terrore del drago infernale, così Giorgio Castriota Skanderberg aveva liberato le coste meridionali dell’Italia dalla minaccia e dai periodici assalti dei turchi.
Il patronato di San Giorgio, infatti, fu scelto soprattutto in quei luoghi o direttamente infeudati ai Castriota, o infeudati a famiglie strettamente apparentate con membri di quella potentissima casata.
Nel 1485 Re Ferdinando I di Napoli infeudò i Castriota di molte terre nel Salento e antichi casali come Sternatia, Bagnolo, Melpignano e Ortelle, tutte comunità sotto il dominio dei Castriota, ebbero come patrono San Giorgio.
In Napoli, un antico palazzo nobiliare, il Palazzo Castriota Scanderberg, detto anche Palazzo Del Tufo, è ritenuto uno dei principali della Città; situato nella centralissima Via Santa Maria di Costantinopoli, costituisce un eccellente esempio di architettura rinascimental-barocca.
Dalla ricca e documentata storia di Matino, opera di seri studiosi contemporanei, si evince che la signoria dei Del Tufo sul paese è quella che ha occupato più secoli in età postmedievale, quindi non è peregrino pensare che se anche il culto matinese a San Giorgio non fosse iniziato con i Del Tufo, quantomeno sono stati proprio loro a dare ad esso maggiore impulso e lustro, soprattutto ravvisabile nella costruzione della Chiesa Matrice e nella committenza della raffinatissima statua lignea del Santo, di gusto barocco ma certamente rispettosa dell’impostazione iconografica bizantina.
Il prototipo della Madonna col Bambino, detta della Coltura a Parabita, nella postura stante della Theotokos – con le varianti dell’Odegitria (Maria monstrans viam) e della Galaktotrophousa (Maria lactans) altrove venerate – ha avuto una larga diffusione in Terra d’Otranto, assumendo di volta in volta delle denominazioni strettamente locali. Un importantissimo esempio di koinè iconografica della Madonna della Coltura è presente nella basilica orsiniana di Galatina.
Tutti e tre i Patroni, tra Settecento e Novecento, hanno avuto un’occidentalizzazione iconografica, soprattutto nella statuaria processionale e nelle altre rappresentazioni devote, sia di culto pubblico che privato.
Dal tardo basso medioevo, con grossolani tratti gotici, si conservano ancora a Tuglie le due statue lapidee, separate tra loro, della Madonna e dell’Arcangelo: due figure dal taglio tozzo e approssimativo, provenienti dall’antica chiesetta rurale, rinvenuta dal Vescovo De Pennis a metà ‘400. Se qualche dipinto murale di epoca bizantina fosse stato presente in quella cappella, non ci è dato sapere: fu abbattuta all’indomani della costruzione della nuova Parrocchiale nelle prime decadi del ‘700.
Altri elementi folclorici accomunano le nostre tre feste patronali: la stessa stagione, quella primaverile, certamente retaggio delle antiche usanze bizantine, ricche di rituali propiziatori per una buona annata o di ringraziamento per il risveglio della natura in una società che si reggeva esclusivamente sulle attività agricolo-pastorali.
Resiste tuttora, anche se nella realtà tugliese alquanto blandita, una certa “specializzazione” per ciascuna delle feste: le batterie pirotecniche meridiane, l’apparato delle luminarie e i concerti bandistici. Prima dell’avvento della corrente elettrica erano tutte e tre feste meramente diurne; sin dagli inizi del ‘900, cominciarono a differenziarsi, dapprima la festa di Parabita, successivamente quella di Matino
e molto più tardi quella di Tuglie. Ecco, in estrema sintesi, quel che
accomuna i tre paesi, oltre alle fittissime maglie di intrecci famigliari,
parentali, amicali, che costituiscono un denominatore unico di affetti,
scambi culturali e di solidarietà, utili ad un vivere civile e pacifico, al
di là dei simpatici campanilismi dal “sapore” antico e goliardico.
Enzo Pagliara
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Tuglie...per raccontar paese...
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