Piccole attività contadine - 2012 - olio su tela - cm. 60 x 80.jpg
La carrellata di alcune mie opere ispirate alla vita contadina della gente
Salentina continua…………in pratica continuano i miei ricordi ………!
In questo lavoro da me realizzato a Tuglie nel Settembre 2012 mi sono
ispirato innanzitutto a mio padre , lu Saiu te lu Rraona e al mio
nonno Buonaventura , lu nonnu Vanura quando (negli anni cinquanta -
primi anni sessanta ) , erano intenti alla manutenzione dei loro attrezzi
necessarie per esplicare al meglio il lavoro nei campi , avendo cura di
averli in ottimo stato e della mia nonna Fiorentina , la nonna ‘Ntina che
nei pomeriggi assolati era sempre presa dal cucito e dal rammendo . Ricordo
che i pantaloni dei rispettivi personaggi erano un’accozzaglia di pezze a
volta sovrapposte e dai colori differenti tali da formare una specie di
carta geografica . Era un lavoro ciclico di intervento a cui bisognava far
fronte ogni qualvolta se ne presentava la necessità , non rimandabile né
prorogabile , ( quasi tutti si arrangiavano da soli ) . Da mio padre e da
mio nonno ho appreso l’arte del “ fai da te “ che ho mantenuto e sviluppato
nel corso della mia vita , chi mi conosce a fondo può testimoniarlo .
Io , come ho auto modo di dire in altre occasioni simili , fin da ragazzo
sono stato sempre un buon osservatore , dove c’era una qualche attività
specie artigianale perdevo le migliori ore ad osservare lavorare e a cercare
di imparare qualcosa . Per quanto riguarda i lavori di campagna avevo mio
padre come istruttore e tutore ed essendo che lui ha sempre preteso un aiuto
concreto sia da me che da mia madre , fin da piccolo mi ha fatto assaggiare
le fatiche del lavoro manuale . Non di rado , quando mi diceva che dovevo
raggiungerlo al pomeriggio ( dopo la scuola che ho frequentato fino all’età
di diciassette anni ) , in quanto aveva bisogno di me , mi venivano i sudori
freddi specialmente quando si trattava di chinare la schiena con la
zzappitedra o la sarchialura , (la stessa rappresentata nel
quadro ), per togliere le erbacce prima che lui zappasse con la zappa
pesante “ te scatina “ perché la loro presenza impediva o rallentava
l’affondo della lama nel terreno . Ricordo che dopo appena una mezz’ora
avevo la schiena rotta e mi chiedevo come facesse lui a lavorare tante ore
così di lena e per giunta ogni giorno . Per giunta , quando eseguivo tale
faticosa incombenza , per non pestare il terreno appena smosso , friabile e
umido che si attaccava sotto le scarpe , facevo il lavoro andando in marcia
indietro . Lui prima mi osservava , poi mi faceva vedere come dovevo fare (
a marcia avanti ) e siccome io insistevo a fare di testa mia , la seconda o
la terza azione correttiva si accompagnava con un sonoro ceffone , pesante
come il piombo con quelle mani callose da dinosauro e corredato dal commento
: ( allora sì caputostu , nun ‘mboi cu me senti , ai scire a nnanzi e nù
arretu . Sulamente li zzucari vane arretu ! ) . Intendiamoci , io ero
avvezzo ai suoi ceffoni , in quanto avevo anch’io il mio caratterino non
sempre malleabile e pronto ad assecondarlo così come lui pretendeva , ma non
gli ho mai rinfacciato niente , col tempo ho capito che le mazzate ca
aggiu buscatu erane tutte sante e benaditte !
L’iniziazione all’attività pratica del lavorio artigianale l’ho avuta da
lu nonnu Vanura all’età di circa otto o nove anni , da lui che possedeva
tanti attrezzi di falegnameria. Un giorno che ero andato a trovarlo presso
la sua abitazione in via G.Verdi : ( andavo spesso dai miei nonni materni ,
gli unici che ho avuto , perché stavo bene con loro e li volevo molto bene.
A loro ci tenevo tantissimo e loro mi hanno sempre ripagato con grande
affetto , a me poi , unico nipote maschio ! ) . Quasi subito ho sentito i
rumori tipici del martello che picchia su delle assi di legno provenienti
dalla terrazza della cucina . Lavori di falegnameria ! La mia passione !
Sempre curioso e interessato sono salito dalla piccola scala esterna e dopo
i saluti usuali mi sono messo ad osservarlo in venerabile silenzio . Stava
costruendo o meglio modificando il vecchio pollaio , lo stava ampliando , (
era uso delle famiglie contadine allevare almeno qualche gallina e qualche
coniglio ) che erano la fonte primaria di proteine e il che non era poco .
Dopo un po’ di tempo mi diede il martello in mano e pescando intra a nu
caleddru vecchiu te buatta , mi diede alcuni chiodi tutti storti e
arrugginiti e mi invitò a raddrizzane qualcuno su una piastra di ferro usata
da supporto sulle traversine di legno su cui appoggiavano le rotaie della
ferrovia , arrivata in suo possesso non so come ! Ci misi tutta la mia
perizia e il dovuto impegno per riuscire nell’intento , dietro i suoi
consigli . Dato che il risultato fu accettabile dalla sua espressione di
compiacimento mi invitò a inchiodare delle assi ( te strasceddre ).
Lui le posizionava tenendo contemporaneamente in verticale uno dei chiodi
appena raddrizzati i , poi mi invitata a battere sulla testa del chiodo ,
prima piano per poterlo invitare nel legno e senza colpirlo sulle dita , poi
toglieva la mano e mi sollecitava a martellare sul chiodo fino in fondo ,
poi rigirava il manufatto e mi faceva piegare il gambo del chiodo
fuoriuscito dalla parte opposta . Tale operazione si ripeté tante volte fino
al lavoro finito , inutile dire che lui era contento della sua opera ma io
certamente ho provato una vera soddisfazione con un pizzico di orgoglio per
quanto ero riuscito a fare .
Ma….torniamo al dipinto ………! Intanto bisogna dire che queste attività ,
almeno a casa mia prendevano l’arco del pomeriggio Domenicale in quanto gli
altri giorni erano dedicati perlopiù a tempo pieno al lavoro in campagna .
Tra le attività primarie , la prima consisteva nella manutenzione degli
attrezzi da lavoro , principalmente zzappe , zzappiteddre ,
sarchialure , rapatielli ecc. . Il lavoro consisteva
essenzialmente nell’ancorare il manico della zappa ( lu mmargiale )
nell’occhio della zappa in modo ottimale e ben affrancato curando anche
l’angolo della lama rispetto all’asse del manico . E’ chiaro e intuitivo che
dopo ripetuti movimenti dovuti all’uso ripetitivo poteva succedere che
l’affrancatura veniva meno con grave disagio del lavorante. Gli attrezzi in
uso erano essenzialmente un martello , un po’ di cuoio inserito doppio
nell’accoppiamento manico - zappa , accavallato e tenuto fuori in tensione e
separato da un’assicella di legno di ulivo che, una volta affrancato e messo
a bagno in acqua ne aumentava la tenuta . Di alcune piastre di ferro
rastremate a sezione leggermente conica che , battute col martello sempre
nell’accoppiamento manico – zappa , ne consentivano il serraggio ottimale .
L’altro attrezzo indispensabile era un supporto su cui lavorare , l’ottimo
era un ceppo di legno così come rappresentato nel dipinto . Non di rado mio
padre, quando non riusciva a trovare la misura ottimale delle piastre fra
quelle in suo possesso , usava in alternativa vecchie monete dell’epoca con
l’effigie del monarca , c’era sempre a disposizione un piccolo tesoro in
fondo a nu caleddru te alluminiu che ancora conservo .
L’altra attività era la manutenzione della bicicletta , l’unico vero vanto
del contadino ! Era lo status symbol della categoria . I mezzi , dato l’uso
di trasporto persone e di carichi pesanti ( per esempio interi sacchi di
olive ) su percorsi sconnessi di campagna , erano un po’ conciati ,
imbrattati di polvere e con parti arrugginite , ma la differenza la facevano
gli assi delle ruote che ognuno cercava di tenere sempre lucidi con l’uso di
appendere sopra la superficie esterna un collare possibilmente di cuoio
ricavato magari da qualche veccia scarpa . Poi venivano le riparazioni delle
ruote , a volte si tornava a casa a piedi per le frequenti forature dovute
ai percorsi accidentati e al consumo eccessivo delle coperture . Quasi
sempre si arrivava a consumare il battistrada fino ad arrivare a intravedere
le trame della tela prima di sostituirli . D’altra parte nell’economia delle
famiglie questo era la regola da seguire un po’ per tutti . Ricordo gli
attrezzi riposti in un sacchetto cucito da mia madre portato sempre a
corredo nel tascapane della bicicletta ( li posseggo ancora per ricordo ),
qualche chiave con le teste multiple a culozza che avevano varie
misure per teste di bulloni e le immancabili cacciacurazze per
smontare la cambretaria l’immancabile pompa cu lu caulisciùru
, la limba cu l’acqua per vedere i punti di foratura , li forfici
pè preparare le pezze te cambretaria usata , lu mastice e lu labbisi
copiativu pè segnare li carotti . Una menzione particolare la meritava
la vista te le cambretarie tutte chine te pezze in alcuni punti
sovrapposte . L’altro aspetto da curare erano li freni a bacchette e le
scarpette . Quando in base al consumo tirando le leve al manubrio andavano a
fondo corsa con frenata scarsa , si era soliti deformare piegando con l’uso
di una tenaglia le bacchette più lunghe in modo da accorciarne la misura e
recuperare la corsa , questa operazione era usuale e ripetitiva tanto da
deformarle in modo irreversibile .
Un’altra attività a cui si ricorreva col fai da te era la cura e la
manutenzione che il contadino aveva per le scarpe da lavoro . Ricordo mio
padre che , quando lo riteneva opportuno , diverse volte l’anno , un
pomeriggio lo dedicava a questa attività . Le scarpe di provenienza militare
( comperate quasi sempre alla festa te la Lizza alli Picciotti erano
importanti almeno quanto la bicicletta , in quanto dovevano essere rese
morbide quanto bastava ad essere calzate senza danni ai piedi e dovevano
essere anche idrorepellenti . Il contatto continuo anche della tomaia con la
terra , sovente umida , specie quando si zappava in profondità , doveva
consentire una buona tenuta . Alla bisogna si usava passare sovente sulla
tomaia ( lu siu ) , sego animale , quasi sempre puzzolente e rancido
che unito all’odore degli interni scarpe , facevano sì che tali oggetti
erano sempre relegati il più lontano possibile dalle aree di soggiorno .
Molta attenzione si poneva all’usura delle suole che dovevano durare il più
a lungo possibile . Negli anni cinquanta e sessanta gli scarponi militari
erano suolati quasi esclusivamente di cuoio , questo faceva sì che si
prestavano molto bene a inchiodarvi come rinforzo le tacce te fierru
sulle punte e sui talloni e di borchiare il resto della superficie di
contatto al suolo con una serie di chiodi a testa grossa simili a quelli
usati dai tappezzieri . Prima di questa operazione mio padre usava ricoprire
le suole inchiodandovi sopra cu le samanzelle parti di copertone di
bici dismesso ( non andava buttato niente ) , un sistema per salvaguardare
ancora di più il consumo .
Ovviamente c’erano anche altre micro attività aggiuntive alle principali di
cui sopra . In primavera veniva fatta la manutenzione della pompa usata per
pompare periodicamente la vigna . Si agiva principalmente sullo stantuffo
che scorreva nel cilindro e sui leveraggi lubrificandoli con olio , di oliva
naturalmente , non c’era altro tipo di olio in uso . Questa operazione
includeva anche la preparazione dell’ossido di rame ( lu verderame )
usato come anticrittogamico che veniva comprato a scaglie grosse come
piccoli sassi e per agevolare lo scioglimento nell’acqua miscelata con un
po’ di calce che serviva da ancorante sulle foglie della vite , lo si
sgretolava il più finemente possibile sul pavimento di casa schiacciandolo
con la zappa pesante .
A Giugno -Luglio in seguito alla mietitura e alla raccolta mediante espianto
dei legumi maturati sulla pianta fino al completo essiccamento dei baccelli
, si procedeva prima allo stacco manuale degli stessi dalle piante , se
pulizzane le pisaddrare , (in questo termine erano inclusi tutti i
legumi ) e poi dopo ulteriore esposizione al sole sulle lambie te le
abitazioni , a essiccamento totale , si eseguiva la battitura col maglio
di legno , ( la stompatura cu lu maju ) e la prima cernita a caduta
libera sfruttando anche una leggera brezza che consentiva la divisione dei
legumi dagli scarti , poi successivamente una seconda cernita manuale
intra alli cranari .
Al tempo della vendemmia si usava fare la manutenzione alle botti per
contenere il nuovo vino , all’uopo si procedeva prima con ripetuti sciacqui
all’interno scotendo e ruotandole con intervalli brevi e all’esterno con una
pezza imbevuta d’acqua per far prendere umidità al legno , poi dopo una
nottata a bagno si rinforzavano battendo i cerchi verso la pancia per
aumentare la pressione di contatto del fasciame e per ultimo si procedeva
alla ‘nzurfatura che consisteva nell’accendere qualche centimetro di corda
di zolfo legato a un filo di ferro e introdotto all’interno della botte
attraverso il foro di carico . Si chiudeva col tappo e si lasciava bruciare
fino a completa combustione , il tutto aveva lo scopo di disinfettarle da
possibili residui di acido acetico , dannoso per in nuovo prodotto .
A Novembre , dopo la spillatura del vino nuovo si procedeva ai primi travasi
in damigiane o botti più piccole con operazioni che richiedevano tempo e
perizia . Potrei continuare ma……..mi fermo qui ! E’ sempre la passione per
l’arte pittorica che mi dà modo di descrivere queste cose , certamente
quelli della mia età le conoscono già ma …..….le nuove generazioni ? Loro
non le hanno vissute e molti mai le vivranno perché irrimediabilmente perse
. Ne ho avuto la riprova proprio questo Settembre , sono partito da Tuglie
oltre la metà del mese senza sentire il classico profumo inebriante del
mosto . Ho chiesto a un produttore come mai , la risposta è stata : ormai
qui non si vendemmia più , il mosto arriva da altri siti e magari a
maturazione inoltrata ! Che tristezza !! Pertanto quello che ho descritto
sono come sempre , tratti della mia biografia e le mie esperienze di ragazzo
vissuto a Tuglie per il primo ventennio della mia esistenza . Il solo scopo
di queste mie storie è quello divulgativo e di coinvolgimento dei miei
coetanei o quasi , sperando ovviamente che qualcuno mi legga . E’ sempre
bello ricordare le cose vissute e condivise che ci accomunano e nelle quali
ci si ritrova , almeno in parte , ma le ritengo utili soprattutto per le
nuove generazioni , senza alcuna pretesa di insegnare loro niente , i miei
sono solo strascichi di vita vissuta scritti con la passione di raccontare
la nostra Amarcord Tugliese. Lo spunto scaturisce sempre dalla mia passione
di dipingere scene della nostra gente e la molla di commentarne i contenuti
ha il solo scopo di rendere testimonianza e ampliare la conoscenza di quello
che era la vita in quegli anni del dopoguerra . In tutto questo sono stato
ispirato da un C.D di Renzo Arbore di qualche anno fa dal titolo “” Prima
che sia troppo tardi …………….”” E poi , mi piace pensare che ci sia sempre
qualche giovane con un tasso di interesse tale da spingerlo a interessarsi
di queste cose che sono alla base delle proprie radici o più semplicemente ,
mosso solo da pura curiosità , personalmente ne sarei già contento. Comunque
…. chissà ……!!
* /corpo */>
Tuglie...per raccontar paese...
* sotto */>
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