Scena di vita contadina – 2013 – olio su tela – cm. 50 x 70
Eccomi ancora a parlare a voi , amici di Tuglie del mondo contadino di una
volta tramite questo ultimo lavoro dal titolo : “ Scena di vita di vita
contadina “. Su questa tela ho voluto ritrarre questa scena che rimanda ad
almeno mezzo secolo fa ". Uno strappo alla regola, un regalo a discapito
dell’innovazione tecnologica di un mestiere che per me rimane intimamente
legato alla tradizione contadina . Trattasi del mestiere del cordaio , “ lu zzucaru “ che produceva corde di ogni spessore e lunghezza,
partendo dalla canapa e dal cotone che sgranava e filava servendosi “ te
na macinula “ intorno alla quale avvolgeva il filo; quindi intrecciava
più fili, procedendo all'indietro , da qui il detto “ nu scire a rretu
comu li zzucari “. Ricordo mio padre che usava usare questa frase quando
, da ragazzo , mi metteva in mano “ la sarchialura ” per estirpare
l’erbaccia in modo da agevolarlo quando zappava “ cu la zzappa te scatina
“, solo che io per “ nu stumpisciare “, (per non lasciare
impronte) dove avevo appena estirpato l’erba , procedevo all’indietro ,
credendo di favorirlo , memore del fatto che lui usava dirmi spesso : nu
scire stumpisciandu a occhiu , ca ogni patata ca minti a ‘nterra ete comu nu
chiou “, specialmente quando il terreno era umido e l’impronta del piede
era molto vistosa e la terra si compattava opponendosi all’azione della
zappa . Allora mi redarguiva con cipiglio e a voce decisa che non lasciava
spazio a fraintendimenti “ credere , obbedire e zappare “ come voleva lui
ovviamente , procedendo in avanti ! Ma torniamo “ alli zzucari “ !!
Mani svelte e dita agili, che si muovono freneticamente ad attorcigliare la
corda, che nasce, metro dopo metro, dal lavoro certosino dei cordai di un
tempo. Una lavorazione affascinante, che sa di antico, di facce umili,
scavate dalla vita all’aria aperta , di espressioni difficili oggi da
ritrovare. Quella dei cordai , un'arte, fatta di rituali che si sono
ripetuti negli anni, immutati, stagione dopo stagione. Questo antico
mestiere è proseguito per secoli finché la storia l'ha mantenuto in vita ,
un'economia fragile, basata su paghe sempre troppo basse, su attività a
conduzione familiare, dove i figli subentravano ai padri, fin tanto che il
profitto è bastato , fino al dopoguerra , salvo casi sporadici di qualcuno
che non si è arreso tanto facilmente , poi , anche gli ultimi cordai rimasti
hanno smesso, incapaci di competere con l'industria e con l'avvento delle
fibre sintetiche che hanno messo fuori gioco la loro antica manifattura.
Quella tra i cordai e la tecnologia è stata una sfida strenua : le macchine
l'hanno avuta vinta ! Fare la corda era un lavoro duro ma affascinante,
vederla fare , lo era molto di più : si era come calati nella storia antica
, i rumori e i profumi erano quelli di un tempo. Le sensazioni uniche. E'
davvero un'arte, carica di cultura, impressa nei volti e negli sguardi dei
vecchi cordai di una volta. In questo lavoro però ho voluto rappresentare un vecchio contadino che
seduto all’interno di un vecchio cortile come ce ne sono tanti nei nostri
paesi Salentini dove il tempo pare essersi fermato, e dove riecheggia il
rumore sommesso della tradizione, come se non si fosse ancora rassegnato
all'estinzione . A testa bassa , concentrato sui movimenti , intreccia
manualmente una corda grezza di giunchi ancora verdi , freschi di raccolta
quindi molto duttili all’intreccio senza servirsi di attrezzi tipici del
cordaio , in un’azione tipica del “ fai da te “ . Per dovere di cronaca va
detto che nel Salento il giunco cresceva nelle paludi di Torre Lapillo a
nord di Porto Cesareo sulla costa ionica e a Rauccio, presso Torre Chianca,
o verso la zona umida di Torre Guaceto , sulla costa Adriatica . Memore di
quando io da ragazzo , assiduo e attento osservatore , usavo spesso sostare
nei pressi di qualche artigiano per carpire il segreto e studiare i modi di
procedere nella costruzione dei loro manufatti , ho voluto metterci una
bimba che , un po’ per curiosità e un po’ affascinata dalla manualità
dell’anziano si è messa in atteggiamento arrendevole di sosta con le mani
dietro la schiena e osserva attentamente la procedura dell’intreccio. La
scena l’ho immaginata negli anni cinquanta e le mie reminiscenze mi hanno
fatto ricordare un po’ di : “come eravamo “ e , memore degli usi di
quell’epoca gli ho “ cucito addosso “ un vestitino che era tipico di quegli
anni , piuttosto lungo e un po’ intrecciato in vita , il visino paffutello e
con in testa un fazzoletto a mo’ di contadinella . Non poteva mancare il suo
amico fidato che si è accovacciato accanto umile e ubbidiente che
contribuisce ad arricchire la scena . Spero come sempre di aver fatto cosa
gradita a quanti mi leggeranno . Il mio cuore è sempre ancorato alla gente
di Tuglie e ai tanti ricordi indelebili che popolano tutt’ora la mia mente.
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Tuglie...per raccontar paese...
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