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Trasporti a Tuglie negli anni cinquanta


      Trasporti a Tuglie ( Le ) negli anni cinquanta olio su tela - 2012 -cm. 60 x 90.jpg

Era da un sacco di tempo che desideravo cimentarmi in questo lavoro che arricchisce la galleria dei miei dipinti tratti dai ricordi della mia adolescenza vissuta “ sulla Longa “ in particolare degli anni cinquanta e sessanta . Lo dicevo sempre ai miei amici , in particolare a Pantaleo Nicoletti , a Rocco De Santis e a Lorenzo Natali , che come me abitavano anch’essi nel medesimo quartiere e che quindi hanno condiviso con me tante esperienze di vita vissuta in quegli anni indimenticabili : “ Vagnuni , be ricurdati quando nchianane sulla Longa li traìni carichi te cuzzetti ca scine versu Montregrappa , ddri poveri cavaddri ! Quante mazzate nde tiane quandu nun ce la facine cchiui cu nchianane quando rrivane vicinu alla Saia Occhijanchi , povere bestie ! Prima o poi aggiu fare nu quatru “ .
Ed eccomi qui con questo lavoro pensato a lungo e maturato nella mia testa da un sacco di tempo , c’è da dire che quando mi metto in testa una cosa prima o poi la realizzo e questo fa parte del mio carattere . Naturalmente ho dovuto studiarci su un bel po’ e ho dovuto un po’ improvvisare e combattere con le volumetrie del posto in cui si commettevano simili misfatti cinquanta anni fa in quanto adesso il paesaggio è completamente rivoluzionato e il fondo di “ Donnareste “ non esiste più e al suo posto vi sono molteplici abitazioni . Nella mia testa però tali ricordi sono rimasti così indelebilmente scolpiti che sono riuscito a realizzare un buon lavoro . Ricordo la strada sterrata che dopo la pioggia copiosa veniva scarnificata dai ruscelli d’acqua che scendevano dalle alture sovrastanti con una velocità tale da erodere il fondo tufaceo e mostrare lo scheletro sottostante fatto di grossi massi biancheggianti come le ossa di una carcassa . Il muro a secco del fondo “ te Donnareste “ a ridosso della strada , la sua conformazione fatta a gradi che seguiva l’andamento della strada in salita , la piantumazione “ te barbatelle “ ( viti da innesto ) , che erano diventate un immane groviglio di tralci lunghissimi in quanto non venivano mai potati . In effetti a memoria , non ho visto mai un contadino che facesse lavori al su quel suolo , il fondo era perennemente incolto e quindi i veri proprietari eravamo noi ragazzi che tramite appropriazione indebita lo avevamo adibito a campo di giochi . Ricordo gli alberi di ulivo all’interno del fondo a ridosso del muro , gli alberi di nocciole sul secondo terrazzo , gli alberi di fichi all’altezza di via Nazario Sauro , molto vicino al passaggio a livello della ferrovia . In fondo vi era un costone alto sulla cui sommità vi era “ nu furneddru “ piccolo e ai due lati vi erano piantati a sinistra un albero di mandorle e a destra un grosso cespuglio con adiacente un albero di gelso . A tal proposito devo dire che le mandorle non riuscivano a rimanere sull’albero fino a maturazione . Il mio amico Enzo Natali ( l’Enzu Parata ) era uno dei pochi che si arrampicava lassù insieme a Carmelo Pezzulla ( lu Carmeluccio Pizzulla ) e , ( lu Tomasinu Pativitu ) , all’anagrafe : Tommaso Marzano , un altro della banda , ( comandante anche lui in quanto grande e grosso , ma il vero comandante era il sottoscritto eternamente in conflitto con Flavio Rizzelli “ lu Flaviu Citiciucci “ , un tipo molto sveglio , che aveva in animo di scalzarmi dal potere di capobanda ) . Enzo pertanto era il curatore dei frutti nel senso che monitorava la loro maturazione e al momento opportuno faceva letteralmente incetta di mandorle verdi , gonfie e succose al punto giusto da essere letteralmente divorate acerbe e con tutta la buccia dal sapore acidulo ma pur sempre commestibili . Qualcuno dei pochi intimi aveva il privilegio di poterle assaggiare ( tra cui il sottoscritto ) , ai più non era concessa alcuna gratifica in tal senso e ( lu Tomasinu Pativitu ) che pure gli dava un’occhiata ogni tanto e sperava egli pure di raccoglierle , al momento del sopralluogo arrivava sempre a cose fatte con suo grande disappunto . Ricordo ancora una volta, per dovere di cronaca , che il quegli anni , qualsiasi cosa che fosse anche lontanamente commestibile era sempre vista come una benedizione ! A tal proposito , e sempre in riferimento alla continua ricerca di cose da mangiare , ricordo che durante il tempo della vendemmia , Enzo Natali , che quando si trattava di andare a caccia di derrate alimentari aguzzava l’ingegno , aveva escogitato la pesca all’uva . Mi spiego ! Quando passavano sulla medesima strada “ li traìni cu li tini ncoculizzuti te ua appena vindimata “ , essendo che scendevano provenienti dai campi che si trovavano sulla parte superione al paese , tenendo la destra , passavano adiacenti il muro a secco “ te Donnareste “ . Arrivati all’altezza di via Nazario Sauro , la imboccavano girando a sinistra per evitare di passare dalla piazza del paese giacché la strada che conduceva al centro , a cominciare da subìto dopo il passaggio a livello , presentava una discesa molto pericolosa da percorrere , specialmente a pieno carico . Il carro faceva una rotazione tale che la parte posteriore del traìno lambiva il muro , tale movimento faceva sì che l’ultimo tino in coda sul carro si portava pressoché alla stessa altezza del terrapieno sovrastante e a poca distanza . Enzo , appostato disteso sul terreno , quasi totalmente fuori dalla vista del conduttore peraltro impegnato nella conduzione del cavallo , acquattato e munito di canna con lenza di spago alla cui estremità era collegato un rampino , letteralmente pescava i grappoli dai tini in transito ( e senza licenza del legittimo proprietario ) . Naturalmente l’azione era ristretta in pochi secondi e con la dovuta accortezza , ma l’addestramento maturato era tale che difficilmente mancava il bersaglio con sua grande gratificazione!
La panoramica dei luoghi in riferimento all’opera continua : Ruotando lo sguardo verso destra dal punto di osservazione della scena rappresentata , sulla sommità della salita , si vedono la parte sovrastante di alcune case dove abitavano le famiglie dei miei amici Pantaleo Nicoletti , ( fiju te le bunanime te lu Totu e te la Martire Nocera ) , di suo cugino Ippazio Longo , ( Lu Paziu , fiju te le bunanime te lu Carmunu Colle Colle e te la Cia Nocera – soru te la Martire ) , di Antonio Marzano ( l’Ucciu Pativitu , fiju te lu bunanima te lu Gesarinu Pativitu e cucinu te lu Tomasinu ) . Adiacenti a queste case sul declivio opposto vi erano “ le crutte “ , vere e proprie grotte di epoca antica scavate nella pietra tufacea adibite ad abitazioni e appunto abitate per esempio dalla famiglia “ “ te la Cia ( Lucia ) Summa e te lu Pici Scarda ( Giuranno Luigi ) “ una famiglia numerosa e poverissima al limite dell’indigenza , il cui figlio Damiano Giuranno ha frequentato il primo anno di scuola elementare con me , poi l’abbiamo perso strada facendo vista la scarsa attitudine allo studio , mi ricordo che era l’unico che assaggiava di sovente l’inchiostro che il bidello metteva con una brocca smaltata di bianco nei calamai sul banco . Non ricordo quanti anni ci son voluti per prendere la licenza elementare e ignoro se abbia mai raggiunto lo scopo . L’insegnante era Calò Luigi ( lu mesciu Calò ) di cui ho un gran bel ricordo , sia come insegnante , sia come maestro di vita . Vicino alle abitazioni , ben visibile dal punto di osservazione in cui si svolge l’azione vi era un altro albero di gelso veramente mastodontico i cui frutti grossi e succosi di colore bruno violaceo hanno deliziato più volte il mio palato e macchiato i miei poveri vestiti col loro succo denso e colorato come l’inchiostro . Anche questo particolare è presente nel quadro . Per tornare al vero tema dell’opera , la scena dominante è l’atto di bastonatura degli animali adibiti al trasporto “ te li cuzzetti “ ( blocchi di tufo per costruzioni ) , . Buona parte del materiale di costruzione delle abitazioni sviluppatesi nel dopoguerra verso Montegrappa “ è passata te susu alla Longa “ e pertanto quelle scene erano quasi quotidiane tanto da aver lasciato un segno indelebile nella mia mente . “ Lu trainu era quasi sempre quiddru te lu Peppe te lu Camillu ca facìa lu trainieri trasportatore “ , caricava sulle “ tajate “ ( cave di tufo ) , e trasportava questi carichi molto consistenti in volume e peso , ( si parla di parecchi quintali ) presso i vari cantieri di costruzione , ovviamente “ la Longa “ era il punto nevralgico del tragitto . Spesso curavo il transito e molte volte mi portavo a ridosso del punto critico ove la pendenza era molto accentuata presagendo già quello che stava per accadere . Bisogna tener presente che le bestie quando arrivavano in quel punto avevano già nelle gambe almeno centocinquanta metri di salita e sulla sommità della quale si fermavano immancabilmente stremate . “ Lu Peppe “ li faceva prendere fiato al massimo mezzo minuto poi li stimolava “ a botte te scurisciatu “ ( frustino ) . Le povere bestie sudate e con la bava alla bocca ce la mettevano tutta per tirare l’immane peso ( stando nei pressi della scena si percepiva l’odore acre del loro sudore ) e il più delle volte, talmente era la forza che esercitavano con gli zoccoli ferrati sul terreno , che questi slittavano e picchiavano il terreno col ginocchio . La conseguenza era duplice , per primo rischiavano di azzopparsi in modo irreparabile col danno incalcolabile per il proprietario , la seconda conseguenza era “ ca lu Peppe se mintia a castimare comun nu bbreu “ e sfogava la sua ira sulle povere bestie che la subivano come ringraziamento a tanta immane fatica . A quel punto ho assistito a scene di violenza inaudita a danno di quelle bestie e per la verità si faceva fatica a capire chi era più bestia! Quando si verificavano queste soste drammatiche vi era sempre chi ( rragazzava cu nu troncu o na taula beddra crossa ) , cioè mettevano un ostacolo dietro almeno a una delle due ruote “ te lu trainu “ per timore ce le bestie mollassero la presa al tiraggio e rovinassero con conseguenze che vi lascio solo immaginare e successivamente si tirava “ la martellina “ , ossia il freno alle ruote , il tutto in pochi secondi . Normalmente “ Lu Peppe se purtava sempre nu lavorante vagnone “ ( un ragazzo ) che era adibito anche a questo compito , così come l’ho rappresentato nel dipinto . La scena si ripeteva per diversi tentativi fino a quando non riuscivano a superare quel punto critico per poi proseguire il cammino . Io mi ritengo un buon osservatore e già allora notavo che in principio dell’attività “ lu Peppe nchianava sempre cu nu cavaddru “ e siccomre i rischi erano veramente troppi e rischiava si rimetterci sia il cavallo sia il lavoro , dopo un buon periodo di tempo si era attrezzato con un secondo cavallo più giovane , ( anche questo è evidenziato nel quadro ) , “ nu valanzinu , appuntu “ , col compito di aiutare la bestia alla stanga in salita . “ Lu Peppe però , secondu mie facia lu furbu e cu la scusa te lu secondu cavaddru carracava almenu na linea e ci nu ddoi te cchiui te cuzzetti “ . Il risultato era pressoché uguale a prima e la storia “ te le mazzate alli cavaddri se ripetia immancabilmente sempre “ . Aldilà di tutto , ragionando in termini economici , in qualche maniera il costo di mantenimento del secondo cavallo doveva uscire da qualche parte e il mezzo migliore era il sovraccarico , insomma , “ la sciurnata ia ssire te lu caricu ca riuscia cu porta a termine “ .
In questo dipinto ho evidenziato solo un aspetto di quella che era la vita dei trainieri e dei trasportatori , e della vita dura che tutti facevano nel contesto sociale della nostra povera economia contadina , “ cu li trainieri protagonisti “ e ( con una menzione speciale per i cavalli , consentitemelo , protagonisti alla pari dei loro padroni ) . In effetti l’intento ultimo è di rendere omaggio a questa categoria di lavoratori che hanno contribuito in larga parte allo sviluppo del nostro paese . La maggior parte di essi adibivano l’uso “ te lu traìnu “ ai trasporti di prodotti della campagna in special modo al tempo della vendemmia quando ( sulla littera te lu traìnu ) venivano caricati di norma tre tini molto capienti . La raccolta delle patate , delle olive , delle fascine di legna da ardere “ taccari te cippuni , crossi te munda , sarcene te ramaje e te sarmente ” , anche questo faceva parte dell’economia delle famiglie , a quell’epoca si cucinava solo con la legna . Inoltre non bisogna dimenticare che gli animali erano adibiti al lavoro rurale vero e proprio col loro impiego per l’aratura . Per dovere di cronaca mi piace menzionare alcuni di questi lavoratori Tugliesi :
Luigi Corallo “ Pici Corallu “ , i fratelli Romano , Biagio, Antonio e Giuseppe “ Biagiu , Ntoni e Pippi Sanapu “ , Guido Giovanni ( Ninu te lu Cintu , papà del mio amico Minu Guido “ lu Cosiminu aschialuru “ ) , Giovanni Pasanisi , Giovanni Merenda ( Ninu Marenda ) , Benedetto Miggiano ( Titta Miggianu ca tania puru la ciuccia vicinu allu mulinu ) , I fratelli Solida : Cosimo e Armando , ( Cosiminu e Armandu Cargioppu ) , Giuseppe Pastore , ( Peppe te lu Camillu , era lui che solitamente saliva sulla Longa cu lu carrucu te cuzzetti ) Giuseppe Miggiano , ( Pinu Miggianu ) , Carlino Emanuele ( nunnu Manueli , mio padrino di Cresima) . Sicuramente ce ne possono essere stati altri , pertanto chiedo scusa per non averli menzionati , del resto anch’io devo fare i conti con la mia memoria di ultra sessantenne , comunque anche loro avrebbero meritato di essere menzionati !
Ancora una volta spero di non aver urtato la suscettibilità di nessuno avendo fatto menzione con nome , cognome e “ ngiuria “ , per quanto sopra , non ho inventato niente e le persone menzionate ( ancora viventi ) che sono anche i miei amici lo possono testimoniare e………….anche questa è storia !!! La nostra storia !!!!!
Sito web: www.salvatoremalorgio.it

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